Corriere della Sera dell'1 agosto 1914 |
Colui che vorrà un giorno rivivere non soltanto la guerra, ma il «pathos» della guerra, consulterà invano i documenti dei Grandi Stati Maggiori; ma troverà in questo libro, e forse soltanto in questo, quanto negli altri volumi ha cercato.
Questo libro contiene le cose che sono successe dalla uccisione dell'arciduca Francesco Ferdinando da Este, sino al tempo — quasi obliato oramai — che le armi della Germania parvero vittoriose sopra l’Europa. È detto diario, perché le cose sono quivi scritte quasi giorno per giorno; è detto sentimentale perché, a differenza di quelli che scrivono con metodo e con una guida filosofica, qui niente è di queste rispettabili cose. Anzi una gran confusione. [...] rileggendo questo mio diario, mi domandai quasi con meraviglia: «Ho io vissuto questi sentimenti che qui descrivo?...» E rispondevo: «Non io soltanto, ma tutti noi abbiamo vissuto questi sentimenti!»
Diario sentimentale della guerra, Prefazione di Alfredo Panzini
Alfredo Panzini nel 1920 |
Nato a Senigallia, in provincia di Ancona, l'ultimo giorno del 1863, Alfredo Panzini iniziò a lavorare come insegnante nel 1886, pubblicando il primo libro di narrativa, Il libro dei morti, solo nel 1893, quando aveva già trent'anni. A questo fecero seguito altre pubblicazioni che riscontrarono un crescente successo di pubblico e di critica, in particolare, restando nel periodo di nostro interesse, La Lanterna di Diogene uscito nel 1907 e Le Fiabe della virtù, del 1911. Collaborò negli stessi anni con prestigiose riviste quali «Illustrazione italiana», «La Vita Internazionale», la «Nuova antologia», «La Voce».
Ecco come Emilio Cecchi (1884 - 1966), in un intervento pubblicato su «La Voce» di Prezzolini, nel 1910, tratteggia la figura di Alfredo Panzini:
In un momento di profonda tristezza storica nacque l'arte di Alfredo Panzini, il cui ingegno, per parte sua, era fatto per assorbire questa tristezza e quasi compiacersi di scavarla e approfondirla, piuttosto che per averne ragione. [...] Posto sul confluente di due epoche molto diverse, rappresentate rispettivamente da Giosuè Carducci e da Gabriele D'Annunzio, nei suoi romanzi, nei suoi racconti, nella sua critica, etc. egli è venuto esprimendo, con una velata accoratezza da reazionario, il rammarico di non aver potuto fare ingenuamente squillare la sua poesia nei modi rudi e sereni del maremmano, e, insieme, il non aver superato in un audace e sicuro umorismo certi atteggiamenti odiernissimi, che non lo soddisfano, mentre quell'umorismo che gli è venuto fatto, sembra, ad ora ad ora, oscurarglisi d'intima sfiducia, quasi a dare inconfessatamente ragione alle cose e agli ordinamenti cui sembrava volersi opporre. [...]Riportiamo anche alcune illuminanti riflessioni critiche di Renato Serra (1884 - 1915) sull'opera del Panzini, che terminano con una notazione che pone l'accento sulla rara capacità dello scrittore di restituire il sentire delle persone comuni:
Gli spiriti che sognano e preparano l’arte di domani possono salutare ormai Alfredo Panzini come un maestro; come forse il nostro scrittore più moderno. Debbon certamente guardare a lui, onde imparare, almeno, con quanto ardore contenuto, con quanto silenzio, con quante paziente eroica ferocia, occorra prepararsi.
Il Panzini è quasi il solo, oggi, artista schietto: non si dice che sia grandissimo, ma è della famiglia dei grandi. Lavora anche lui per il nostro mercato letterario, pressappoco come gli altri, in apparenza; è uscito a mano a mano da quella ombra mezzana in cui era rimasto con le prime cose, e si trova oramai in prima luce, pur senza rumore e senza spicco soverchio, che non è da lui; ma i giornali e le riviste lo cercano, il pubblico lo legge, e la critica la ha esaminato con serietà. Si direbbe anzi che si sia piegato un po’ verso il suo pubblico; lasciando quella parte quella forma di libro personale, che ci ha dato fin qui il suo capolavoro, la Lanterna, e limitandosi alle novelle di tipo più correnti, come sono nelle ultime due raccolte. Ma non è vero affatto. Insieme con le cose comuni altre son venute fuori, personalissime anche nella forma […]. Pochi hanno mai parlato come lui delle madri e dei figli; dei vecchi e dei giovani.Vedremo direttamente, nello sfogliare il Diario sentimentale della guerra, di quale originale commistione di humor, graffiante ironia, cultura e candore sia fatta la prosa di questo artista che fa della digressione, del mutamento di punto di vista, della notazione erudita e illuminante alcuni degli elementi portanti del suo narrare. L'aspra, per quanto sempre venata d'umorismo, critica verso la modernità che ne caratterizzano il pensiero e lo stile, stridendo con l'entusiastica aderenza al proprio tempo e alla modernità delle avanguardie, è stata talvolta motivo di letture falsate della sua figura di intellettuale. Scrive ad esempio un non meglio identificato giornalista che si firma "gm", tratteggiando un per altro benevolo profilo del nostro in Rivista di letture (fascicolo 9 del settembre 1923):
[...] e il Panzini ci appare sempre quello che realmente è, un ironista e un moralista, con tendenze spiccate al pessimismo ed al misoneismo, e un profondo ossequio al patrimonio tradizionale di idee e sentimenti che lo possono raffigurare nell'aspetto di un eterno laudator tempori acti.Noi, posteri accreditati del Panzini - poiché da lui sufficientemente distanti nel tempo - possiamo oggi constatare come tale approccio controcorrente si sia rivelato, in molte circostanze, lungimirante, e talvolta persino quasi profetico; da connettere, più che ad attardati ideali preconcetti, a una peculiare capacità dello scrittore di identificare ed interpretare i molti inquietanti segnali che si levavano sibillini - nonostante i favorevoli auspici di molti - dal secolo nascente.
Dario Malini
Note
1 La citazione viene riferita dallo stesso Panzini nell'Avvertimento a chi legge che apre l'edizione completa (da luglio 1914 a novembre 1918) del Diario sentimentale della guerra.
2 Diario sentimentale della guerra è stato recentemente ristampato presso le edizioni Pendragon, a cura di Marco Antonio Bazzocchi.
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