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Fig. 1 Lorenzo Viani, Il martirio, xilografia, 1916 |
La presenza di particolari soggetti religiosi, in raffigurazioni che intendono denunciare la ferocia degli uomini nel contesto bellico, è un fenomeno diffuso nell’arte prodotta in un'Europa lacerata dalla guerra tra il 1914 e il 1918 e anni immediatamente seguenti. In particolare, il tema del martirio trova declinazioni pregnanti, soprattutto in ambito espressionista.
Di singolare forza espressiva è, ad esempio, l’opera di guerra del maestro versiliese Lorenzo Viani (Viareggio 1882 - Lido di Ostia 1936) il quale, oltre alla nota serie di xilografie create per accompagnare la narrazione diaristica del tenente Marino Ferretti, Dall’Ermada a Mauthausen (nota 1) – la cui atroce vicenda, dalla cattura, alla deportazione alla prigionia si configura come una sorta di via crucis –, ha realizzato in quegli anni una xilografia dal titolo Il martirio (fig. 1), cui rivolgiamo ora la nostra attenzione. In una sola immagine l’artista va a condensare la condizione dell’uomo sacrificato dal meccanismo brutale della guerra, ridotto ad uno stato larvale. Deformata nel corpo (con i piedi gonfi in massima evidenza), avvolta in un drappo o, forse, in un saio dal cui cappuccio affiorano le fattezze del volto prostrato, la figura, sbalzata fra i solchi delle sgorbie, evoca un’opera scolpita a bassorilievo. La durezza dei contorni scuri parrebbe quasi racchiuderla in un blocco solido, quasi fosse immurata. Vera icona del supplizio e della sofferenza, questa potente immagine di un martire, priva di connotazioni specifiche, assurge a simbolo pregnante di tutte le vittime della guerra. Nel settembre 1917, nel Diario di guerra, Viani descriveva il trasporto al cimitero di Zagara di un soldato morto, paragonandolo a Cristo condotto al sepolcro (nota 2):
Come un soldato antico
steso sulle tombe di pietra in Aquileia
Lo scendevano pieni di timore,
con amore,
su rami di faggio puliti prestamente,
pieni di ramette verdi,
come il Venerdì Santo di Passione
Gesù Cristo a processione.
A evocare la condizione degli uomini catapultati nell’immane carnaio della Grande Guerra, altri artisti hanno fatto ricorso alla figura assai emblematica di San Sebastiano. |
Fig. 2 Gaudier-Brezska, Il martirio di S. Sebastiano, disegno, 1914 (© IWM Art.IWM ART 15357) |
È il caso, ad esempio, dello scultore francese Henri Gaudier-Brezska (Saint-Jean-de-Braye 1891 - Neuville-Saint-Vaast 1915) che, in un disegno del 1914, intitolato Il martirio di San Sebastiano (conservato all’Imperial War di Londra), sembra avere fermato sulla carta una visione premonitrice della propria fine tragica (fig. 2). L'artista, per evitare il servizio militare, si era trasferito in Inghilterra già prima della guerra. Quando, nel 1914, rientrò nel suo paese, venne arrestato per diserzione. Riuscì tuttavia ad evadere e a tornare a Londra dove però, avendo probabilmente mutato parere, si presentò al Consolato francese per rientrare in Francia. Il 21 settembre venne quindi arruolato e inviato dapprima nella regione della Champagne e poi in Piccardia. Il primo gennaio 1915 venne nominato caporale e il 21 maggio, sergente. Morì al fronte il 5 giugno, all’età di 23 anni, colpito alla testa durante la prima battaglia dell’Artois. Nella grafica qui presentata, che il titolo vorrebbe riferita a San Sebastiano, è rappresentata un’esile figura che – priva di qualsiasi connotato riconoscibile – si agita nel vano tentativo di proteggersi dai colpi di un plotone di esecuzione composto da quattro uomini. Nulla v’è in questa raffigurazione che possa rimandare alla vicenda del santo cristiano, salvo il fatto di avere come soggetto un uomo che soggiace a una brutale aggressione (che può in qualche modo riportare alla mente il martire anonimo rappresentato da Goya ne La fucilazione del 3 maggio 1808). Come nell'iconografia cristiana evocata dal titolo, anche qui si percepisce la sproporzione tra la condizione di isolamento e vulnerabilità dell'uomo - fragile come una canna al vento - e la potenza della macchina da guerra che muove con brutale, efferata e ingiustificabile violenza, contro di lui.La figura di San Sebastiano, quale immagine paradigmatica del martire, risulta ricorrente nelle opere d’arte prodotte nel corso della Grande Guerra.
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Fig. 3 Egon Schiele, Martirio di S. Sebastiano, disegno, 1914-1915 |
Partiamo, quale primo esempio di tale iconografia, dalla raffigurazione di Egon Schiele di fig. 3, soggetto che non è mai stato messo in relazione alla guerra, ma che, per ragioni legate al contenuto e alla data d'esecuzione (da fissare tra il 1914 e il 1915), non sembra peregrino ipotizzare che risenta della temperie del terribile momento storico. Il disegno, passato di recente in asta (nota 3), presenta stringenti rapporti con un manifesto realizzato dall’artista per l’esposizione del 1915 alla Galleria Arnot (nota 4), nel quale è raffigurato il medesimo personaggio di San Sebastiano. Si tratta di una delle immagini più conosciute della produzione di Schiele, in cui l’artista ha rappresentato se stesso nelle vesti del santo martire. Schiele prestò il servizio militare esercitando un lavoro d'ufficio in un campo di prigionia dove ebbe il permesso di ritrarre gli ufficiali russi che vi erano detenuti. A differenza di Gaudier-Brezska, non venne mai mandato a combattere in prima linea, a causa di un problema cardiaco. Schiele si è qui ritratto con le mani aperte, posa che richiama la crocifissione. Una freccia è penetrata in profondità nel suo costato e un’altra gli trapassa il braccio. La condizione di sofferenza è enfatizzata dalla posa, con gli arti levati, la testa reclinata, il viso sfigurato dal dolore. L’immagine, ripresa in scorcio laterale, è atta a suscitare nello spettatore commozione e partecipazione al dramma vissuto dall’artista-Sebastiano.
Esplicitamente legate all'evento Grande Guerra sono invece le rappresentazioni di San Sebastiano di alcuni esponenti dell’Espressionismo tedesco.
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Fig. 4 Willi Geiger, Martirio di S. Sebastiano, litografia, 1914 |
È il caso della litografia realizzata nel 1914 da Willi Geiger (Schönbrun, presso Landshut 1878 - Monaco 1971), in cui l’artista ha trasposto il senso dalla propria esperienza di combattente (fig. 4). Sullo sfondo dell’opera è raffigurato l’imperversare di una battaglia, mentre, in primo piano, il santo è trafitto dalle frecce, seduto su un tronco o forse un masso, la testa appoggiata sulla spalla, le braccia incrociate sul ventre. La ripresa ne pone in forte evidenza lo stato larvale, inducendo lo spettatore a prendere coscienza del dramma che la logica distruttiva della guerra moderna sta rinnovando. Geiger ha dunque operato un’attualizzazione, evocando attraverso la vicenda di Sebastiano il supplizio di tanti soldati, vittime innocenti della macchina bellica.
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Fig. 5 Willy Jaeckel, Martirio di S. Sebastiano, acquaforte, 1919 |
Ancora in ambito espressionista si colloca il San Sebastiano inciso da Willy Jaeckel (Breslau 1888 - Berlino 1944) in un’acquaforte nel 1919 (fig. 5), nella quale l’artista ha ripreso in controparte il soggetto di un proprio dipinto del 1915 (facente parte delle collezioni della Kunsthalle di Amburgo). La scena è ispirata al San Sebastiano di Tiziano (conservato all’Eremitage di S. Pietroburgo), ricalcandone la posa, con le braccia del santo legate al tronco di un albero e la testa ricadente. A differenza del precedente tizianesco, in cui il santo subisce il supplizio senza alcun moto di ribellione, il martire del maestro espressionista è colto però nell’atto di emettere un urlo disarticolato, in un chiaro moto di rivolta contro il tormento inflittogli dalla follia degli uomini. È questa un’opera di denuncia dell’insensatezza della guerra, «un'allegoria della condizione dell’uomo posto sotto la pressione degli inspiegabili supplizi che gli vengono inflitti da altri popoli» (nota 5). Nel dopoguerra l’iconografia di San Sebastiano è stata talvolta riproposta per alludere anche alla prostrazione sociale economica e morale della Germania sconfitta, in scultura (Karl Albiker), in pittura (Otto Scubert) e nella grafica, Otto Dix. Quest’ultimo, nel 1924, ha effigiato S. Sebastiano in un disegno a inchiostro e acquarello (nota 6), ora conservato nel Kunstsammlungen di Dresda (Otto Dix, st. Sebastian, ca. 1920). Il corpo del santo, sfigurato dal numero impressionante di frecce che lo rivestono, è reso pressoché irriconoscibile. Come nelle incisioni della serie Der Krieg risalenti allo stesso periodo, in questa grafica Dix sembra rievocare l’orrore e la mostruosità della guerra nella carna viva dell’uomo per generare nello spettatore una reazione di rivolta e di disgusto.
L’analisi delle opere fin qui condotta ci induce, giunti a questo punto, a proporre alcune considerazioni. La più grande sorpresa è stata constatare la profonda trasformazione che, nel contesto dell’arte di guerra, ha subito l’immagine di San Sebastiano. Se dal Rinascimento in avanti il corpo di questo martire, nonostante le frecce del martirio, era raffigurato intatto, in quanto considerato espressione di pura bellezza, emblema della salute fisica percepita in un modo quasi pagano, le opere qui prese in esame attestano un completo stravolgimento di tali connotati tradizionali. Sfigurato nelle membra, disarticolato, deforme e deturpato, questo nuovo San Sebastiano reca impressi nel corpo e nella carne i segni dell’orrore dei tempi moderni. Un periodo storico colmo di inedite sciagure, privo di speranza, che ha rinunciato alla bellezza quale espressione di armonia tra uomo e cosmo, destinato a implodere nella desolazione e nel caos della devastazione e del disfacimento. E così, l'antica immagine vitalistica del santo, assume nel nuovo contesto una imprevedibile pregnanza e capacità di denunciare gli orrori perpetrati dall'uomo contro l'uomo.
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Note
1. Viani eseguì 12 xilografie (compreso il frontespizio) per questo diario edito nel 1922 a Montecatini, a cura dell'Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi di Guerra. L'opera di fig.1 qui descritta non fa parte di questa serie.
2. L. Viani, Al soldato morto in Il romito di Aquileia, Editore Zappa, Sarzana, senza data, p. 8.
3. Il disegno è stato venduto in asta da Sotheby’s. L’immagine è di pubblico dominio.
4. Il disegno preparatorio per il manifesto è conservato all’Historisches Museum der Stadt di Vienna.
5. Ulrich Krempel in Bilder sind nicht verboten, cat. mostra Düsseldorf Kunsthalle, Düsseldorf 1982, p. 245.
6. Non possiamo fornire l’immagine, non avendo ottenuto la concessione dei diritti di riproduzione.
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