Mussolini giornalista: dalla neutralità all'interventismo

La scrittura giornalistica di Mussolini è graffiante, incisiva, aggressiva, finalizzata a trasmettere in modo chiaro ed efficace delle idee forti. Lucidi, privi di svolazzi o complesse strutture retoriche, gli articoli del giovane Benito vogliono anzitutto convincere, rivolgendosi a un pubblico quanto più possibile vasto, che includa anche le classi popolari.

In questo breve intervento leggeremo assieme alcuni brani tratti da articoli (a tesi neutralista) redatti da Mussolini mentre dirigeva l'Avanti!, facendoli seguire da suoi scritti (a tesi invece interventista) apparsi sul Popolo d'Italia. Cercheremo dunque di seguire le trame che trasformarono d'amblais una guerra "di aggressione e di conquista" (articolo del 26 agosto 1914) da evitare ad ogni costo, nella guerra-parola paurosa e fascinatrice da gridare con enfasi (articolo del 15 novembre 1914), in un'azione vitale per la nazione, da mettere in atto senza indugio, "che dovrebbe riempire d'orgoglio e di trepidazione l'animo di ogni italiano" (articolo del 14 febbraio 1915). Cambiamento che, sia ben chiaro, corrispose a reali movimenti tellurici interni al partito socialista (una cui componente, soprattutto giovanile, non gradiva il diktat della "neutralità assoluta"), ma che negli scritti di Mussolini (nei quali nulla di problematico fa capolino sino all'articolo sull'Avanti! del 18 ottobre 1914, di cui parleremo) appare particolarmente repentino, drammatico e inaspettato.

Cominciamo con un ampio estratto dell'articolo ABBASSO LA GUERRA, pubblicato il 26 luglio 1914 sull'Avanti! 


È la guerra!
Le responsabilità della catastrofe sono già fissate.
Esse ricadono in massima parte sull'Austria-Ungheria.
La Nota consegnata alla Serbia era un ultimatum. Ognuna delle «ingiunzioni» in essa contenute era - dice la consorella «Arbeiter Zeitung» «una negazione dell'indipendenza della Serbia». [...]
La situazione, dal punto di vista dell'Italia, si presenta in questi termini: se il conflitto rimane isolato fra l'Austria e la Serbia la guerra non potrà durare lungamente. Se l'Italia non avesse una diplomazia la cui inettitudine è ormai riconosciuta da tutti (quel marchese di San Giuliano è proprio un disastro nazionale!) compito dell'Italia sarebbe quello di adoperarsi a concludere rapidamente il conflitto guerresco e a tenersi intanto in atteggiamento di assoluta neutralità. 
Ma se la Russia scende in campo, allora la guerra austro-serba diventa guerra europea. L'Austria sarà appoggiata dalla Germania (le dichiarazioni degli «ufficiosi» tedeschi non lasciano alcun dubbio in proposito) e la Russia dalla Francia. L'atteggiamento dell'Inghilterra è incerto. Da quanto si sa essa non ha impegni formali né con la Russia né con la Francia. D'altra parte il linguaggio di molti giornalisti inglesi è tutt'altro che ispirato da simpatia verso la Serbia. 
E l'Italia?
Nel caso deprecato di una conflagrazione europea, qual è il suo posto? Accanto all'Austria contro la Francia? 
Noi non sappiamo quali siano i patti segreti di quella Triplice che fu così precipitosamente rinnovata dai monarchici all'insaputa e contro la volontà dei popoli, sappiamo solo e sentiamo di poterlo dichiarare altamente, che il proletariato italiano straccerà i patti della Triplice se essi lo costringeranno a versare una sola goccia di sangue per una causa che non è sua.
Anche nel caso di una conflagrazione europea, l'Italia, se non vuole precipitare la sua estrema rovina, ha un solo atteggiamento da tenere: neutralità assoluta.   
O il governo accetta questa necessità o il proletariato saprà imporgliela con tutti i mezzi. 
È giunta l'ora delle grandi responsabilità. Il proletariato d'Italia permetterà dunque che lo si conduca al macello un'altra volta? Noi non lo pensiamo nemmeno. Ma occorre muoversi, agire, non perdere tempo. Mobilitare le nostre forze. 
Sorga dunque dai circoli politici, dalle organizzazioni economiche, dai Comuni e dalle Provincie dove il nostro partito ha i suoi rappresentanti, sorga dalle moltitudini profonde del proletariato un grido solo, e sia ripetuto per le piazze e strade d'Italia: «Abbasso la guerra!»
È venuto il giorno per il proletariato italiano di tener fede alla vecchia parola d'ordine: «Non un uomo! Né un soldo!»
A qualunque costo!
Mussolini, Abbasso la guerra!, 26/7/1914

Intervento veemente, nitido nelle argomentazioni, aggressivo al punto giusto, rappresenta un ottimo esempio di scrittura giornalistica mussoliniana. In esso la presa di posizione contro la guerra è nettissima. 

Posizione ribadita senza mezzi termini in un altro articolo, sempre dell'Avanti!Il «Delirium tremens» nazionalista, pubblicato esattamente a un mese dal precedente. Ve ne proponiamo alcune righe assai significative.

Ad ogni modo noi dichiariamo che il proletariato non è disposto a battersi per una guerra di aggressione e di conquista, dopo la quale egli sarebbe non meno povero e sfruttato di prima. Il proletariato italiano è deciso a mantenere il suo punto di vista che è quello della neutralità assoluta sino alla fine del conflitto. [...]
Conclusione? Una sola. L'Italia deve rimanere neutrale. Noi socialisti - oppositori tenaci della guerra perché rappresenta la prova più acuta della collaborazione di classe e la forma estrema di sfruttamento del proletariato - noi socialisti siamo per la neutralità. Questa nostra posizione mentale, che si giustifica coi nostri principi, trova altresì la sua giustificazione profonda nella realtà della situazione. L'Italia non ha bisogno di eserciti della morte, ma di eserciti della vita. È già abbastanza dissanguata: badate, un altro salasso potrebbe esserle fatale.
Mussolini, Il «Delirium tremens» nazionalista, 26/8/1914


Parole apparentemente risolute e sprezzanti, che riguardavano una questione in realtà assai controversa e in fase di ebollizione. Una materia che causava non pochi dubbi a un Mussolini sempre meno convinto della posizione socialista della neutralità assoluta, e di cui sono note lettere e conversazioni che evidenziavano (fin dall'agosto del 1914) chiare tentazioni interventiste. 


Tutto ciò sfocerà infine nel famoso articolo Dalla neutralità assoluta alla neutralità attiva ed operante, del 18 ottobre 1914, ultimo intervento del nostro sull'Avanti! e primo scalino di un percorso incredibilmente repentino che lo condurrà ad abbracciare la tesi interventista.


Da molti segni, è lecito arguire che il Partito Socialista Italiano non si è «adagiato» fra i cuscini di una comoda formula quale è quella della neutralità assoluta. Comoda, perché negativa. Permette di non pensare e di attendere. Ma un Partito che vuol vivere nella storia e fare - per quanto gli è concesso - la storia, non può soggiacere - pena il suicidio - a una norma cui si conferisca valore di dogma indiscutibile o di legge eterna sottratta alle ferree necessità dello spazio e del tempo. Così, nessuna meraviglia, se il campo socialista è diviso in varie tendenze (intesa la parola nel vecchio e tediante significato). 

[...]
Ma è stata, ed è, veramente assoluta questa nostra neutralità socialista, o non è stata invece relativa e parziale? La neutralità «assoluta» doveva condurci ad assumere un atteggiamento di nirvanica impassibilità o di cinica indifferenza dinnanzi a tutti i belligeranti: blocco austro-tedesco e Triplice Intesa dovevano equivalersi perfettamente nel nostro giudizio: non dovevamo parteggiare - nemmeno idealmente - per l'uno o per l'altro dei contendenti, poiché questo penchant sentimentale di simpatia o di antipatia avrebbe potuto influire direttamente o indirettamente, a breve o lunga scadenza, sulla nostra condotta pratica. 
Ma una neutralità in siffatta guisa «assoluta» non è quella che il Partito Socialista ha sostenuto e patrocinato sin dall'inizio della crisi. La nostra neutralità è stata sin da allora «parziale». Ha distinto. È stata una neutralità spiccatamente austrotedescofoba e, per converso, francofila.
[...]
È un fatto indiscutibile, dunque, e le citazioni lo provano, che tutta la campagna antiguerresca del socialismo italiano è stata influenzata da questa nostra posizione iniziale. Noi abbiamo condannata la guerra, ma questa condanna del fenomeno, preso nella sua «universalità», non ci ha impedito di distinguere - logicamente, storicamente, socialisticamente - fra guerra e guerra. La guerra cui sono stati costretti Belgio e Serbia e in un certo senso anche la Francia, ha caratteri assai diversi dalla guerra del blocco austro-tedesco. Valutare tutte le guerre alla stessa stregua sarebbe assurdo e - ci sia concesso di dirlo - cretino. A guerra scoppiata, le simpatie dei socialisti vanno alla parte aggredita. Un altro elemento che contribuisce a determinare l'atteggiamento dei socialisti è la previsione delle conseguenze - più o meno favorevoli allo sviluppo delle nostre idee - che la vittoria degli uni o degli altri reca nel suo grembo sanguinoso.
Una neutralità socialista che prescindesse dai possibili risultati della guerra attuale, sarebbe non solo un assurdo, ma un delitto. Ecco perché, sin dai primi di agosto, ci siamo rifiutati - anche a costo d'insorgere! - di collaborare cogli Imperi Centrali; in quanto avevamo ed abbiamo ancora ragione di deprecare la loro vittoria. Di qui il duplice aspetto della nostra neutralità di socialisti. Simpatica verso occidente, ostile verso oriente. Benigna verso la Francia, arcigna verso l'Austria-Ungheria.
[...]
Marx opinava che «chi compone un programma per l'avvenire, è un reazionario». Paradosso! Nel nostro caso però, verità. Il programma della neutralità «assoluta», per l'avvenire, è reazionario. Ha avuto un senso, ora non l'ha più. Oggi, è una formula pericolosa, che ci immobilizza. Le formule si adattano agli avvenimenti, ma pretendere di adattare gli avvenimenti alle formule è sterile onanismo, è vana, è folle, è ridicola impresa. Se domani - per il gioco complesso delle circostanze - si addimostrasse che l'intervento dell'Italia può affrettare la fine della carneficina orrenda, chi - fra i socialisti italiani - vorrebbe inscenare uno «sciopero generale» per impedire la guerra che risparmiando centinaia di migliaia di vite proletarie in Francia, Germania, Austria ecc., sarebbe anche una prova suprema di solidarietà internazionale? Il nostro interesse - come uomini e come socialisti - non è dunque che questo stato di «anormalità» sia breve e, liquidi, almeno, tutti i vecchi problemi? 
E perché l'Italia - sotto la pressione dei socialisti - non potrebbe domani costituirsi mediatrice armata di pace, sulla base della limitazione degli armamenti e del rispetto ai diritti delle nazionalità tutte?
Sono ipotesi, eventualità, previsioni, sappiamo bene. Ma tutto ciò dimostra che noi non possiamo «imbozzolarci» in una formula, se non vogliamo condannarci all'immobilità. La realtà si muove e con ritmo accelerato. Abbiamo avuto il singolarissimo privilegio di vivere nell'ora più tragica della storia del mondo. Vogliamo essere - come uomini e come socialisti - gli spettatori inerti di questo dramma grandioso? O non vogliamo esserne - in qualche modo e in qualche senso - i protagonisti? Socialisti d'Italia, badate: talvolta è accaduto che la «lettera» uccidesse lo «spirito». Non salviamo la «lettera» del Partito se ciò significa uccidere lo «spirito» del socialismo!

Mussolini, Dalla neutralità assoluta alla neutralità attiva ed operante, 18/10/1914

La formulazione della neutralità attiva ed operante era certamente ben congegnata, al punto che non è inverosimile supporre che il direttore dell'Avanti! sperasse che potesse essere in qualche modo "digerita" dalla dirigenza socialista, anche perché tale tesi rispondeva a un diffuso malumore presente nella base del partito. Questa posizione, che non precludeva più dogmaticamente l'intervento, non lasciò infatti indifferenti i molti giovani socialisti che sentivano in modo impellente l'attrazione per la parola che lo stesso Mussolini griderà di lì a poco: «Parola paurosa e fascinatrice: guerra!». Ma l'articolo provocò invece l'immediata e irrevocabile reazione contraria della dirigenza, cosa che costrinse Mussolini a dimettersi dalla direzione dell’Avanti!. Trascorso neppure un mese, fondò un nuovo giornale destinato a notevole successo, Il Popolo d'Italia, schierato su posizioni interventiste a fianco dell'Intesa. Ed è proprio con la trascrizione completa del suo primo articolo apparso sul Il Popolo d'Italia, Audacia!, del 15 novembre 1914, che chiudiamo questo nostro intervento.


All’indomani della famosa riunione ecumenica di Bologna nella quale – per dirla con una frase alquanto solenne – fui «bruciato», ma non «confutato» io posi a me stesso il quesito che oggi ho risolto creando questo giornale di idee e di battaglia. Io mi sono dimandato: debbo parlare o tacere? Conviene che mi ritiri sotto la tenda come un soldato stanco o deluso, o non è invece necessario che io riprenda – con un’altra arma – il mio posto di combattimento? Vivere o morire, sia pure inghirlandato di molti elogi... postumi, alcuni dei quali avevano la deliziosa insincerità delle epigrafi pei defunti? Sicuro come sono che il tempo mi darà ragione e frantumerà il dogma stolto della neutralità assoluta, come ha spezzato molti altri non meno venerabili dogmi di tutte le chiese e di tutti i partiti, superbo di questa certezza ch’è in me, io potevo aspettare con coscienza tranquilla. Certo, il tempo è galantuomo, ma qualche volta è necessario andargli incontro.

In un’epoca di liquidazione generale come la presente, non solo i morti vanno in fretta come pretendeva il poeta, ma i vivi vanno ancor più in fretta dei morti. Attendere può significare giungere in ritardo e trovarsi dinnanzi all’inesorabile fatto compiuto, che lamentazioni inutili non valgono a cancellare. Se si fosse trattato e si trattasse di una questione di secondaria importanza, non avrei sentito il bisogno, meglio il dovere, di creare un giornale: ma, ora, checché si dica dai neutralisti del socialismo conservatore, una questione formidabile sta per essere risolta: i destini del socialismo europeo sono in relazione strettissima coi possibili risultati di questa guerra; disinteressarsene significa staccarsi dalla storia e dalla vita, lavorare per la reazione e non per la Rivoluzione Sociale. Ah no! I socialisti rivoluzionari italiani – sian’essi guidati dal raziocinio o spinti da oscure, ma infallibili intuizioni sentimentali – sanno qual è il grido che conviene lanciare al proletariato italiano. La neutralità non può essere un dogma del socialismo. Esisterebbero dunque solo nel socialismo e per aggiunta, nel socialismo italiano, delle verità «assolute» che possono sedare impunemente le ingiurie del tempo e le limitazioni dello spazio, come le verità indiscutibili ed eterne della rivelazione divina? Ma la verità assoluta attorno alla quale non si può più discutere, che non si può più negare o rinnegare è la verità morta; peggio, è la verità che uccide. Noi non siamo, noi non vogliamo esser mummie perennemente immobili colla faccia rivolta allo stesso orizzonte, o rinchiuderci tra le siepi anguste della beghinità sovversiva, dove si biascicano meccanicamente le formule corrispondenti alle preci delle religioni professate; ma siamo uomini e uomini vivi che vogliamo dare il nostro contributo, sia pure modesto, alla creazione della storia. Incoerenza? Apostasia? Diserzione? Mai più. Resta a vedersi da quale parte stiano gli incoerenti, gli apostati, i disertori. Lo dirà la storia domani, ma la previsione rientra nell’ambito delle nostre possibilità divinatorie. Se domani ci sarà un po’ più di libertà in Europa, un ambiente, quindi, politicamente più adatto allo sviluppo del socialismo, alla formazione delle capacità di classe del proletariato, disertori ed apostati saranno stati tutti coloro che al momento in cui si trattava di agire, si sono neghittosamente tratti in disparte: se domani – invece – la reazione prussiana trionferà sull’Europa e – dopo alla distruzione del Belgio, – col progettato annientamento della Francia – abbasserà il livello della civiltà umana, disertori ed apostati saranno stati tutti coloro che nulla hanno tentato per impedire la catastrofe.
Da questo ferreo dilemma non si esce, ricorrendo alle sottili elucubrazioni degli avvocati d'ufficio della neutralità assoluta o ripetendo un grido di «abbasso» che prima della guerra poteva avere un contenuto e un significato, ma oggi non lo ha più. 
Oggi – io lo grido forte – la propaganda antiguerresca è la propaganda della vigliaccheria. Ha fortuna perché vellica ed esaspera l’istinto della conservazione individuale. Ma per ciò stesso è una propaganda anti-rivoluzionaria. La facciano i preti temporalisti e i gesuiti che hanno un interesse materiale e spirituale alla conservazione dell’impero austriaco; la facciano i borghesi, contrabbandieri o meno, che – specie in Italia – dimostrano la loro pietosa insufficienza politica e morale; la facciano i monarchici che specie se insigniti del laticlavio, non sanno rassegnarsi a stracciare il trattato della Triplice che garantiva - oltre alla pace (nel modo che abbiamo visto) - l’esistenza dei troni; codesta coalizione di pacifisti sa bene quello che vuole e noi ci spighiamo ormai facilmente i motivi che ispirano il suo atteggiamento. Ma noi, socialisti, abbiamo rappresentato – salvo nelle cronache basse del riformismo mercatore e giolittiano - una delle forze «vive» della nostra Italia: vogliamo ora legare il nostro destino a queste forze «morte» in nome di una «pace» che non ci salva oggi dai disastri della guerra e non ci salverà domani da pericoli infinitamente maggiori e in ogni caso non ci salverà dalla vergogna e dallo scherno universale dei popoli che hanno vissuto questa grande tragedia della storia? Vogliamo trascinare la nostra miserabile esistenza alla giornata – beati nello statu quo monarchico e borghese - o vogliamo invece spezzare questa compagine sorda e torbida di intrighi e di viltà? Non potrebbe essere questa la nostra ora? Invece di prepararci a «subire» gli avvenimenti preordinando un alibi scandaloso, non è meglio tentare di dominarli? Il compito di socialisti rivoluzionari non potrebbe essere quello di svegliare le coscienze addormentate delle moltitudini e di gettare palate di calce viva nella faccia ai morti – e sono tanti in Italia! - che si ostinano nell’illusione di vivere? Gridare: noi vogliamo la guerra! non potrebbe essere – allo stato dei fatti – molto più rivoluzionario che gridare «abbasso»? Questi interrogativi inquietanti, ai quali, per mio conto ho risposto, spiegano l’origine e gli scopi del giornale. Questo ch’io compio è un atto d’audacia e non mi nascondo le difficoltà dell’impresa. Sono molte e complesse, ma ho la ferma fiducia di superarle. Non sono solo. Non tutti i miei amici di ieri mi seguiranno; ma molti altri spiriti ribelli si raccoglieranno attorno a me. Farò un giornale indipendente, liberissimo, personale, mio. Ne risponderò solo alla mia coscienza e a nessun altro. Non ho intenzioni aggressive contro il Partito Socialista, o contro gli organi del Partito nel quale intendo di restare, ma sono disposto a battermi contro chiunque tentasse di impedirmi la libera critica di un atteggiamento che ritengo per varie ragioni esiziale agli interessi nazionali e internazionali del Proletariato.
Dei malvagi e degli idioti non mi curo. Restino nel loro fango i primi, crepino nella loro nullità intellettuale gli ultimi. Io cammino! E riprendendo la marcia – dopo la sosta che fu breve – è a voi giovani d’Italia; giovani delle officine e degli atenei; giovani d’anni e giovani di spirito; giovani che appartenete alla generazione cui il destino ha commesso di «fare» la storia, e a voi che io lancio il mio grido augurale, sicuro che avrà nelle vostre file una vasta risonanza di echi e di simpatie.
Il grido è una parola che io non avrei mai pronunciato in tempi normali e che innalzo invece forte, a voce spiegata, senza infingimenti, con sicura fede, oggi: una parola paurosa e fascinatrice: guerra!
Mussolini, Audacia! 15/11/1914

Il voltafaccia è completo, il grande tradimento consumato: l'uomo della neutralità assoluta innalza il suo grido di guerra. Si noti con quanta abilità il giovane Mussolini conduca il lettore alle tesi guerresche, smontando le contraddizioni del suo medesimo percorso intellettuale ad una ad una. Prove tecniche di persuasione di massa che egli condurrà presto a ben altri esiti.



Dario Malini


L'excursus sulla figura di Mussolini in rapporto alla Grande guerra continua con l'articolo: Il mio diario di guerra (1915-1917) di Benito Mussolini

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