Film sulla Grande Guerra del ventennio fascista (I parte)

Una cospicua fetta di film italiani concernenti la Grande Guerra, girati negli anni Venti, è purtroppo andata perduta, mentre anche ciò che rimane di quegli anni risulta sempre più difficile da visionare. Così, la fonte primaria da cui possiamo trarre notizie delle immagini e dei personaggi storici proposti da questa produzione consiste nell'abbondante  letteratura prodotta su questi temi negli anni Trenta
È di fondamentale importanza appressarci a questa cinematografia senza pregiudizi, considerandola il prodotto di un'epoca e non di un'ideologia: non cinema apertamente fascista, dunque, ma cinema e film del ventennio fascista(1)
Il controllo del passato era un’importante posta in gioco per il nuovo regime che infatti cercò di accreditarsi come il logico e inevitabile coronamento delle epoche più gloriose della storia nazionale. Il fascismo si appropriò in primo luogo delle vicende legate alla Grande Guerra, considerate come il punto di svolta decisivo verso la «nuova Italia», catalizzatrice delle forze nuove e rivelatrice della «volontà profonda» del paese e delle sue «immense risorse morali». Evento attraverso il quale gli italiani diventano «protagonisti», «masse» egemoni. E la vittoria, resa possibile dalla sofferenza e dalla «superiorità morale» degli italiani, e soprattutto dei reduci giovani, diviene «vittoria di popolo».
Caporetto e Vittorio Veneto rappresentano gli archi portanti di tale mitologia della Grande Guerra ri-proposta dall’ideologia fascista che, compresa la rilevanza del conflitto nella memoria collettiva nazionale, gli diede «un senso e un significato» e lo recuperò in senso positivo, facendone uno spartiacque tra passato, presente e futuro. Il partito fascista rappresentò se stesso, dunque, come erede legittimo della tradizione combattentistica, paladino dei giovani reduci, incarnanti lo “spirito” della Grande Guerra(2).


Già all'inizio degli anni Venti Luca Comerio, che disponeva di molto materiale originale girato durante la Grande Guerra, realizzò due documentari lunghi. Il primo, Sulle Alpi riconsacrate, intendeva mostrare, tra le altre cose, come il «passato di guerra e [il] presente di pace si saldano in uno sfondo di rinnovata grandezza per la Patria. [… e] anche la celebrazione delle gloriose ed epiche imprese delle Camicie Nere, degne continuatrici delle falangi del Carso, degli Altipiani e del Piave…». Nonostante lo scarso successo di questo documentario, Comerio ne realizzò subito un secondo, Giovinezza, giovinezza, primavera di bellezza, che affiancava alle riprese della guerra quelle delle adunate fasciste. Il film è strutturato in tre parti: la prima tratta della guerra, la seconda dei «fasci», la terza mostra l’adesione «totale» del paese al fascismo(3).
L’analogia e la “continuità” tra l’eroismo dei giovani fanti della Grande Guerra e quello delle “camicie nere” veniva messa in rilievo in tre film, tutti del '23: Passione di popolo, di Giuseppe Sterni, il mediometraggio Le tappe della gloria e dell’ardire italico, di Silvio Laurenti Rosa, che mostra con una rapida panoramica gli ultimi eventi della Prima guerra mondiale, il dopoguerra e la marcia su Roma; e Il grido dell’aquila, di Mario Volpe, che afferma la continuità tra Risorgimento, Grande Guerra e fascismo. Quest'ultimo film, che utilizza i codici narrativi del melodramma, nella prima parte (ambientata nel teatrino di una piccola cittadina veneta, nel periodo della guerra, dove si trovano tutte le maschere d’Italia) racconta la storia di diversi personaggi (Sandro Foscari, un cieco di guerra, la sorella e il fratellino di Sandro, il tenenti Aldo e il «tenente poeta» Acerri) e della casa Foscari, colpita durante un attacco aereo che causa la morte del fratellino di Sandro. Il tenente poeta allora scrive e realizza una commedia per le maschere trovate abbandonate nel teatro, ma la recita viene interrotta dalla notizia di Caporetto e dall’arrivo dei soldati austriaci. Il seguito del film, ambientato nel dopoguerra, evidenzia anzitutto le tensioni sociali di quel periodo, mostrando uno sciopero e la lotta politica con i “rossi” socialisti, coi quali si è messo Aldo. Tutto sfocia nella “redenzione” dello stesso Aldo, il quale partecipa alla marcia su Roma delle Camicie Nere che sfilano davanti al monumento del Milite Ignoto(4). Se ne Il grido dell’aquila, la guerra è dunque praticamente assente, non è certo priva d’importanza nell'andamento della vicenda, in quanto viene percepita come antecedente fondamentale del fascismo, sua vera «matrice»: il film quindi pone al centro della rappresentazione collettiva del passato l’immagine della Grande Guerra, una vicenda che «era penetrata nelle fibre più intime di milioni di persone», divenendo patrimonio collettivo, parte ineliminabile dell’ «immaginario» nazionale(5).


Un gruppo di film degli anni Venti, la maggior parte dei quali ormai irreperibili, hanno la guerra come sfondo. Tra essi alcuni di produzione napoletana si concentrano soprattutto sulle conseguenze della guerra sui singoli individui (disinteressandosi sovente della dimensione storica e sociale del grande evento nazionale): si tratta di storie di amori contrastati e di vicende a forti tinte d'esito spesso funesto. I protagonisti di queste storie sono giovani che, a causa di delusioni amorose, partono volontari per la guerra, perdendo in essa la vita o ritornando a casa mutilati(6).
Nei film dello stesso filone di produzione non napoletana, gli stessi temi sono raccontati con meno enfasi e retorica melodrammatica. Ne citiamo alcuni che alle tematiche dette aggiungono quella del contrasto tra fratelli. Brigata Firenze, di Gian Orlando Vassallo, è una pellicola incentrata appunto sul motivo dell'ostilità tra due giovani fratelli di carattere antitetico (uno «patriota» l'altro «infingardo»), ed è infine la resipiscenza del secondo a riportare la pace in famiglia. In Redenzioni d’anime del già citato regista Silvio Laurenti Rosa lo scontro tra fratelli nasce da un episodio familiare: durante uno scontro fisico tra i due, la  madre, intervenuta a dividerli, viene colpita e creduta morta. Il “colpevole”, fuggito in Francia, si arruola volontario nell’esercito francese, mentre il fratello viene reclutato in quello italiano. Questi muore eroicamente mentre il fuggiasco, distintosi in guerra, torna redento al paese ritrovando viva la vecchia madre(7).


Altri due film-documentari, entrambi del 1927, Da Icaro a Pinedo e I martiri d’Italia, diretti da due specialisti del genere come il più volte citato Silvio Laurenti Rosa e Antonio Gaido, propongono la tesi storiografica «continuista». Da Icaro a Pinedo mostra, attraverso una serie di “quadri” cinematografici, la vicenda gloriosa del volo italiano, terminando con le imprese di un asso come il giovane Francesco Baracca e con i record dell’aviazione fascista; I martiri d’Italia racconta invece la storia d’Italia proponendo nel finale immagini della Prima guerra mondiale e della presa del potere da parte di Mussolini. 
L’aviazione diviene uno dei temi preferiti dalla retorica fascista, in quanto protagonista della vittoria e simbolo della modernità e dello sviluppo industriale. Fu dunque la produzione cinematografica di documentari e di film di finzione (dal film di Laurenti Rosa agli ultimi del ventennio nel 1943) ad elaborare un vero e proprio mito del volo(8).


Stefano Cò

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Note:

1)       Sui film prodotti negli anni ’20 vedi i quattro libri di Vittorio Martinelli, Il cinema muto italiano, in “Bianco e Nero”, Edizioni Bianco e Nero/Centro Sperimentale di Cinematografia, Roma,  1980-81; sulla letteratura e sulla distinzione tra cinema fascista e cinema del ventennio vedi l’analisi sintetica di Gianfranco Miro Gori nel capitolo “Il film storico: una fonte per la storia” del suo libro Patria diva. La storia d’Italia nei film del ventennio, La casa Usher, Firenze, 1988, pp. 11-15.
2)       Per il controllo del passato, la creazione del mito della Grande Guerra da parte dell’ideologia fascista vedi Gianfranco Miro Gori, Patria diva. La storia d’Italia nei film del ventennio, op. cit. pp. 58-59; per il rapporto tra giovani reduci e regime fascista vedi i vari riferimenti in Robert Wohl, op. cit., pp. 290-ss., Patrizia Dogliani, op. cit., pp. 104-105, Luisa Passerini, nel saggio “La giovinezza metafora del cambiamento sociale”, in Giovanni Levi e Jean-Claude Schmitt (a cura di), Storia dei giovani. II. L’età contemporanea, op. cit., pp.; Jon Savage, op. cit., pp. 211-212.
3)       La citazione sul/dal primo film è tratta da Vittorio Martinelli, “Primi approcci tra cinema e fascismo”, in Immagine. Note di storia del cinema, n. 10, aprile-maggio 1985, p. 7; sul secondo documentario di Comerio, che venne finanziato dalla federazione fascista di Milano, vedi Gianfranco Miro Gori, Patria diva. La storia d’Italia nei film del ventennio, op. cit. p. 59.
4)       Sul piano dell’opera, diviso in quattro parti - gli episodi più gloriosi della prima guerra mondiale, gli sforzi nazionali per la guerra, crisi morale e materiale dopo la vittoria e prime lotte fasciste, esaltazione nazionale dell’esercito, della marina e del fascismo -, e la scarsa accoglienza della stampa e del pubblico; sulla mutilazione della copia disponibile presso la Cineteca Nazionale di 300 metri, la lacuna è appunto tra Caporetto e il primo dopoguerra; sulla trama più completa della seconda parte, vedi Gianfranco Miro Gori, Patria diva…, cit., pp. 66-67.
5)       Per la trasmissione delle varie eredità storiche apportate dai personaggi dei reduci del film e per il messaggio schematico, retorico, ma rilevante dell’appropriazione della memoria della grande guerra da parte dei fascisti, vedi Gianfranco Miro Gori, cit., p. 67-68; la citazione è tratta da Pier Giorgio Zunino, L’ideologia del fascismo. Miti, credenze e valori nella stabilizzazione del regime, Il Mulino, Bologna, 1985, pp. 104-105.
6)       Tra di essi, La leggenda del Piave, grande successo del 1924, ricco di avvenimenti romanzeschi, di scene madri, che divide in modo manicheo i personaggi tra buoni e cattivi, tra i primi la giovane protagonista, tra i secondi una spia austriaca che, respinta, tenta di violentarla riuscendoci solo quando le file austriache sfondano le linee a Caporetto, ma messo in fuga dal giovane amico della protagonista che muore «sventolando sulla cima di quota 218 il vessillo italiano che indica alle truppe l’ordine dell’avanzata» (“La rivista del cinematografo”, n. 7, luglio 1932, citato in Gianfranco Miro Gori, cit., p. 61); sui modelli narrativi simili e sulle brevi trame delle produzioni napoletane, tra cui alcuni film della regista Elvira Notari, autrice che è stata rivalutata negli ultimi anni, vedi Gianfranco Miro Gori, cit., p. 61.
7)       Su tali film in cui ricompare il tema del reduce mutilato o che trova al ritorno la fidanzata sposata, sui vari titoli di Redenzione d’anime, e sulla ripresa del tema patriottico dai film degli anni dieci vedi Gianfranco Miro Gori, cit., p. 61-62.
8)   Per una recensione de I martiri d’Italia che riconosce la continuità storica scrivendo «1915-18 e 1922: quarta guerra d’indipendenza, Marcia su Roma, avvento del Fascismo. La storia d’Italia può dirsi storia di Rivoluzioni» (G. Faraci, in La vita cinematografica, aprile 1927) vedi Vittorio Martinelli, Il cinema muto italiano, op. cit; per il mito fascista del volo e il vero e proprio genere creato dalla cinematografia italiana con i tredici titoli, seguendo involontariamente l’esempio di quella americana, vedi Gianfranco Miro Gori, cit., pp. 62-63.

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