Laboratorio Sobrero (11): la normalità dell'orrore (27 luglio - 1 agosto 1915)

Cartolina del 27 luglio 1915 (lato a)
A partire dal 20 luglio 1915, la 1.a Compagnia del 50° Fanteria, cui apparteneva il caporale Sobrero, venne stanziata di nuovo a Taibon, vicino ad Agordo. Lì il nostro poteva seguire il corso per allievi ufficiali, con la certezza di essere per qualche tempo al riparo dalle granate. 
Cartolina del 27 luglio 1915 (lato b)
La routine di questi giorni era dunque per lui abbastanza tranquillizzante, seppure piuttosto impegnativa, fatta di frequenti marce, di molte e molte ore di lezione e di qualche momento di relax da condividere con i compagni. Rende piuttosto bene tutto ciò la cartolina del 27 luglio:
Carissimi genitori,vi ho scritto ieri. Ho ricevuto il pacco e vi ringrazio. Ho trovato il bicchiere, il sapone, camicia, calze, mutande e caramelle. Va benissimo. Ieri sera, come vi ho detto, abbiamo avuto la cena degli allievi ufficiali e ci siamo tanto divertiti e [abbiamo ben] mangiato! Ognuno ha fatto, verso la fine, il suo discorso, abbiamo cantato, gridato e riso: abbiamo mangiato a profusione e nei piatti: colla forchetta! 
Lettera dell'1 agosto 1915 (pagina 4 e 1 )
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Dalle lettere di Anna Felice Sobrero della seconda metà di luglio, tutte piuttosto simili l'una all'altra perché prive di eventi rilevanti, traspare come una sotterranea voglia di "normalità", attitudine, ben inteso, fragile e anche piuttosto relativa, se è vero che alcuni dei souvenir che spedì a casa l'1 agosto consistevano in oggetti che la normale vita civile in genere non frequenta:
Vi mando quella spoletta ad orologio di granata da 149 mm austriaca, che scoppiò fra le nostre tende nella notte dal 15 al 16 luglio: questa la posseggo io, le altre il tenente, il sergente [...] trovate nelle buche profonde fatte dalla medesima (buca larga metri 7 o 10 e profondo 1,50 circa). Su di essa vi è la numerazione chilometrica, cioè viene montata, all'atto dello sparo dell'artiglieria, a tanti chilometri (la mia circa 7 km e mezzo) da cui si vuole scoppi. Lancia, se batte sul terreno o per aria, tutte le schegge del fusto e 360 pallini di piombo. Come vedete [nel pacco] ve n'è uno, levato da un albero ove stava [conficcato]. Questa spoletta generalmente dalla forza dell'urto si spacca anch'essa, ma qui avendo battuto in [un] terreno assai molle non si spaccò. Non abbiate affatto paura perché è l'orologio solo, [della] polvere [da sparo] non v'è nemmeno l'idea!! È una rarità!
L'altro [oggetto] è un caricatore austriaco che sparano attualmente contro di noi, trovato fra gli oggetti che perdono nella fuga dalle trincee presso Livinallongo [del Col di lana], ove entrai in una casetta ove trovai una bella camicia nuova di lana, stirata e pulita: mi levai la mia stracciata e unta e la lasciai al posto dell'altra... Mi sta bene, è verde scura... l'ideale!

Lettera dell'1 agosto 1915 (pagina 2 e 3)
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Lontano dal fuoco, il nostro (non diversamente da molti compagni) vi ritornava tuttavia di continuo con la mente. Disponiamo a tale proposito di un documento straordinario, contenuto nella seconda parte della citata lettera dell'1 agosto. Nelle facciate 2 e 3 di questa, Sobrero ripercorre liberamente gli eventi del suo battesimo del fuoco. Ne fa, a poco più di due settimane da quei fatti, materiale narrativo, trasformandoli da evento psichico disturbante - soggetto a rimozione - a esperienza che può essere condivisa e comunicata. Accadimento portatore di un senso. Questo scritto - da leggere in parallelo alla ricostruzione di quelle giornate attuata sulla base degli scarni ma pregnanti messaggi che il nostro inviò in tempo reale alla famiglia, come si è tentato di fare nel Laboratorio 8 e Laboratorio 9rappresenta dunque l'opportunità per il lettore (e per il curatore) d'appressarsi agli eventi di quella battaglia con gli occhi di chi li ha vissuti. Ma passiamo subito al testo:
Dunque veniamo al fatto: si ricevette l'ordine la sera che spedimmo la cartolina da Taibon: ultima cena! E si partì alle 2 del mattino, si passò per Alleghe, [vicino] al lago magnifico, e si entrò in territorio austriaco, recandosi, nella notte dal 13 al 14 [luglio], alle falde del Col di Lana, ove ci trovammo alle strette!! La nostra artiglieria da campagna e montagna (75 e 149 e 210) facevano un fuoco terribile sul forte La Corte [nota 1] e i Tre Sassi[nota 2] austriaci.
Noi attendemmo, ma non si poteva [fare nulla] e dormimmo alcune ore nel fango prodotto dalla pioggia passata. Di notte... il rumore delle mitragliatrici, la fucileria [che risuonava vicinissima,] come attaccato a noi, e i terribili colpi del mortaio da obici da 210!!!... Per di più ci si doveva tenere nascosti, perché di minuto in minuto apparivano riflettori che, dai forti austriaci, illuminavano la collina cercando i nostri appostamenti, o credendo che i nostri reggimenti, all'oscuro, avanzassero ancora. Ma le cose di cui si ha più paura in questi frangenti sono i fuochi e i segnali pirotecnici, che arrivano di nascosto, come una palla da fucile, fin sopra gli appostamenti: e si illuminano di magnesio, facendo luce per due o tre minuti. E allora loro, nell'oscurità, potevano vedere cosa facevamo e noi... a terra!
La narrazione, che s'avvale di uno stile non sempre irreprensibile ma capace di renderla particolarmente vivida, prosegue ripercorrendo gli eventi tragici e piuttosto crudi della giornata del 15 luglio:
Il giorno dopo proseguì la battaglia ed entrammo in trincea. La 1.a Compagnia era [schierata] a difesa delle mitragliatrici...[nota 3]. Venne la notte e cominciarono a scoppiare le granate e gli shrapnel sulle nostre postazioni!! Avevano individuato le nostre mitragliatrici: proprio dove eravamo noi! Allora le nostre artiglierie tacquero per una mezz'ora. E noi... accidenti! non potevamo fare niente: ci bersagliavano da 7 chilometri mentre i nostri fucili potevano arrivare a non più di 2 o 3 chilometri! Fu allora che, al fischio che fa la granata avvicinandosi (2 o tre accordi), il tenente grida: «a terra!» E tutti si buttano in trincea colla testa nel fango! E così ad ogni granata! E di una di queste, me ne ricorderò per sempre. Eravamo io e il Caporale Gazzola [nota 4] in quella trincea, io da una estremità e lui dall'altra, proprio al posto della vedetta. La granata scoppiò là con fragore orribile. Mi gettai a terra al segnale (o anche prima perché l'avevo sentita venire): la terra e il metallo furono gettati contro di noi fischiando. Io presi la terra e lui... lo vidi (e lo vedo ancora adesso) che si portava la mani al ventre. [Una scheggia] glielo aveva aperto  per quindici centimetri, spaccando il cinturino della giberna. Gridò: «Maaaaaa!». E si rovesciò: il sangue fluiva a fiotti. Feci per chiamarlo: «Gazzola!»... ma non potevo parlare! E per un quarto d'ora non riuscii più a parlare, né volli vedere poi [il cadavere]. Erano le cinque e mezza del mattino.
L'incapacità di parlare era un fenomeno psichico molto diffuso tra i soldati rimasti coinvolti in situazioni di grave pericolo, che in diversi casi sfociava in vere e proprie malattie mentali. Sobrero si riprese abbastanza velocemente dallo shock, per lui fu certamente terapeutico l'aver saputo raccontare quei fatti drammatici, dividendone in qualche modo il peso con gli altri. Ma procediamo:
Un altro fu salvato dal portafoglio, che [una scheggia] forò, ferendolo. Il cuciniere ebbe un dito spaccato e le marmitte bucate da un proiettile austriaco. Il giorno passò un po' triste, sinché alle 5 di sera si smontò e gli zappatori fecero una cassa per il morto. Io gli feci, col lapis copiativo e due cravatte da collo attaccate assieme, la fascia per la corona di fiori da prato che altri raccolsero per lui: «Al caporale Gazzola, caduto sul campo dell'onore, gli ufficiali e i soldati del 50°, 1.a Compagnia». E tutto finì; fu trasportato di notte al paese Moef [nome di località non identificata].
Seguì pioggia, vento... un mio compagno trovò in trincea una veste nuova da ufficiale, altri in case disabitate trovarono farina, la 4.a Compagnia trovò due buoi e un porco e mangiò carne per diversi giorni!
Dopo pochi giorni ci diede il cambio il 59° e 60° Fanteria: avevano conquistato il Col di Lana: buone posizioni: e tutto lì...
Ora siamo a Taibon come prima: tranquilli aspettiamo.
Lettera dell'1 agosto 1915 (particolare del finale)
Lasciamo dunque il caporale Sobrero ad attendere quietamente. Ed è sorprendente la salutare distanza che egli riusciva a prendere dagli orrori, quella sorta di attitudine filosofica, comune a molti militari, che permette d'andare avanti nonostante tutto. Così, nel finale della lettera dell'1 agosto, stilato su un foglio di quaderno a quadretti ad essa allegato, egli tornava a occuparsi della "normalità" di Taibon, rimarcandone senza alcun astio, e con una buona dose di sano fatalismo, l'assenza assoluta di qualsivoglia genere di confort:
Io sto benissimo e mi auguro di stare sempre bene così. Seguiamo le lezioni del corso e al mattino facciamo istruzione. [...] Si dorme sempre a terra, colle pulci, ma ci sono abituato. Dormirò di più a casa.



Dario Malini





Note: 
1 Il forte Corte, detto anche La Corte (Werk in tedesco), si trova alle pendici del Col di Lana.
2 Il forte Tre Sassi (in tedesco Werk) si trova presso il passo di Valparola.
3 Nella lettera del 26 agosto 1915, Sobrero preciserà che il suo plotone era posizionato a Livinallongo del Col di Lana.
4 Caporale Gazzola Giovanni Di Antonio, classe 1893 (reparto 50°, Reggimento Fanteria), caduto per ferite riportate in combattimento il 15 luglio 1915. Sull'Albo d'Oro è riportato come luogo di morte il Medio Isonzo.


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