La strage dell'Ortigara


Appena conclusa la X battaglia, Cadorna decise l'assalto agli Altipiani di Asiago. Nonostante il fallimento della Stafexpedition del maggio-giugno 1916, gli austriaci in quella zona avevano rafforzato le loro posizioni difensive, tenendo saldamente il controllo di una catena di colline la cui estremità settentrionale era il monte Ortigara. Da lì gli imperiali avevano una totale visuale sugli attaccanti  che ad ogni assalto dovevano scendere dalle loro posizioni e arrancare faticosamente in salita sotto il fuoco delle mitragliatrici nemiche. 
L'azione fu una catastrofe come testimonia il volontario di guerra Paolo Caccia Dominoni nel libro “1915 1919 diario di Guerra”: 
“ 28 giugno. C'è stata, in questi giorni, una sanguinosa battaglia, senza successo, per conquistare l'Ortigara. Venti battaglioni alpini macellati, e per niente.”  
L'analisi di Cadorna in merito a questa ennesima mattanza fu, ancora una volta, estremamente grossolana. Per il generalissimo i fanti non avevano attaccato come dovevano: “non c'è stata fede, non c'è stata decisione”. L'Ortigara, ancora oggi metafora di inutile carneficina, è ricordata dai canti improvvisati nelle trincee: “Quando poi che discendi al piano, / battaglione non hai più soldà!”, oltre che  dai versi della cantautrice contemporanea Chiara Riondino: 

Mio nonno partì per l'Ortigara,
diciannovenne vestito da alpino.  
E si spararono dalle trincee, 
contadino su contadino.

E li mandarono all'assalto un giorno
sotto il fuoco dell'artiglieria
che doveva spazzare via
i maledetti reticolati.

Ma avevano sbagliato misura
ed i trecento alpini arrivati,
di trecento tornarono in trenta
dopo una notte nella neve.
E nemmeno gli dissero grazie, 
nemmeno una licenza breve...  


Giancarlo Romiti



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