Il sorriso dell'obice


Il sibilo delle granate fa pensare a tante cose e, quando l’obice è scoppiato e ci ha lasciati interi, si sorride in un modo che adesso non so nemmeno ricordare.
Walter Giorelli 
(da Il sorriso dell'obice di Dario Malini, Mursia editore)
Frutto del caso ma anche di un’infinità di circostanze "causali", la pubblicazione de Il sorriso dell'obice di Dario Malini, presso Ugo Mursia editore (vai alla scheda del libro sul sito dell'editore), è stata resa possibile dal ritrovamento (avvenuta in un mercatino rionale) della corrispondenza dal fronte di un giovane soldato-pittore romano: Walter Giorelli. Un rigoroso lavoro di ricostruzione della vicenda ha quindi generato  questo testo, permettendo di strappare dall’oblio la figura, l'esempio e il sorprendente valore letterario di Walter Giorelli.

È il giugno 1915. Il ventunenne Walter Giorelli viene scaraventato nell’immane carnaio della Prima guerra mondiale. Nelle sue lettere alla famiglia racconta l’entusiasmo dei compagni e della gente comune nel momento dell'entrata in guerra, i periodi di addestramento a Bologna e a Cividale del Friuli, e la vita al fronte, prima in un reparto di salmerie che provvedeva ai rifornimenti delle truppe sotto il Sabotino, quindi a Plava, nella 169ª Compagnia Zappatori, dove operò per quattro mesi in trincee avanzatissime. Giorno dopo giorno il disincanto del militare cresce: gli orrori della guerra di trincea sotto il martellare delle artiglierie nemiche, pur riferiti con innata ironia, irrompono sempre più nei suoi resoconti, finché per tenere viva la speranza non gli è più sufficiente neppure l’arte, cui si applica disegnando i volti dei compagni, i terreni devastati di Oslavia, Gorizia, le vette e i campi di battaglia attorno all’Isonzo. Muore il 23 novembre 1916 a Plava, sepolto sotto un ricovero che il fuoco del nemico e la pioggia incessante hanno reso malsicuro. Ha ventidue anni.

Le lettere del soldato Giorelli sono riproposte in forma di diario, senza che ciò alteri in alcun modo l'elegante ed estrosa prosa del ragazzo. Il risultato è una storia che tocca nel profondo e sorprende per  l’ampiezza della riflessione e la vibrante (ma mai urlata) carica antimilitarista. Per dare solo un'idea di come Walter "andava alla guerra", in un clima di generale e irriflessivo entusiasmo ed euforia, ecco alcune sue parole, databili al mese di giugno 1915: 
«Quando mi sento forte, rido della guerra, degli uomini, di tutto, e mi accorgo che il mio compito sta nel mettere a nudo la vita qual è, in faccia al mondo che è pieno di malsane idealità e di vacui sentimentalismi».
Ed ecco alcuni percorsi di approfondimento:

2 commenti:

  1. Io che in fondo non sono interessata ai fatti di guerra, intesi come strategie, tattiche, meccanismi, poiché non considero la guerra un'arte ma solo una bolgia inutile e crudele, ho apprezzato questo libro, perché è la voce da dentro di un giovane istruito e sensibile, quindi in grado di descrivere con precisione, i meccanismi mentali in cui i soldati si trovavano imbrigliati. L'esaltazione iniziale, i momenti di sconsiderata spensieratezza al fronte, la sfida al nemico, l'indifferenza al rischio della morte prima, ai cadaveri in decomposizione ovunque poi, fino alla stanchezza, alla distanza sia dalla guerra che dal suo "mondo di prima" (le lettere da Roma gli raccontano un mondo che non lo interessa più). In un primo momento l'esaltazione della guerra fa sentire vivo; verso la fine del libro, però, la sensazione è che l'esperienza abbia fatto aprire gli occhi a Giorelli sul vero e più profondo senso dell'esistenza, al punto che la morte sembra giungere quasi naturale. E aveva solo 22 anni. Commuove anche l'idea di un volumetto dimenticato e ritrovato, che permette a noi, oggi, di conoscere questo sconosciuto ragazzo. Anche a lui dobbiamo qualcosa, oggi.
    Lo trovo adatto anche per i ragazzi.

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    1. Gentile Angelo Montano, la ringraziamo molto per l'interessante commento. Ha descritto molto bene quella che è anche a nostro parere una delle chiavi per comprendere questo testo straordinario: la capacità di disvelare i meccanismi reconditi, anche psicologici, che rendono possibile una guerra. L’abbruttimento che rende un uomo, un soldato. Il desiderio (ciò che è avvertito da Walter Giorelli come un dovere o, meglio, quasi come una predestinazione) di raccontare in presa diretta la prima guerra della modernità diviene la chiave per attuarne un reale svelamento, al di là di qualsiasi posizione preconcetta. E così il libro supera i confini di un mero lavoro “di guerra”, entrando a pieno diritto nel campo della letteratura. E siamo fieri di averlo potuto riportare alla luce. Davvero orgogliosi. Grazie ancora, gentile Angelo, e a presto.

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