"Diario sentimentale della guerra" di Alfredo Panzini

Uscito nel 1923, Diario sentimentale della guerra di Alfredo Panzini (nota 1) racconta i fatidici dieci mesi durante i quali il governo italiano, a seguito dell'attentato di Sarajevo e della successiva dichiarazione di guerra dell'Austria alla Serbia, assunse prima una posizione di neutralità per poi passare, con un repentino cambio di alleanze, alla decisione di entrare attivamente nel conflitto a fianco dell'Intesa. Si tratta di un libro che ha messo sovente in imbarazzo lettori e critici. Scrive, ad esempio, Pirro Nardi su «I libri del giorno» del marzo 1924, recensendo il secondo volume del Diario sentimentale:
Ma vero è che, come non esiste possibilità di accoramento appassionato in questo scrittore, nemmeno esiste quella di speranze appassionate. La filosofia panziniana rimane nel libro odierno, quale era negli altri: la filosofia - è stato detto anche recentemente - del così è perché così dev'essere o, almeno, perché non può non essere così.
L'assenza di "accoramento" e "speranze" può essere facilmente decriptata come insufficiente adesione al mito nascente della Grande Guerra. In effetti, i mesi nei quali si andava decidendo l’entrata in guerra dell’Italia, vengono ripercorsi dal Panzini, in questo testo caleidoscopico che si avvale di continui cambi di registro espressivo e di punto di vista, con un atteggiamento trepidante ma disincantato. Diario sentimentale della guerra attinge alle voci della politica, della cronaca, della cultura e, anche e soprattutto, ad altro vitalissimo materiale - frasi, umori, stati d'animo, impressioni, riflessioni - raccolto dallo scrittore nel corso delle proprie quotidiane frequentazioni, senza che in tale resoconto acquisiscano un peso rilevante - se non, talvolta, in senso ironico - facili motivazioni precostituite di stampo nazionalista. Non è importante cioè - in un tale contesto - decidere se l'ingresso italiano nel conflitto rappresenti l'ultimo atto dell'epopea risorgimentale, si configuri come un momento costitutivo dell'unità nazionale o quant'altro. L'accettazione - attiva o passiva - delle ragioni della guerra nell'esperienza degli italiani diviene l'elemento essenziale dell'indagine: una mera questione fenomenologica o - anche - di fenomenologia clinica, in una visione che tratta il propagarsi della volontà interventista alla stregua di qualcosa come il diffondersi di una grave malattia epidemica. 

Il Diario sentimentale della guerra si apre con una dedica:
A te
soldato noto d'Italia
Renato Serra
Critico letterario di grande rilievo - nell'orbita de «La Voce» - scrittore e intellettuale appassionato, Renato Serra aveva contribuito in modo rilevante alla fama del Panzini cui aveva dedicato, nel 1910, un entusiastico saggio sulla rivista «La Romagna. I due, entrambi romagnoli, si erano conosciuti nel 1912, divenendo grandi amici nonostante la differenza d'età. Serra, caduto in combattimento sul Podgora il 20 luglio 1915, all'età di trentun anni, compare in diverse pagine del Diario sentimentale, tratteggiato sempre con parole colme di ammirazione per l'uomo e l'artista. La dedica non appare così priva di sarcasmo, implicando un'implicita condanna della violenza indiscriminata della guerra, come già avvertiva il succitato Pirro Narri al termine della sua recensione:
Delle "belle espressioni letterarie" [...] potrei offrire più di un esempio. La sensibilità, ch'essendone aliena, le fa sonare un tantino ammanierate e un tantino accademiche, andatela a cercare nelle pagine sul povero Renato Serra, al quale il libro è dedicato con parole non del tutto scevre anch'esse di ironia: A te, soldato noto d'Italia.
Come ogni indagine epidemiologica che si rispetti, anche quella del Diario sentimentale prende l'avvio con l'individuazione del "paziente zero" (nota 2):

Milano, luglio 1914
Fu il 30 giugno, giorno degli esami al Politecnico. Uno studente trentino giunse in ritardo. Aveva quasi le lagrime agli occhi per la commozione. La sera precedente — mi pare — era scoppiata la notizia della tragedia di Serajevo: l'arciduca Francesco Ferdinando da Este, l'erede al trono d'Austria, era stato assassinato. 
«Giustiziato!». 
«Come crede lei, caro giovane,» risposi «ma i frutti della violenza non mi piacciono».
«La storia procede per atti di violenza!». 
«Lo so; ed appunto per questo non è un'allegra storia. E quella povera arciduchessa?».
«Una reazionaria fanatica, peggio di suo marito». 
«E quei poveri figliuoli che non vedranno più i loro genitori?». 
«Questioni di dettaglio di cui non si può tener conto». 
Stetti un po' in silenzio. [...]
«Be'» dissi infine, «vada per la sua gioia! Un gran nemico» nemico aperto, conviene dirlo «d'Italia è scomparso; ma lei che cosa spera che venga fuori da tutta questa faccenda?»
«Una guerra immensa».
«Eh?».
«Per forza! L'Austria-Ungheria, con gli Slavi che, ora, le scappano da tutte le parti, è messa in una condizione disperata. Cercherà di venirne fuori con una guerra...».
«Vada, vada,» esclamai «scelga un posto e faccia un poco di compito».
E non volli sentire altro.

Non a caso, questo primo incontro riguarda un giovane studente, a sottolineare come tale categoria di individui fosse fin dall'inizio particolarmente permeabile al mito della guerra. Le università rappresentarono, in effetti, uno dei terreni di coltura più recettivi all'ideologia interventista, divenendone in seguito una rilevante cassa di risonanza.
Il 4 agosto, Panzini si sposta - come d'abitudine - nella località di villeggiatura romagnola di Bellaria, dove ha occasione di raccogliere gli umori della gente del luogo, refrattaria a qualsiasi furore bellico. 

Si parla sempre di chiamata di classi: i più evoluti assicurano che, in tale caso, sapranno ben loro quello che c'è da fare!
È venuta la chiamata alle armi di due leve, ma nessuno si è ribellato. Le teste si curvano come le cime degli alberi sotto l'uragano.
Ma l'oste, vecchio abbonato all’Avanti!, non si sa dar pace: «Ma come? la guerra? la guerra tra la Germania e la Francia? E i socialisti tedeschi?».
«Marciano con l'imperatore».
«Sarà, ma non ci credo».
Le notizie dell'invasione del Belgio gli hanno fatto una seria impressione. Lo sorprendo che catechizza certi giovanotti, sdraiati lungo una siepe: «Insomma, raghezz, se vengono in casa, bisogna che marciate anche vuiter

E mentre le notizie della guerra in corso giungono di giorno in giorno al paesello, si accavallano - nelle argute, ingenue, gustose e spesso assai partigiane riflessioni dei «proletari» bellariesi - gli umori, le interpretazioni, le premonizioni:

I giornali della sera (Corriere, Secolo) annunziano d'urgenza che i tedeschi sono a Compiègne: ottanta chilometri da Parigi. È uno smarrimento. È finita! Ma tutti sentono che non soltanto per la Francia è finita; ma anche per noi. [...]
All'osteria, la sera, al lume della lampada acetilene, quattro “proletari” giuocano tranquillamente a tresette.
«Adesso, con la guerra» dice l'oste «tutti hanno perso la testa. Si stava così bene prima...»
(Già, si stava così bene prima: bere vino, partite a tresette, un po' di sciopero ogni tanto, e guerra ai signori).
«Abbasso le armi e viva la pace!» esclama uno, possibile richiamato. 
«I signori fanno adesso la loro guerra, ma verrà il giorno che noi faremo la nostra!»
L'oste dice che anche i signori oggi non stanno bene. Legge: Due banchieri di Bruxelles, ostaggi per il pagamento dei 200 milioni.
«Ci sta ben bene ai signori» dice un calzolaio senza degnare di voltarsi. «Busso e striscio… Noi siamo proletari!»

Le note si susseguono con cadenza frequente rincorrendo, trepidanti, le varie fasi dei combattimenti al fronte: la rapida avanzata tedesca verso Parigi, l'insperata resistenza francese, le alterne vicende dei combattimenti in Russia, mentre l'estate giunge al termine. Panzini rientra a Milano, continuando a registrare sul suo taccuino il procedere del contagio interventista, che - come viene rilevato in più circostanze - sembra attecchire soprattutto tra i giovani. L'annotazione del 2 novembre ci pare particolarmente pregnante al riguardo:

2 Novembre
Nel giorno dei Morti. Gino... è venuto ier sera a salutarmi, dopo sei mesi che non lo vedevo. In fretta. Ha la carrozza alla porta. Parte per la Spagna. Però anche in quei pochi minuti, si parlò della guerra.
Dice gestendo convulsamente: 
«Sente lei odor d'ozono?»
«D'ozono?».
«Sì, l'odore sano, purificatore delle grandi tempeste! La guerra è la gran purificatrice. Gloria alla Germania! È la bancarotta completa della miserabile civiltà in cui noi credevamo! Monumenti, codici, diritto, proprietà, tutto crolla. Ed è la Germania — la nazione più avanzata in questa civiltà — che fa crollare tutta la vergognosa baracca». 
«Il guerriero» continuò lui sempre più entusiasta «vincerà il mercante e il filisteo! Ricorda la profezia di Zaratustra?»
Così ci siamo lasciati. La sua carrozza è scomparsa nella notte, sotto la dolorosa pioggia. Egli parte per terre lontane!
Gino ha diciannove anni!
Tutti questi giovani fanno lo stesso ragionamento : vogliono la purificazione ideale. E non capiscono che la purificazione non può essere che un fatto interiore. Anche quello che ha scritto quell'articolo apocalittico sull'Avanti! deve essere un giovane.
Mi piacerebbe che ognuno che scrive, mettesse oltre al nome, l'età, e come sta di salute.

La prospettiva dell'imminente entrata in guerra dell'Italia atterrisce l'autore, che ne registra tuttavia diligentemente i segni premonitori. Senso di impotenza e fastidio per l'indifferenza di molti che l'attorniano caratterizzano il suo sentire in questa fase.

26 Dicembre 1914
La guerra in primavera! È su le labbra di tutti. Dunque, gennaio, febbraio, marzo: tre mesi di vita. Chi ne sa niente? Non credo che l'Italia voglia la guerra: è il terreno, sono le sabbie mobili, che franano verso la guerra. V'è chi dice che il Governo fa spese militari approfittando del silenzio a cui sono costretti i socialisti.
La gente però è come prima. Per Natale, la gente ha mangiato torrone, mostarda, panettone, pan certosino; il Papa è stato su le generali: ha detto in concistoro: «Deh, cadano al suolo le armi fratricide!». Il terreno si muove anche sotto i piedi di lui, pontefice, come degli altri uomini.

Poco dopo, la medesima sensazione di impotenza viene ribadita tramite l'efficace metafora del treno in corsa:

Mi pare di essere in un treno, e di avvicinarmi alla stazione chiamata Terminus. Non capisco perché prendo questi appunti. Forse come il grammatico, che sta per morire e seguita a coniugare «morior mòreris, e non morèris

E quindi, qualche pagina più oltre, la guerra viene infine equiparata alla peste:

Una vignetta dell'Avanti! dei passati giorni (12 febbraio) figura una lunghissima trappola, e ad ogni buco della detta trappola sta un topo impiccato, Francia, Germania, Russia, Austria, ecc., ecc. Soltanto uno dei buchi è libero, e attorno ad esso, va saltellando, ancor libero, un topolino: l’Italia.
Può l'Italia, che sta in mezzo all'incendio, sottrarsi al destino comune?
Uomini di senno e di guerra dicevano sino a ieri: «Vedrete che la guerra cesserà per esaurimento!»
Forse c'è da sperare nella peste, col primo apparire del potente sole, come diceva in agosto quel medico a Bellaria.
Ahi! Non c'è più da sperare nella peste, come al tempo dei Promessi Sposi! La scienza ha debellato la peste! Quella dei bubboni.

Negli ultimi giorni del 1914, l'autore registra sconsolato uno degli inquietanti effetti di questa nuova peste: la capacità d'alterare le coscienze (oppure, al contrario, di svelarne l'intima essenza; si veda a tale proposito l'annotazione del 24 maggio 1915, al termine del presente intervento):

Ma io sono rimasto stupefatto il giorno in cui ho letto queste parole, che proprio uscirono dalle labbra di Augusto Murri, il grande medico, il quale fu sempre nemico di ogni guerra. Egli disse: «Per la giustizia e per la coscienza oltraggiate dalla Germania è ben fatto anche il sacrificio della vita umana».
Ho pensato lì per lì: che sia avvenuta una rivoluzione nel cervello di Augusto Murri? Perché oltre che nemico di ogni guerra, egli era anche socialista (nota 3).

Gli appunti dei mesi seguenti confermano l'estendersi del "contagio". L'entrata in guerra dell'Italia pare ormai al Panzini ineluttabile, al di là ogni volontà o considerazione razionale:

20 aprile 1915
Sono uscito dal banchetto con la testa bassa senza poter dire parola. V'è qualcosa di ineluttabile! e anche se la guerra all'Austria è un errore [...], tutta la storia d'Italia vi sospinge. 

Concetto ribadito - con una di quelle trovate di sapore "letterari0" che alcuni critici gli rimproveravano - nello scritto di una ventina di giorni dopo:

11 maggio 1915
L'on. Giolitti è venuto a Roma. Che cosa succederà? […] Giolitti non crede necessaria la guerra. […] Ci vuole la guerra, o non ci vuole la guerra? Questo nessuno lo sa. Si sa che il Parlamento, per tre quarti, e la nazione idem, non la vuole: la subisce come un'ananke. Ma è realmente un'ananke : questo lo sentono tutti (nota 4).

È significativo notare come il Panzini, nonostante disapprovi in gran parte le tesi interventiste, si dimostri infastidito anche dalle argomentazioni contrarie alla guerra della Chiesa e dalla posizione neutralista ad oltranza dei socialisti. Si tratta di una precisa denuncia della scarsa capacità comunicativa e di acume politico delle voci contrarie all'intervento in Italia. Ecco, ad esempio, una nota, scritta nel mese di settembre 1914, riguardante la posizione del neoeletto papa Benedetto XV:

L'enciclica del nuovo papa contro la guerra non mi piace niente. Ma lasci stare la Madonna!

Ed ecco invece cosa annota, nel maggio 1915, in merito alle tesi dei socialisti:

L'Avanti! di oggi scopre, come si suole dire, le batterie; dichiara apertamente che quello di prima era stato riserbo di vigile attesa. Denuncia il ministro Salandra di illegalità costituzionale. Ma quello che fa più pena nel giornale socialista è quest'unica, implacabile, ottenebrante idea : «non esiste che il proletariato, non ci sono che le lacrime e il sangue del proletariato. Tutto il resto è borghese: guerra borghese». Ma non c'è che il proletariato che soffre? Senso di freddo, impossibilità di persuadere: come ragionare con una spaventosa testa di morto. Neutralità! E sia! Ma per considerazioni politiche, che ci possono anche essere, per un alto senso umano e civile! Ma no! Neutralità, perché non vi siano lacrime e sangue proletario! E dire che un socialismo illuminato avrebbe potuto trascinare dietro di sé quasi tutta la nazione, ed evitare la guerra! Non ha trascinato dietro sé, nemmeno se stesso!

Mentre in Italia i lugubri venti di guerra soffiano ormai sempre più da presso, il Panzini nei suoi appunti non nasconde una posizione scostante e sottilmente ambigua, documentando con notevole onestà intellettuale - assieme alle proprie - le controverse ed altalenanti reazioni emotive di molti intellettuali in quelle giornate convulse del maggio 1915.

14 maggio 1915
Giunti sull'orlo della guerra, l'on. Giolitti viene fuori con la nota combinata col Bülow delle concessioni territoriali che l'Austria è disposta a fare all'Italia. L'onta di un'Italia tacitata come una meretrice, è nel cuore più che nelle parole di tutti. […] Grave, sintomatica notizia leggo nel Carlino: un bersagliere ha gridato: morte all'Italia! un fantaccino ha sputato su la bandiera. Le grida di Viva l'Austria, sono qualcosa di più che un fenomeno sporadico.
Un po' per volta è tutta un'insurrezione di grida, di scritte contro Giolitti: traditore, tradimento! La grossolanità di questo signore certo è notevole. Ha trattato l'Italia come una lega socialista emiliana, contrattando la pace. 
Il principe di Bülow può ad ogni modo dire: Sehr gut! (nota 5). 
Ha affidato l'Italia al suo storico elemento: il tumulto. I preti gioiscono in silenzio.

Intimamente contraddittoria è anche la nota seguente:

16 maggio 1915, domenica
Il re ha respinto le dimissioni di Salandra. Che cosa è successo? L'urto dell'automobile Giolitti deve essere stato maldestro: esso si è rovesciato e l'avversario Salandra è passato avanti. Allora è la guerra.
Animazione grande, commovente, travolgente. Dal lato costituzionale è una situazione curiosa. Trecento deputati erano con Giolitti. Eppure ha vinto l'imponderabile!
Ora il problema è questo: reggerà l'Italia alla terribile prova?
Gli studenti del Politecnico, lì in piazza Cavour, mi hanno circondato perché faccia un discorso. Ma io non so parlare in piazza. Io dovrei dire così: «È necessario che una generazione aia sacrificata, perché...».
Ma il perché non lo so trovare.
Ma quegli occhi di giovani, stellati di passione, e insolitamente seri, fissi su me, mi danno una perturbazione profonda. Io le alate parole non le so trovare. Le parole di odio, nemmeno.

Il primo volume del Diario sentimentale della guerra (luglio 1914 - maggio 1915) termina così, senza certezze né proclami. E la guerra che attende l'Italia si prefigura forse nel viaggio di trasferimento dell'autore, da Milano a Bologna, che chiude la narrazione:

Si viaggia malissimo. Intanto siamo stipati come le acciughe. Per giunta si soffoca perché i carabinieri fanno chiudere i finestrini. Si viaggia al buio. Comincia un mondo nuovo?

Il secondo volume del Diario sentimentale (maggio 1915 - novembre 1918) si apre con un testo di grande potenza evocativa, che vogliamo riportare a chiusura di questo intervento. 

Bologna, 24 maggio mattina
Guerra! La mia preoccupazione non è la guerra. È un'altra cosa strana, cioè che non mai come in quest'ora mi appare trasparente l'animalità dell'uomo. Io, oggi, vedo la perfetta animalità umana: come le formiche, come gli insetti! Sì, grossi insetti parlanti noi siamo. Stupore immenso! Questi tram, questi insetti uomini, donne, queste bimbe e bimbi che vanno a scuola, bianchi, lucidi, composti! Vanno a scuola gli insetti? Il cielo di maggio è delizioso, è puro. [...] Vanno a messa gli insetti? E se sono insetti gli altri, io che sono? [...] Ah, se tutti gli uomini sentissero questo terrore dell'animalità, non farebbero la guerra, unicamente per non fare cosa che fanno gli altri insetti.

Tolta la maschera, ecco cosa resta - a parere del Panzini - dell'uomo e della cosiddetta società civile.


Dario Malini






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Note
1 La presente recensione riguarda il primo volume del testo, che tratta il periodo luglio 1914 - maggio 1915. Il secondo volume prosegue la cronaca sino a  novembre 1918.
2 Il paziente zero è il primo paziente individuato nel campione della popolazione di un'indagine epidemiologica.
3 Augusto Murri (Fermo, 8 settembre 1841 – Bologna, 11 novembre 1932) è un medico italiano. È considerato uno dei più grandi clinici del suo tempo, autore di una vastissima attività scientifica (Wikipedia).
4 Ananke è la dea greca che, per la religione orfica, rappresenta il destino, l'ineluttabile necessità del fato.
5 "Benissimo!", in tedesco.

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