La Strafexpedition: eccessivo allarmismo?

Chi impera qui, stando a valle, senza conoscere né capire nulla dell'alta montagna (alla quale mai sono arrivati) è una combriccola di alti ufficiali inetti, vecchi, paurosi, che preferiscono far nulla per la paura che hanno di fare dei fiaschi, con danno delle loro carriere”.
                   Cesare Battisti, lettera alla moglie del 5 maggio 1915.
           
L'invasione del nord Italia passando dal Tirolo per  occupare la pianura veneta, chiave di accesso al mare, era un vecchio progetto dell'alto comando austriaco. Già nel primo Novecento l'Austria fu sul punto di metterlo in atto, ma la situazione di emergenza che l'Italia dovette affrontare per  il  terremoto di Messina del 1909  ed il successivo impegno nella  campagna di Libia del 1911, sconsigliò ogni tipo di iniziativa bellica nei confronti del Bel Paese. Il progetto fu infine riproposto e rivisto dal Feldmaresciallo Conrad. Mentre Cadorna, insieme a Salandra e Sonnino, prendeva parte alle conferenze interalleate di Parigi e Londra (20 marzo-1°aprile) notizie allarmanti giungevano dal Trentino. Il generale Brusati, capo della prima armata stanziata in quella zona, inviò il 22 marzo al Comando di Udine questo fonogramma:”Notizie concordanti darebbero come probabili, anzi quasi certo, un attacco in forze considerevoli dall'altipiano di Lavarone, direzione principale Costein, appoggiato da numerose artiglierie. Detto attacco, che si inizierebbe il 25 corrente, verrebbe accompagnato da contemporanea azione in Valsugana”. La missiva si concludeva con la denuncia  che “...in caso di un serio attacco avversario, sulla fronte di questa Armata manchi assolutamente ogni riserva”.


Cadorna, seccato da quello che per lui era un eccessivo allarmismo, invitò il Brusati ad “una serena obiettività” e alla “sicura fiducia”. In quel momento i russi stavano attaccando gli austriaci a est (18 marzo 1916, battaglia del Lago Naroch) e pertanto il generalissimo era sicuro che gli uomini di Conrad avrebbero continuato a combattere una guerra puramente difensiva senza avventurarsi in improvvisate avanzate. D'altronde  aveva sempre trascurato il pericolo che l'esercito italiano potesse essere sorpreso con un attacco dal Trentino. “......il comandante della I armata invitava – il 20 febbraio – il Comando supremo a ripristinare l'efficienza del suo settore, depauperato delle migliori truppe, solitamente trasferite sull'Isonzo e rimpiazzate dai reparti dissanguati e sfiniti provenienti dal Carso. La replica di Cadorna fu brusca: le forze della I armata erano più che sufficienti per far fronte  a qualsiasi evenienza. (Gianni Rocca, “Cadorna. Il generalissimo di Caporetto”).

Per alcuni mesi gli austriaci trasferirono nella zona alpina grandi quantità di uomini addestrati alla guerra in montagna, muli, mezzi, munizioni, vettovaglie e artiglierie di ogni calibro.    Cadorna rimase comunque assorbito dalle offensive isontine e senza preoccuparsi troppo della minaccia continuò nel suo progetto strategico: sfondare il fronte orientale e puntare sulla città di Lubiana. La certezza che “un attacco a fondo non avrà luogo” continuò anche dopo le particolareggiate deposizioni di alcuni disertori austriaci. Alla fine di marzo un transfuga di etnia italiana, Riccardo Vaia originario di Cavalese, si presentò alle nostre linee con numerosi documenti attestanti il concentramento di soldati nemici e soprattutto di artiglieria pesante nella zona controllata dalla prima armata, mentre poco dopo fu la volta di un ufficiale ceco a fornire precisi dettagli sull'imminente attacco. Fu poi un alpino che conosceva perfettamente ogni angolo del settore minacciato a mettere al corrente il quartier militare di Udine sull'evolversi della situazione. “Sua Eccellenza il comandante supremo dell'esercito non ha bisogno di consigli dal tenente Battisti” fu la risposta del maggiore Cavallero, membro della segreteria del “governo” di Udine.      
Giancarlo Romiti

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