L'attacco di Henri Barbusse (da "Il fuoco")

Siamo pronti. Gli uomini si allineano, in silenzio, con le coperte a tracolla. Il sottogola dell’elmetto in posizione, appoggiati ai fucili. Guardo le loro facce contratte, pallide, concentrate.
Non sono dei soldati: sono degli uomini. Non sono degli avventurieri, dei guerrieri fatti per il macello umano: né macellai né bestiame. Sono contadini e operai. Sono dei civili sradicati. Aspettano il segnale della morte e dell’omicidio.
[…] 
Avanti. Le voci hanno una strana risonanza. La partenza è stata velocissima: inopinata, si direbbe, come in un sogno. Niente sibili nell’aria. In mezzo all’enorme rumore del cannone, risalta questo straordinario silenzio delle pallottole intorno a noi…
Scendiamo sul terreno scivoloso e accidentato con movimenti automatici, aiutandoci a tratti con il fucile, allungato dalla baionetta. Lo sguardo si fissa meccanicamente su qualche dettaglio del pendio, sulle devastazioni del terreno, sui rari paletti scarni e appuntiti, sui resti sparsi in fondo alle buche.
[…]
Davanti a noi si sollevano delle fiammate improvvise che sconvolgono l’aria con spaventose deflagrazioni […]. D’un tratto devo mollare il fucile: lo spostamento d’aria di un’esplosione mi ha scottato le mani. Lo raccolgo come posso e riparto a testa bassa nella tempesta di bagliori fulvi, nella pioggia battente di lava, sferzato da getti di polvere e fuliggine.
[…]
Il maggiore si ferma, alza la sciabola, la lascia cadere e s’inginocchia: a scossoni il corpo si piega all’indietro, l’elmetto gli cade sui talloni, e resta lì. Non vediamo più nemmeno il tenete. 
E allora, niente più comandanti… 
La massa umana che percorre l’inizio dell’altipiano esita. In mezzo allo scalpiccio dei piedi, si sente il soffiare rauco dei pomoni.
«Avanti!» grida un soldato qualunque.
Riprende la corsa in avanti, verso l’abisso.

Nessun commento:

Posta un commento