Cadorna iniziò a credere nella possibilità di un'aggressione austriaca in quel settore solo alla fine di aprile. Il 26 scrisse al comandante francese Joffre che l'attacco degli austriaci era probabilmente prossimo e dopo pochi giorni ispezionò, per la prima volta dal settembre del 1915, il fronte alpino: “Finalmente, il 30 aprile, Luigi Cadorna – che avrebbe fatto molto meglio muoversi un po' prima – scrisse il capitano, addetto storico, Roberto Mandel nel III volume di Storia popolare illustrata della Grande guerra – si decise a lasciare Udine per Bassano di dove si recò ad ispezionare le nostre linee dell'Altipiano d'Asiago. La vista tardiva produsse nell'animo del Generalissimo una sensazione angosciosa”. In tale occasione Cadorna si rifiutò di incontrare il generale Roberto Brusati. I due non si erano mai sopportati, forse per diffidenza o forse semplicemente per gelosia visto che Ugo Brusati, il fratello, era aiutante di campo del Re Vittorio Emanuele III. Già dall'inizio della guerra alla prima armata vennero attribuiti solo compiti difensivi e, quasi due mesi prima dello sfondamento, Brusati ricevette l'ordine di ripiegare e difendersi su “posizioni principali di resistenza” anche se “con ciò non intendo ordinare che si sgomberi la zona occupata”. Le sue proposte di conquistare il Pasubio, l'Altissimo e il monte Maggio vennero bocciate ma “con ciò non dico che, a quelle posizioni si debba rinunciare in modo assoluto” scrisse ancora Cadorna. Era il solito gioco di parole per confondere le acque ed uscire “pulito” da ogni situazione. “La tattica di usare i due pedali – freno e acceleratore – ha scritto Lorenzo Del Boca in “Grande Guerra piccoli generali” - consentiva di avere sempre ragione e di addossare, comunque, la colpa agli altri: o perché avevano osato troppo o perché erano rimasti troppo prudenti. Ai primi di maggio Brusati, avvertendo il pericolo di diventare un capro espiatorio, iniziò a difendersi. Sostenne di aver ricevuto, il 5 febbraio, il via libera per gli attacchi in Valsugana e che, il 24 febbraio, aveva ricevuto i complimenti per iscritto direttamente dal Capo di Stato Maggiore. Insomma, le offensive in quel settore si erano sempre conformate agli ordini del Comando Supremo che aveva ripetutamente espresso approvazione nella condotta delle operazioni. Ma Cadorna doveva salvare se stesso e così l'8 maggio ottenne la rimozione del generale Brusati accusato di aver messo i suoi uomini nelle peggiori condizioni per resistere ad un attacco. Ugo Brusati chiese le ragioni di quell'allontanamento, avvenuto poco tempo dopo che Cadorna aveva nuovamente ribadito di non credere ad uno sfondamento in quel settore. Il Capo rispose che, nonostante non avesse cambiato idea su questo punto, il generale Roberto Brusati doveva andarsene non perché avesse peccato di negligenza nelle difese, ma perché aveva dimostrato “troppa poca serenità”.
Forse il comandante della prima armata, per spirito di indipendenza o semplicemente per superficialità, non si uniformò del tutto alla strategia ordinatagli, ma è comunque riprovevole che Cadorna non abbia controllato l'operato di un suo sottoposto senza imporgli fermamente la sua volontà. Come ha scritto Emilio Faldella nel primo volume de “La Grande Guerra” - Questa critica è giustificata ed equanime - .
Resta il fatto che l'Alto Comando non credette mai ad un attacco nemico e soprattutto non ritenne possibile che un'offensiva austriaca potesse partire dalla zona alpina. Eppure fu proprio da quel punto che le truppe di Conrad poco più tardi spaccarono il fronte prendendo alle spalle il grosso dell'esercito italiano. Nella notte tra il 14 e il 15 maggio 1916 l'artiglieria austro ungarica cominciò un violento bombardamento a tappeto sul Trentino, dopodichè gli imperiali attaccarono su un arco di cinquanta chilometri, tra la Val d'Adige e la Val Sugana. Gli austriaci riuscirono a sfondare il centro della linea difensiva arrivando a trenta chilometri da Vicenza minacciando così di tagliar fuori il grosso dell'esercito italiano schierato in Friuli. A questo punto Cadorna trasferì dall'Isonzo numerosi reparti che mostrarono da subito il loro valore e coraggio. Per i soldati che giungevano dalla desolata regione carsica il passaggio in montagna pareva un premio come testimonia Emilio Lussu, ufficiale volontario della Brigata Sassari, nel suo libro di memorie leggermente romanzate “Un anno sull'Altipiano”: “Era finita la vita di trincea: ora si sarebbe contrattaccato, manovrando, ci avevano detto. E in montagna. Finalmente! Fra di noi, si era sempre parlato della guerra in montagna, come di un riposo privilegiato. Avremmo dunque, anche noi, visto alberi, foreste e sorgenti, vallate ed angoli morti, che ci avrebbero fatto dimenticare, con il grande riposo sfumato, quella orribile petriera carsica, squallida, senza un filo d'erba e senza una goccia d'acqua, tutta eguale, sempre eguale..............ci saremmo, finalmente, liberati da quella miserabile vita, vissuta a cinquanta o a dieci metri dalla trincea nemica, in una promiscuità feroce, fatta di continui assalti alla baionetta o a base di bombe a mano e di colpi di fucile tirati dalle feritoie”.
In poco tempo si formò una nuova armata, la quinta e vennero richiamate due unità inviate da Sonnino in Albania. Più di 300mila uomini furono concentrati in Trentino. “Le nuove truppe si batterono in modo spesso eroico, a differenza dei territoriali arresisi dopo scarsa o nulla resistenza” scrive a proposito della Strafexfedition Pier Luigi Romeo di Colloredo in un'apologia dal titolo “Luigi Cadorna. Una biografia militare”. Cadorna dunque, nell'emergenza, mostrò sangue freddo ed una grande capacità organizzativa. E' pur vero tuttavia che la grande responsabilità del generalissimo fu quella di aver sottovalutato, fin dall'inizio, il settore alpino. La milizia territoriale era formata da militari anziani che, non essendo più idonei ad essere impiegati in battaglia, svolgevano servizi nelle retrovie con compiti di ordine pubblico. Fu lui, il Capo Supremo dell'esercito, a destinare a difesa di quei territori soldati incapaci a fronteggiare un'aggressione del nemico.
Il 3 giugno comunque, causa la forte resistenza dei reparti italiani, l'avanzata austriaca si arenò definitivamente e due settimane dopo, il 16 giugno, iniziò la controffensiva. Il piano elaborato da Conrad per sboccare nella pianura veneta ed isolare le armate italiane nell'Isonzo era fallito.
I gravi errori di valutazione che l'Alto Comando aveva commesso prima dell'attacco, permettendo agli imperiali di penetrare così a fondo sul territorio, vennero cancellati dalla propaganda, abile, come di consueto, a celebrare la grandezza del Comandante.
Giancarlo Romiti
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