Lo sfruttamento della forza lavoro nei campi di prigionia

Anonimo, Prigionieri in Siberia (fig. 7)
I prigionieri venivano sovente messi a scavare tombe e trincee, a sollevare pesi, a trasportare feriti e munizioni, ad adempiere qualsiasi lavoro fosse necessario. Nessuna nazione si faceva particolari scrupoli nel trasformare migliaia di nemici in braccia-lavoro da indirizzare in prima linea come nelle retrovie. Tale utilizzo della risorsa umana presentava l'enorme vantaggio di liberare i fanti che avrebbero dovuto altrimenti essere impiegati in tali mansioni, per inviarli a combattere. 
Il tema dello sfruttamento dei prigionieri viene ripreso il  numerose opere d’arte: spesso in maniera indiretta, talvolta anche non del tutto consapevole (come nel caso dei prigionieri raffigurati da De Groux), quando a muovere l’artista, più che la volontà di documentare particolari situazioni oggettive, era il desiderio di comprendere le pulsioni e gli stati d'animo degli esseri umani in cattività.
Un schizzo siglato e datato 6 dicembre 1915 (fig. 7), che rappresenta una scena ambientata sul fronte russo, riveste un certo interesse per il nostro discorso. Vi viene rappresentata una fila di prigionieri che avanzano nel gelido vento siberiano, accompagnati da alcuni soldati francesi, riconoscibili come tali per via del fucile che tengono appoggiato ad una spalla. Nessun elemento permette di identificare la nazionalità dei prigionieri (forse tedeschi o austriaci), che sono ripresi di spalle mentre procedono in fila, incappucciati e avvolti nei loro cappotti. Né possiamo sapere se vengono condotti nel luogo in cui dovranno svolgere i compiti loro assegnati oppure se stanno ritornando alla base dopo una dura giornata di lavoro. Nulla sappiamo neppure in merito al loro utilizzo, se dovessero scavare buche, trasportare feriti o cos'altro. Ciò che questa immagine ci trasmette è la fredda logica utilitaristica della guerra che annulla il valore dell'essere umano trasformandolo in semplice forza lavoro.

Carol Morganti



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