Il volto umano dei prigionieri VS il volto bestiale del nemico

Roubille, Betes feroces, fig. 0
Cosa accade alla figura del nemico, nell’immaginario della guerra, quando questi diviene prigioniero? Il nemico è per definizione “l’altro”, il diverso, l’incarnazione della negatività, l’inumano per eccellenza, l’essere bestiale. Nell’iconografia bellica è generalmente oggetto di attacchi sarcastici, additato come autore di violenze spaventose e gratuite (fig. 0).


Anonimo, Ritratto di prigioniero, fig. 1
Divenuto inoffensivo, però, le cose cambiano. Esaminiamo, ad esempio, il ritratto anonimo di un soldato tedesco recluso in un campo che il tricolore svettante nello sfondo identifica come francese (fig. 1). Raffigurato in primo piano, l'uomo passeggia sciolto, fumando una pipa, nell’area antistante una caserma. Il fare composto, lo sguardo assorto sono indizio di una mansuetudine che nulla ha in comune con l’indole bestiale attribuita dalla propaganda al soldato germanico. L’artista qui non ha inteso riprendere il nemico, ma l'uomo.

Henry De Groux, Prisonniers allemands (fig. 2)
Osserviamo ora il soggetto della ceramolle Prisonniers allemands (fig. 2), incisa dall'artista Henry De Groux. In essa si vedono numerosi prigionieri tedeschi assembrati in un campo, sorvegliati da soldati francesi. I reclusi si muovono senza ordine, evidenziando rilassatezza nei gesti e negli sguardi. Dei tratti morbidi, dai contorni vellutati, vanno a tratteggiare senza fronzoli le azioni che alcuni di essi compiono: l’accendere una sigaretta, il camminare distrattamente con una mano in tasca. Tra questi individui non sembra esserci empatia né contatto: ciascuno pare completamente assorto nel proprio destino e chiuso in se stesso. La prigionia appare come una condizione di solitudine e di isolamento. Il lato umano costituisce dunque il centro d'interesse anche di questa opera.



Emil Limmer, Prigionieri italiani (fig. 3)
Il discorso non cambia granché se si considerano i ritratti dei prigionieri realizzati nei campi austro-tedeschi. L’artista Emil Limmer (Sachsen 1854-1931) è autore di un acquarello firmato e datato 25 marzo 1918, in cui figurano due prigionieri italiani, i cui nomi, con precisione teutonica, sono riportati in calce, accanto alla città di origine: si tratta di Giuseppe Catanzaro di Palermo e dell’abruzzese Romualdo Polidoro Tollo (fig. 3). Una scritta, apposta vicino alla data,
dà informazione anche del campo in cui i due sono rinchiusi:  “Königsbrück”. Ubicato in Sassonia, il campo risulta abbastanza prossimo alla città natale dell’artista, come alla città di Dresda dove esercitò la sua professione. È probabile che l’opera non sia estranea a una serie di dipinti, dedicata a “tipi e scene di campi di prigionia tedeschi”, che Limmer creò nel 1917. L'acquarello appare di notevole qualità: uno sfondo chiaro uniforme, ravvivato appena da tenui effetti di luce, mette in evidenza due militari italiani, avvolti in comodi cappotti di panno, con ai piedi voluminosi zoccoli. L’aspetto gradevole e l’atteggiamento pacato di questi personaggi manifestano lo sguardo di simpatia con cui l'autore ne ha ripreso le effigi, a riconferma della diffusa sensibilità degli artisti alla condizione dell’uomo in cattività e a tutti i risvolti psicologici da essa derivanti.


Henry De Groux, Premier captif (fig. 4)
Dall’opera di De Groux (in particolare dalla serie Le Visage de la Victoire) trarremo alcuni altri esempi significativi in merito al nostro discorso. Partiamo con l’acquaforte dal titolo Premier captif (fig. 4), in cui è rappresentato un militare tedesco ammanettato che avanza sotto la scorta di due soldati francesi. Si tratta probabilmente di un personaggio di alto rango, il cui notevole grado gerarchico può essere dedotto dall’uniforme che indossa, oltre che dal titolo dell’opera (“primo prigioniero” si potrebbe infatti tradurre con qualcosa come “pezzo grosso”). Il suo passaggio sembra destare stupore, e forse anche pietà, in altri due soldati visibili sulla sinistra. Si noti come l'artista connoti psicologicamente questo eminente prigioniero, ritraendolo erto ma con gli occhi chiusi, segno forse della riluttanza con cui egli si rassegna al disonore della cattura.

Henry De Groux, Prisonniers fossoyeurs (fig. 5)
Lo sguardo empatico di De Groux verso il nemico in cattività raggiunge toni di particolare intensità in Prisonniers fossoyeurs (fig. 5), opera appartenente anch'essa alla serie Le Visage de la Victoire. Vi è raffigurato un gruppo di prigionieri impegnati a scavare le tombe per i morti. Una recinzione che si innalza alle loro spalle li separa da un cimitero pieno di croci svettanti, mentre nello sfondo s'intravede, isolata in mezzo alla campagna, la sagoma di una chiesa bombardata. I gesti e gli sguardi di questi uomini sono delineati con intensa partecipazione mediante i tratti profondi dell’acquaforte. Una condizione di estrema sofferenza  fisica e psicologica traspare dai loro volti emaciati, delineando una scena di forte pathos, accentuata da una sapiente contrapposizione di passaggi luministici. Anche qui i prigionieri sono anzitutto degli uomini e possono dunque suscitare commozione e pietà. 

Henry De Groux, Fossoyeur (fig. 6)
Ai fossoyeurs De Groux ha dedicato anche altre opere, come la ceramolle di fig. 6, datata 1915. In essa è ripreso un prigioniero in piedi, circondato dalle tristi fosse rettangolari appena scavate. L’aria grave e l’ombra che gli annerisce il viso paiono materializzare le più lugubri riflessioni.

Carol Morganti


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