Motivi religiosi nell’arte della Grande Guerra (1): la Vergine addolorata

Fig. 1 Willy Geiger, Dolorosa, litografia, 1914

In Germania, il gallerista ed editore Paul Cassirer, di origini ebraiche (parente del noto filosofo Ernest Cassirer), fondò la rivista «Kriegszeit», animandola di sentimenti marcatamente nazionalistici con il contributo di opere grafiche di artisti diversi, molti dei quali erano membri della Secessione berlinese (nota 1). Se nelle opere proposte dal periodico prevalevano le voci dei sostenitori della guerra (allora dominanti nella società tedesca), vi trovavano espressione anche posizioni diverse, velatamente pacifiste o comunque non allineate al sentire più generale, facenti riferimento anzitutto all’ostilità al regime imperiale degli esponenti del movimento secessionista.
È il caso dell’artista-soldato Willy Geiger (Schönbrun, presso Landshut 1878-Munich 1971) che, pur inizialmente favorevole all’intervento, tanto da arruolarsi volontario, abbandonò molto presto i furori bellicisti. Le opere che realizzò fin dai primi anni del conflitto mostrano accenti di grande coinvolgimento, incentrandosi sul tema dei caduti, che egli raffigurò come vittime sacrificali. La sua litografia intitolata Dolorosa, pubblicata nel numero del 23 settembre 1914 di «Kriegszeit», è da questo punto di vista alquanto significativa (fig. 1). Vi viene ripresa l’iconografia tradizionale dell’Addolorata trafitta da tre spade, cui è associato il tema del soldato ferito a morte. Nel grembo della Madonna è accolto il corpo di un giovane militare che, deposto accanto a sé il fucile, sostiene con una mano l’elmo a punta, mentre con l’altro braccio si copre il petto, premendo sulla sua ferita. La Vergine, a sua volta, sostiene quel braccio con il proprio, andando a posare la mano sul cuore del soldato; una mano cui l’artista conferisce grandi dimensioni, quasi ad enfatizzarne l’azione protettiva. In questa grafica possiamo osservare la commistione di due iconografie differenti: quella della Vergine dai sette dolori e quella della pietà, per cui il soldato-figlio prende il posto di Cristo nel grembo della madre-Vergine addolorata. Si tratta di un’opera intima, nella quale il tema della sofferenza è affrontato con profondità, misura e intenso misticismo. All’insensatezza e alla brutalità della guerra Geiger contrappone una visione capace di assegnare un significato al dolore dei soldati caduti, costruendo un'immagine di notevole armonia per la delicata gestualità e la studiata struttura compositiva. 

Fig. 2 Willy Geiger, Dolorosa, litografia, 1918

Di questa litografia l'artista realizzò una successiva versione (fig. 2) per un portfolio di 10 grafiche, edito a Monaco nel 1918, in edizione speciale da Graphik-Verlag con una tiratura di 300 esemplari, intitolato Unseren Helden (Per i nostri eroi), dedicato alla memoria del fratello Wolfang, morto in guerra il 20 agosto 1914. In questa grafica, Geiger apportò alcune significative modifiche rispetto al modello, eliminando alcuni elementi accessori allo scopo di conferire maggiore concentrazione al tema cardine. In particolare, in luogo dell’elmo del fucile, il giovane tiene in mano un oggetto di difficile identificazione, forse un cartiglio, in cui potremmo immaginare che sia contenuto un messaggio quale una richiesta di intercessione. Un’altra differenza tra le due versioni si riscontra nella più limitata ombreggiatura del profilo del volto del ferito delineato nella grafica più recente, che, posato sulla spalla della madre, va a creare una suggestiva struttura simmetrica basata su un gioco di contrapposizioni luministiche.
Le pubblicazioni del «Kriegszeit» vennero sospese a partire dal 1916 quando Cassirer diede avvio alla pubblicazione di un altro periodico, «Der Bildermann», con il quale perseguiva un nuovo programma culturale volto ad abbracciare orientamenti palesemente pacifisti. L’editore, pur continuando a pubblicare le litografie originali dei giovani artisti secessionisti, si proponeva di offrire al pubblico uno spazio interamente dedicato alla contemplazione della «bellezza», intesa a soddisfare un bisogno «di qualcosa di alto e di puro», da opporre alle brutture e agli orrori della guerra, come egli stesso dichiarava nella prefazione al primo numero uscito nell’aprile del 1916 (nota 2). 

Fig. 3 Ernest Barlach, Dona nobis pacem !, litografia, 1916

Molti furono gli artisti che vi contribuirono, come il maestro espressionista Ernest Barlach (Wedel, 1870-Rostock, 1938) il quale, in opere di ispirazione mistico-religiosa, poteva esprimere la visione antimilitarista cui era approdato, dopo aver superato una prima fase favorevole alla guerra. Nella copertina per il numero di dicembre 1916 di «Der Bildermann» apparve la sua litografia Dona nobis pacem! che sembra trarre spunto, come l’opera di Geiger sopra descritta, dal tema della Vergine addolorata (fig. 3). Al centro dell’immagine, circondata da un nembo di luce, si erge una figura femminile, contro la quale sono indirizzate numerose spade provenienti da ogni direzione. La donna solleva le mani verso l’alto in segno di supplica, mentre ai suoi piedi, protetti dalle sue vesti, sono raccolti - in un ammasso apparentemente indistinto - numerosi uomini (ovvero il popolo intero), a malapena riconoscibili sotto gli avvolgimenti dell’abito muliebre. È qui presentata una visione del dolore universale che affligge l’intera umanità martoriata la quale, raccolta ai piedi della donna, confida nel potere della madre celeste di intercedere nelle più alte sfere per riportare la pace nel mondo. Barlach, come Geiger, adotta dunque una simbologia religiosa per esprimere la necessità di prestare soccorso a un popolo prostrato per il sacrificio dei propri figli. 
La riproposizione di iconografie religiose antiche, risalenti al Medioevo, nel contesto di una modernità che ha conseguito una potenza tecnologica smisurata, tale da poter indurre ad aspirare al dominio su tutti e su tutto, è un fenomeno che merita attenzione e suscita interrogativi. Inducendo a domandarsi, ad esempio, se delle opere come quelle qui esaminate possano in qualche modo essere rappresentative di un’epoca siffatta; oppure, al contrario, se non vadano piuttosto a evidenziare uno scollamento, tratteggiando una umanità impreparata a tenere a bada i demoni (non solo tecnologici) che la modernità le ha messo a disposizione. In ogni caso, la riproposizione di un tema antico come quello qui esaminato, anche a motivo della stessa ambiguità che assume nel nuovo contesto, non può che rappresentare un segno gravido di senso, e di non trascurabile portata, capace di  aprire un nuovo punto di vista sugli eventi tragici che hanno aperto il secolo scorso, segnando il passaggio verso la modernità.


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Note
1. La Secessione di Berlino fu un movimento artistico sorto in contrapposizione alla tutela imperiale delle arti, e alle tendenze conservatrici dominanti nelle accademie, allo scopo di promuovere le tendenze d’avanguardia. Artisti come Max Liebermann (che venne nominato presidente del gruppo), insieme a Lovis Corinth e Max Slevogt introdussero l’Impressionismo in Germania, trasformando Berlino in una città aperta agli sviluppi dell’arte internazionale. Si schierarono dalla loro parte, a favore dell’arte moderna, anche collezionisti e mecenati, come Cassirer, le nuove gallerie e le riviste d’arte più aggiornate (come «Pan» e «Kunst und Kunstler»).
2. Sulla svolta compiuta da Cassirer nel nuovo periodico si veda il capitolo “Der Bildermann” in Peter Paret, The Berlin Secession. Modernism and its enemies in Imperial Germany, Cambridge Mass.-London, 1980, p. 240 e segg.

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