Laboratorio Allegri (13): Prima di Caporetto (8 - 24 ottobre 1917)

Cartolina dell'8 ottobre 1917

8 ottobre. Sono di nuovo nel mio sgabuzzino dove si sta strettini ma si dorme bene e a lungo. Non questa mattina, però, perché m'hanno svegliato alle 9 per farmi firmare un ordine. La giornata è grigia, ma un po' d'azzurro si lascia scorgere qua e là. 

Razzi luminosi
(illustrazione di Kataku, 2022)

La notte scorsa era sereno, le stelle brillavano come gioielli in un cielo vellutato e nerissimo: qui, chissà perché, il Carro sembra più vicino. Fuori, a lavorare, si trovavano gli zappatori loro e nostri; quasi si toccavano. Se si buttava qualche razzo illuminante si vedevano gli austriaci, alcuni che restavano impalati, solo chinando un po' il capo, altri che si buttavano d'un colpo a terra. Loro non si sentono mai parlare o lavorare, i nostri invece sono assai più chiassosi, per nulla intimoriti dalla presenza dei nemici: chi tossisce, chi sbraita, chi batte forte la pala... Il carattere italico è questo, non si può adattate alla strana vita imposta della guerra moderna, fatta di silenzio, di lavoro notturno indefesso e costante. Gli austriaci approfittano delle tenebre, noi le rifuggiamo e, se proprio dobbiamo combattere, vogliamo vedere il nemico a viso aperto.

Nostalgia
(illustrazione di Kataku, 2022)

Sono le 12:30, ho finito ora di mangiare, sempre chiuso nel  mio minuscolo ricovero che mi fa anche da sala da pranzo. Curioso, un po' di cibo caldo e un raggio di sole m'hanno messo dell'allegria in corpo, tanto da indurmi a cercare quel ragazzo d'oro del mio attendente per chiedergli due sigarette. Quindi ne accendo una e penso alla mia famiglia e a molte altre cose buone e giuste, poiché la nostalgia, chissà perché, mi rende sentimentale. Mi rivedo, allora, quando andavo a comprarmi quei cavallucci, quelle pecorine di legno col basto carico di zucchero... Ma ecco, qualche colpo di fucile mi riporta alla realtà. Dalla finestra della mia alcova si scorge, ai piedi della collina, un cimitero. E non si creda che quelle vecchie croci e quei marmi rovinati dal cannone m'intorbidino la vista o m'inducano a cupi pensieri; invece, mi infondono pace e tranquillità. Accendo la seconda sigaretta. A giorni si avrà il cambio e si andrà, forse, a riposo ai confini nostri. Ma evito di pensarci, invece, non potendomi muovere dal mio sgabuzzino fino all'imbrunire, cercherò di dormire qualche ora.

«Ci sono però ancora dei passerotti quassù»
(illustrazione di Kataku, 2022)

9 ottobre. Continuiamo a darci da fare con le zappe per consolidare le trincee. Fa freddo e continua a piovere. Ogni tanto qualcuno, dall'altra parte, tira, e così si lavora nel pericolo. 

Cartolina del 9 ottobre 1917

Ci sono ancora alcuni passerotti quassù, vedete? La guerra non è sempre guerra. E ci sono anche degli spiriti affini, delle anime gemelle: due soldati, ad esempio, che, dalle contrapposte postazioni, al pigolio di un passero sporgono entrambi il capo. Con l'occhio cercano l'uccellino. Individuatolo, si rivolgono uno sguardo d'intesa. Tastano qua e là colle mani sul gradino della trincea e lanciano contemporaneamente un tozzerello di pane al volatile. L'uccellino, ignaro di lotte e fazioni, becca prima la briciola dell'austriaco quindi quella dell'italiano e vola via. I due nemici si fanno un cenno col capo e spariscono nelle rispettive gallerie.
Sono le 12, questa sera avremo il cambio da un altro battaglione del nostro reggimento, ci porteremo così un po' più indietro, non a riposo, però, perché il turno è stato breve. Potremo comunque cambiarci e lavarci. Ho finito ora il mio rancio. Per portarmelo caldo, il mio attendente ha corso a perdifiato, buscandosi una discreta quantità d'acqua, perché da circa un paio d'ore dal cielo ha cominciato a stillare quell'acquerugiola lenta lenta, sottile sottile, che bagna senza farsi accorgere. Le ore passano, avvolgendomi nel nulla dell'attesa come carta moschicida. Quando incomincia a fare buio, faccio una pipata e poi vado a disporre le vedette.
Il 10 sera, finalmente, arriva il cambio. Ci spostiamo nei pressi di Gorizia, mentre il tempo sembra essersi rimesso al bello. Dopo parecchi giorni posso togliermi creta e sudiciume di dosso, sensazione deliziosa e rigenerante che solo un militare avvezzo al fango delle trincee può apprezzare. Mi giunge la triste notizia dell'amputazione di una gamba al soldato e compaesano Pippo Capelli, ragazzo intelligente e assai prestante, cui sento di dover scrivere qualcosa sebbene nulla abbia in realtà da dirgli, poiché non siamo più in contatto da diversi anni. Siamo alloggiati in una galleria lunga più di duecento metri. I soldati hanno le brande una sopra l'altra, gli ufficiali sono sistemati in piccole cabine dove dormono in quattro. In questa galleria è sempre accesa la luce elettrica e non esiste il giorno e la notte.
13 ottobre. È tutto il giorno che piove a dirotto. Domani farà giusto un anno dacché sono partito da casa per raggiungere il reggimento, mesta ricorrenza che mi fa tuttavia sentire la fortuna di poterla celebrare. Ringrazio di ciò il fato e quei bravi ragazzi della mia sezione, che, quando eravamo lassù, stavano sempre attenti al loro comandante. Il secondo anniversario, come augura papà, spero di passarlo a Como, accanto al fuoco, circondato da visi meno malinconici.

Cartolina del 14 ottobre 1917

14 ottobre, ora dell'Ave Maria (nota 1). Ho riletto il primo capitolo dei Promessi sposi. Mi vedevo davanti Don Abbondio che, col breviario in mano, recitando qualche salmo, scende per una stradetta della sua parrocchia, così vivo e umano nel suo poco coraggio e nella sua molta paura. Quale soldato mai potrà prendersene gioco? Riflessione di cui qualche particina deve essere trasmigrata nella missiva che ho inviato a casa quest'oggi, se, del tutto fuori contesto, a un punto m'è sembrato naturale aggiungere il seguente inciso: «Olga, quando non sai che fare, prendi tra le mani I promessi sposi, aprilo e leggi, ché quel libro non si conosce mai: a quindici anni sembra un romanzo a trenta è un trattato di filosofia» (nota 2). 
Mi hanno pesato: parrà strano ma mi sono ingrassato, probabilmente perché sono tornato allo stato di natura. Quando si viveva nelle caverne, infatti, si dormiva per terra, si mangiava solo se c'era cibo e si viveva alla frasca. Poi tutte le molecole di ferro che si assorbono qui colla respirazione arricchiscono i globuli rossi e irrobustiscono il corpo. Benefici che valgono, ben inteso, solo se un tale stile di vita venga adottato con criterio e abbandonato all'istante qualora se ne presentasse l'occasione.

Cartolina del 19 ottobre 1917

Dopo qualche giorno, si ritorna in linea [a Salcano]. La mia sezione è postata in ricoveri di cemento armato tanto robusti che neanche un 305 potrebbe sfondarli. Vi staremo altri cinque giorni e poi si andrà dove più piacerà al comando. La notte [del 19 ottobre], sotto una pioggia fredda e battente, respingiamo un reparto nemico che, senza troppa convinzione, tenta di avvicinare le nostre postazioni.
Ho fatto domanda per andare a Brescia a frequentare il corso di mitragliere. Se l'accettassero sarebbe una bella fortuna perché per venti giorni sarei imboscato. Ho poca speranza, però, perché le domande di partecipazione sono numerosissime.

«Anche oggi è una giornataccia»
(illustrazione di Kataku, 2022)

20 ottobre. Ricevo alcune cartoline da casa e la rivista La piccola fonte (nota 3). Anche oggi è una giornataccia, secchi d'acqua si riversano sulle nostre povere teste di militari. Ciò nonostante, gli austriaci non ci fanno mancare una delle loro petulanti visite di cortesia, che le nostre mitragliatrici disperdono però senza fatica. Uno dei miei soldati viene ferito di striscio a un braccio, ma non è nulla di grave.
21 ottobre. Domani andremo a riposo, dove eravamo prima di venire quassù [a Valerisce], in un luogo poco arretrato ma abbastanza sicuro (nota 4). Sono felice che Dino (nota 5) abbia potuto avere una licenza, pur breve ma fresca fresca. Io, invece, sebbene il papà scriva che m'aspetta di giorno in giorno, non ho alcuna speranza di poter tornare a casa per Natale perché occorrono sei mesi di fronte per poter usufruire della licenza invernale di quindici giorni. Nel frattempo mi hanno fatto pagare la pistola, quella che mi hanno consegnato al deposito, 75 lire, una cifra non indifferente per chi non sente particolari affinità con certa ferraglia. 
24 ottobre. Siamo nuovamente in linea, appostati a Salcano. C'è una strana calma, smossa sola dalla inconsueta presenza nel cielo di alcuni aeroplani austriaci. Sembra essere imminente una loro offensiva, ma nulla di sicuro si sa. Nel pomeriggio il nemico bombarda le nostre linee, ma è un fuoco di paglia e, dopo un po', tutto torna tranquillo. Con le armi pronte a far fuoco, sotto una pioggia gelida, attendiamo. Il nero della notte ci avviluppa.



Dario Malini


N.B. L'autrice delle illustrazioni è Kataku, giovane e valente artista pisana. 

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Note

1. L'ora chiamata dell'Ave Maria cade circa tre quarti d'ora dopo il tramonto.  
2. Olga Allegri, sorella minore di Attilio, era allora appunto quindicenne, essendo nata l'11 settembre 1902.  
3. La piccola fonte, rivista curata dall'associazione pro cultura popolare di Como, edita dal 1914 al 1947.
4. Il 119° raggruppamento (brigata Emilia) era posizionata a Salcano e si sarebbe spostata a Valerisce (a circa 16 km di marcia). 
5. Claudio, detto Dino, classe 1899, è il fratello di Attilio.   

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