Laboratorio Allegri (23): L'arrivo a Trieste (6 - 26 novembre 1918)

Trieste, piazza Francesco Giuseppe
(oggi piazza Unità d'Italia),
cartolina del 15 novembre 1918

Dopo la sconclusionata uscita dal lager [del 2 novembre 1918], non potei lasciare Braunau immediatamente, poiché molti erano i compagni che, smaniosi di rientrare in patria, riempivano i treni e ingombravano la stazione (nota 1). In quei giorni carichi d'euforia ma anche di confusione, avevo perduto gran parte delle mie riserve di cibo e mi restavano solo alcune gallette e poche scatolette di carne. Rimasto anche senza denaro, avevo dovuto vendere alcuni capi di biancheria per potermi permettere l'acquisto del biglietto. Il 6 novembre, potei infine salire su un treno privo di riscaldamento, su cui, letteralmente stipati l'uno sull'altro, eravamo circa in duecento compagni. L'umore di tutti, all'inizio buonissimo, si fece ben presto inquieto per la lentezza con cui si procedeva. Scendemmo a Pardubitz [Pardubice] la notte del 7 e fummo messi a dormire nelle fetide baracche di un ospedale. Ripartimmo la notte dell'8 in direzione Praga. Quando raggiungemmo la città ero in pessime condizioni, stanchissimo e raffreddato. Dormimmo in case fatiscenti e non riscaldate, per risalire alcuni giorni dopo su un nuovo convoglio diretto a Trieste, anch'esso lurido, desolato e freddissimo. Si viaggiava lentamente, tra mille soste, mentre nel finestrino sfilava un paesaggio invernale incantato, privo di segni visibili di un qualsivoglia conflitto.

Trieste, palazzo della Luogotenenza austriaca
e palazzo del Lloyd,
cartolina del 15 novembre 1918

Sfiniti, raggiungemmo Trieste il giorno 12 [novembre]. Disceso dal treno, mi trascinai - squassato dalla tosse, febbricitante ed esausto - a casa della zia Emma che mi accolse affettuosa e quasi incredula della mia improvvisa apparizione. Risposi a monosillabi alle sue molte domande e mi misi a letto, dimentico della guerra, della prigionia e quasi anche di me stesso, ma tormentato da incubi vaghi e piuttosto fastidiosi.

Telegramma del 12 novembre 1918

15 novembre. Accudito affettuosamente dalla zia, oggi posso lasciare finalmente il letto. Mi sento decisamente meglio. A forza di ingollare olio di ricino, pare superato anche l'intoppo prodotto dalle troppe scatolette consumate durante il viaggio. Fuori tira un vento dannato così quando la zia mi invita a fermarmi qualche altro giorno, acconsento volentieri, anche perché partire in questi giorni è quasi impossibile a causa della troppa affluenza di compagni. 

Lettera del 22 novembre 1918

22 novembre. Stamane abbiamo ricevuto la lettera del papà, spedita in data 17. Credevo sapesse del mio arrivo in casa della zia, invece non ne fa cenno. Ne deduco che le numerose cartoline speditogli nel corso del mio viaggio di rientro, ancora non sono giunte a destinazione. Trieste è in questi giorni bellissima e contraddittoria, colma di segni vivi di disperazione e al tempo stesso piena di speranza per un futuro che non potrà però che essere contrastato. Riflessione che molte cose mi ispirano, a partire dai molti segni della guerra impressi sui palazzi e nelle strade, oltre che dalla lingua utilizzata dalla gente del posto, in centro quasi sempre italiana, sovente slava nei quartieri periferici. Non so ancora quando potrò andarmene perché qui arrivano prigionieri di continuo, impossibilitati a proseguire a causa del ventaccio che, da quando sono arrivato, ancora non s'è attenuato (nota 2). Ho scritto a casa di non aspettarmi troppo presto, perché, prevedo lungo il mio soggiorno qui. 

«Esco talvolta anche con Giulia»
(illustrazione di Kataku, 2023)

La zia Emma somiglia alla mamma, è solo un po' più magra e chiacchierona, mentre lo zio Goffredo s'è tutto imbiancato. Carletto è ora più alto di me e la Germana pure s'è fatta alta. Con questi miei cuginetti sono andato diverse volte al cinematografo, senza però divertirmi granché poiché i due ragazzi, crescendo, si son fatti tanto alti quanto seri, e non so mai cosa dir loro. Esco talvolta anche con Giulia, una ragazza italiana molto elegante e graziosa, conosciuta per via. Quando la bora è meno pestifera, talvolta passeggiamo affiancati, sfiorandoci. Lei pare affascinata - ingolosita, mi verrebbe da dire - dai racconti di guerra e prigionia, tanto da indurmi spesso - anche perché non mi va di rinvangare quei ricordi - a inventarne di sana pianta per farle piacere. Se qualcuno di essi la infiamma, e spesso a interessarla sono proprio gli episodi che, vedendola annoiata del mio discorrere, ho escogitato lì per lì, mi si stringe al fianco con un trasporto e un ardore che mi sorprendono. Ma questi sono tempi strani.

«... e osservo lungamente il mare»
(illustrazione di Kataku, 2023)

26 novembre. La ressa di prigionieri che attendono di poter ritornare in Italia è in aumento. Anch'io mi sono iscritto per partire, ma sono rassegnato a dover pazientare ancora a lungo, sino a quando i treni o i vaporetti siano sgombri e il mare calmo, perché fare un bagno all'ultimo minuto non mi sembra ben fatto. Stasera, nonostante il vento, andrò al cinematografo con Giulia, ma in genere me ne sto tappato in casa per paura di prendermi qualche malanno. Ogni tanto mi reco però al porto (avvertendo ancora come miracolosa la circostanza di poter passeggiare senza una guardia alle calcagna) e osservo lungamente il mare, mentre inquieti pensieri inseguono lo sbattere delle onde sulle navi ormeggiate. Di certo, appena sarà possibile volerò a casa, perché dopo tanto tempo ho un immenso desiderio di rivedere la famiglia e Como.


Dario Malini


N.B. L'autrice delle illustrazioni è Kataku, giovane e valente artista pisana. 

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Note

1. Si ricorderà che il 2 novembre 1918 i detenuti italiani, dopo la notizia della firma dell'armistizio, erano evasi dal lager di Braunau. 
2. La bora.

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