I vinti di Caporetto
RICORDI DI PRIGIONIA
Pubblicato nel 1922, I vinti di Caporetto è il racconto autobiografico, vibrante e coinvolgente, della segregazione nei campi di concentramento tedeschi patita dal tenente Guido Sironi, fatto prigioniero il 25 ottobre 1917, durante la battaglia di Caporetto. Il testo vuole fornire un quadro il più possibile esauriente della vita di quotidiana sofferenza trascorsa nei lager tedeschi dai “vinti di Caporetto”, nell’assoluto disinteresse delle autorità italiane. La voce di Sironi è sempre acuminata e riflessiva, volta a indagare con lucidità la situazione nei lager e a descrivere la varia umanità dei compagni che lo attorniano, quella che egli chiama “la verità umana senza veli”. Questo libro rappresenta dunque una rara testimonianza su un’esperienza che coinvolse circa 276.000 soldati italiani, molti dei quali dai campi di concentramento tedeschi e austroungarici non tornarono mai più. Dice a tale proposito l’autore:
La prigionia non fu, nell’ultima guerra, un fatto doloroso ma limitato a qualche migliaio di persone; toccò e fece soffrire milioni di uomini, interessò e fece soffrire milioni di famiglie.
Riguardo all’approccio narrativo, Sironi afferma nell’introduzione al suo libro:
Il presente volume non ha nessuna intenzione letteraria, ma vuol essere soltanto un documento per la storia completa della grande guerra.
In realtà il suo stile si avvale di una scrittura sobria ed efficacissima che non perde mai tensione e mantiene sempre la giusta distanza dai fatti che racconta.
Sfoglieremo assieme questo testo, cercando di coglierne i tratti più caratteristici, a partire dalle pagine concitate che raccontano la battaglia di Caporetto.
Ecco un momento di terribile confusione conseguente allo sfondamento dell'esercito austro-tedesco. È il 25 ottobre 1917 e ancora nessuno riesce a comprendere cosa stia davvero accadendo:
Il nemico dilaga mentre lo scompiglio cresce e nessun ordine chiaro giunge alle truppe. I soldati cercano di reagire senza poter però sfuggire la morte o la cattura: lo stesso Sironi viene sorpreso, aggirato e catturato mentre è ancora in trincea. La più completa demoralizzazione segna questa giornata epocale che si colora delle fantasie più cupe e inquietanti.
L'analisi sferzante, quasi brutale, senza alcuna sentimentalismo o indulgenza, delle reazioni dei soldati italiani all'esperienza limite dei lager attraversa gran parte di questo scritto e ne costituisce uno dei molti motivi di interesse, ricordando sorprendentemente da vicino alcune pagine che qualche decennio più tardi Primo Levi dedicherà ai tristi abitanti dei campi di concentramento nazisti.
Di qui in poi, il diario di Guido Sironi cambia totalmente di registro, e le sue pagine raccontano con brio e vivacità la vita della strana comunità d'italiani che, dimenticato l'assillo della fame, comincia a vibrare di una ricca vita sociale e culturale, pur dovendo sempre sottostare alle rigide regole disciplinari del campo.
Infine arriva la notizia dell'armistizio. Dopodiché rimane solo l'attesa sfibrante, e più volte delusa, del ritorno a casa: Sironi salirà sul treno diretto in Italia l'1 gennaio 1919.
Il testo si conclude con questo appello accorato:
Sfoglieremo assieme questo testo, cercando di coglierne i tratti più caratteristici, a partire dalle pagine concitate che raccontano la battaglia di Caporetto.
Ecco un momento di terribile confusione conseguente allo sfondamento dell'esercito austro-tedesco. È il 25 ottobre 1917 e ancora nessuno riesce a comprendere cosa stia davvero accadendo:
Dopodiché, lasciate le zone di guerra, Guido e i suoi molti compagni di sventura vengono caricati sui treni che li trasferiranno ai campi di concentramento tedeschi: si tratta di un viaggio doloroso e durissimo che scalfisce il corpo e l'animo dei prigionieri:
Quanti eravamo noi prigionieri? Un'onda tumultuosa, mista di ufficiali superiori e inferiori, di graduati e di soldati, incuranti l'uno dell'altro, con gli occhi fissi e il viso contratto. Forse in tutte quelle anime dileguava ormai ogni sentimento nobile, umano: la stanchezza opprimente e... la fame.Procedendo a volo d'uccello, dalle intense pagine dedicate al viaggio verso i campi riportiamo alcune righe in cui l'autore comincia a tratteggiare la psicologia del prigioniero.
Guido, dopo brevi periodi trascorsi al Russenlager e al campo di Rastatt, nel dicembre del 1917 arriva finalmente alla sua destinazione finale: il campo di concentramento di Celle. Qui la vita tristissima dei detenuti è segnata dalla fame, dal freddo tagliente, dalla rigida disciplina imposta dai tedeschi: cominciano quelli che l'autore chiama "i mesi dell'agonia".
E in queste disperate condizioni, nel completo abbandono della nazione, che nulla sta facendo per soccorrere i suoi soldati, i prigionieri si abbruttiscono:
Il freddo intensissimo (tra l'altro verso la fine di gennaio infuriarono spesso vere e proprie bufere di neve), le privazioni d'ogni genere e la fame caratterizzano i primi mesi del 1917:
E proprio allora, il governo italiano, che nulla aveva fatto per soccorrere i soldati catturati nella XII battaglia dell'Isonzo, emanò un odiosa disposizione che sospendeva gli invii dei pacchi ai prigionieri. A questo proposito, la denuncia di Sironi e dura e precisa:
E, come già dissi, per tutto il gennaio, il febbraio e il marzo, quasi ogni giorno qualcuno, ufficiale o soldato, moriva. Ormai il vitto si riduceva ai minimi termini: comparve persino alla nostra mensa della foca triturata, in minuscole porzioni; e quella carnaccia nera, oleosa e disgustosa sembrava a taluni una primizia gradevolissima. Ognuna di quelle grevi giornate, ne eravamo persuasi, ci avvicinava tutti, fatalmente, alla fine.Poi, proprio nel momento peggiore, le cose cominciarono a cambiare. Prima arrivarono alcune cartoline dall'Italia, poi, in febbraio, i primi pacchi di viveri spediti dai familiari:
Un delirio di gioia frenetica accolse l'annuncio sospirato. [...] E fu veramente un aiuto provvidenziale. All'ospedale si moriva a più non posso; e anche l'agonia lucida, graduale di tutti gli altri, di tutta quella gente che stava in piedi e parlava, si sarebbe forse per assai poco prolungata.
Mentre i governi francese, inglese, serbo, rumeno assistevano passo passo i loro figli prigionieri e assicuravano loro, nella mala terra tedesca, il pane e gli indumenti, il governo italiano non solo non faceva nulla da sé, non solo stava assente ed oblioso, ma impediva che le famiglie soccorressero, sia pure in misura inadeguata, i loro cari prigionieri. E dopo la sospensione di un mese, l'invio dei pacchi fu nuovamente permesso, ma limitato per il numero e per il peso e per la quantità di viveri. Così, ci fu detto poi al nostro ritorno in Italia, si dovevano punire i vinti di Caporetto.Solo dopo qualche mese, l'arrivo dei pacchi prese un ritmo regolare e sufficiente. E, dopo marzo, la massa dei prigionieri cominciò a non avere più fame.
Di qui in poi, il diario di Guido Sironi cambia totalmente di registro, e le sue pagine raccontano con brio e vivacità la vita della strana comunità d'italiani che, dimenticato l'assillo della fame, comincia a vibrare di una ricca vita sociale e culturale, pur dovendo sempre sottostare alle rigide regole disciplinari del campo.
Infine arriva la notizia dell'armistizio. Dopodiché rimane solo l'attesa sfibrante, e più volte delusa, del ritorno a casa: Sironi salirà sul treno diretto in Italia l'1 gennaio 1919.
Il testo si conclude con questo appello accorato:
E così il dolore e le sofferenze dei vinti di Caporetto furono e rimasero misconosciuti: e la stessa loro tragedia, la tragedia di Caporetto, restò avvolta nel dubbio e nel mistero, segno di contraddizioni e di battaglia tra opposte parti combattenti. Dopo qualche anno, i vinti di Caporetto domandano, modestamente, la parola e chiedono onestamente un minuto d'attenzione ai concittadini dimentichi.
Dario Malini
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