Natale e Capodanno in trincea

Gesù bambino: "Purché non mi piglino per una spia...!"
Le testimonianze dei soldati
Le festività di Natale e Capodanno, con tutto il carico di simbologie religiose e laiche che si portano dietro, vennero vissute dai soldati della Grande Guerra come un periodo particolarmente triste e malinconico in cui, più che in ogni altro momento dell'anno, diveniva quasi intollerabile la divisione dagli amici e dai familiari. 
Ad esempio Ernst Jünger, autore non certo incline ai sentimentalismi, in Nelle tempeste d'acciaiodescrive con poche sbrigative parole il Natale del 1915, facendocene comunque intuire la peculiare atmosfera:
Passammo la notte di Natale dentro la trincea intonando in piedi, nel fango, qualche canto natalizio che gli inglesi coprirono con le salve delle loro mitragliatrici. Il giorno di Natale perdemmo un uomo della terza sezione, colpito da una pallottola alla testa. Poco dopo gli inglesi fecero un tentativo di riconciliazione alzando sul loro parapetto un albero di Natale che i nostri, furibondi, distrussero con pochi colpi ben aggiustati ai quali i "Tommies" risposero col lancio di granate da fucile. La festività del Natale fu dunque celebrata in maniera decisamente sgradevole.
L'avvicinarsi del Natale di quel medesimo 1915 ispira al soldato italiano Walter Giorelli, ne Il sorriso dell'obice di Dario Maliniquesta malinconica nota:
Si avvicina Natale che, per la prima volta, trascorrerò lontano da casa. Quest’anno mi pare di vedere il vecchio dalla barba bianca senza sorriso, con il viso buono, triste e pensoso: tranquillo ma senza gioia.
Ed ecco come Otto, dal suo peculiare punto di vista di soldato ebreo tedesco, racconta il dicembre 1916 nel suo diario di guerra inedito Taccuino di un nemico:
Il 18 dicembre, calandoci di nuovo nelle trincee presso Rocquigny, le scopriamo ancora più malagevoli e melmose di come le avevamo lasciate, deteriorate dai colpi di cannone e dalle piogge, che hanno prodotto numerosi crolli e ammollito la terra. Sino al 21 siamo sempre in tenuta da combattimento, pronti a rispondere a un attacco di fanteria che non arriva. Il nemico si limita a far tuonare i suoi cannoni. Poi un’ondata di freddo calma un poco le cose. Il 24 dicembre, vigilia di Natale, lo trascorriamo in una profonda cantina di Rocquigny, riscaldati da una stufa fumante. È buffo quanta nostalgia metta questa ricorrenza ai miei compagni, che spasimano come fanciulli nell’attesa di lettere da casa. Sospiri inutili: la posta non può arrivare in giorni in cui faticano a raggiungerci persino il cibo e le munizioni. Il 25 siamo di nuovo immersi nel fetore della trincea, nel centro focale delle mappe dei generali d’ambo le parti, giusto tra i tiri delle batterie inglesi e le risposte della nostra artiglieria. Con un seguito di giornate funeste, indistinguibili l’una dall’alta, termina il 1916 e comincia il 1917, senza che nessuno di noi pensi a fare altri proponimenti per l’anno che viene oltre a quello di restare vivi. 
Se il Natale, legato com'è nell'immaginario collettivo alla vita familiare, ispira invariabilmente pensieri nostalgici all'interno delle trincee, talvolta l'arrivo dell'anno nuovo accresce invece il senso di cameratismo tra compagni d'armi, inducendo manifestazioni della più schietta e incosciente allegria nei soldati, come si evince dalla seguente nota di Paolo Caccia Dominioni in 1915-1919 Diario di guerra:
Allo scoccare della mezzanotte si leva un pandemonio di cannonate tra le opposte posizioni: è l'augurio reciproco tra italiani e austriaci. Noi incominciamo l'anno nuovo, il 1917, in piena allegria, a mensa cogli amici della 14a pontieri. [...] Il pranzo ha avuto il suo naturale svolgimento, con sbornia generale e canto. Non è con l'acqua fresca che si saluta l'anno nascente in una mensa pontiera.
Le feste raccontate dalla rivista satirica 
"Il numero"
Queste festività divennero , in alcune riviste satiriche italiane dell'epoca, un'occasione per mostrare un imprevedibile  spirito corrosivo. Di seguito, una serie di vignette tratte dalla rivista Il numero ci permettono di osservare in presa diretta come, in quegli anni difficili, l'Italia  guardava gli orrori della guerra in rapporto alle festività più sacre e sentite.


Cominciamo con una immagine che celebra un episodio notissimo del primo Natale di guerra, quella tregua spontanea che coinvolse, nei pressi di Ypres, in Belgio, soldati francesi, tedeschi e inglesi. Tale episodio, reale e documentato, fu in qualche modo scontato nel fatto che proprio in quella zona si materializzarono successivamente inenarrabili orrori, non ultimi i primi riusciti esperimenti germanici sull'uso del gas come arma. 
E che un tale Natale di fratellanza universale fosse purtroppo del tutto episodico e non rappresentasse nulla di sostanziale nella realtà del fronte lo rimarca lo stesso numero della rivista, mostrandoci solo poche pagine avanti la vera stella di Natale di quel 1914:


Ed ecco che, alla fine del mese di dicembre, il decrepito primo anno di guerra deve allontanarsi camminando su cumuli di rovine, mentre il piccolo 1915, nato sotto così cattivi auspici, non può che mettersi le mani nei capelli:


Il 1915, lo sappiamo, fu l'anno terribile che vide l'entrata in guerra dell'Italia. Così la prima rivista de "Il numero" del 1916 celebra il nuovo anno con un'immagine ambigua in cui campeggia il simbolo del teatro, forse per sottolineare come l'Europa sia diventata una sorta di tristissimo palcoscenico in cui viene quotidianamente rappresentato un osceno spettacolo fatto ad un tempo di commedia e di tragedia:


Con il procedere della guerra, tale pungente allegoria, si conferma in tutto e per tutto se, in una vignetta del 1917, viene celebrato nel seguente modo dissacratorio la chiamata alle armi dei ragazzini della classe di leva 1899:


Uscendo per un attimo dallo stretto ambito delle festività di fine anno, vi vogliamo mostrare un'immagine che, nello sfogliare le riviste de Il numero, ci ha davvero colpito e che qui non è del tutto fuori luogo, mostrando come, in quegli anni, v'era davvero la più impensabile coesistenza di  commedia e tragedia. In questa incredibile pubblicità del 1917, vediamo un soldato che, "tra una schioppettata e l'altra", può ritemprarsi con un buon caffè, naturalmente preparato dalla macchina Aquilas della ditta Santini:


L'ultimo anno di guerra comincia, nell'interpretazione de Il numero, con un'immagine allegorica di Eros e Afrodite dove l'anno nascente è rappresentato dal piccolo dio alato con gli occhi bendati, il quale ha sostituito l'arma tradizionale dell'arco, con cui induceva l'amore, con un ben più attuale obice 305, il terribile ordigno della modernità, apportatore di morte. Ed è con questa malinconica vignetta che termina il presente intervento.

Dario Malini

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