La guerra e le donne ne "Il sorriso dell'obice"


Ecco un inatteso scorcio di Bologna durante la guerra:
La sera, quando abbiamo il permesso di uscire, porto in giro con nonchalance la mia bella uniforme, tanto rigida da parere corazzata e tanto larga e difettosa da darmi il leggiadro profilo estetico di un Rigoletto, e, assieme ai compagni, me ne vado a passeggio per una singolare Bologna con tutte le finestre chiuse, le serrande dei negozi abbassate e le strade buie ma gremite di gente. In genere, il nostro spento grigioverde si disperde tra la gran massa confusa di tinte; domina, invece, in una viuzza non troppo distante dal centro, dove, davanti a una porta socchiusa e illuminata da una lanterna di foggia antica, sosta ininterrottamente una lunga e rumorosa fila di uomini in uniforme. Quando una stanca voce femminile dà l’ordine di procedere, il primo della coda, dopo essersi immancabilmente guardato attorno come a cercare una via di fuga, sparisce dietro l’uscio e il corteo avanza di un passo. Dentro, una decina di moderne Veneri sbuffano annoiate.


Questo secondo stralcio ci riporta l'atmosfera stranamente allegra che caratterizzava i momenti di pausa dei soldati:
Continua il cannoneggiamento senza interruzione. Rintanati tra le montagne come lupi, trascorriamo le ore di riposo intorno al fuoco sorbendo vino a piccoli sorsi, e non senza diversi momenti di dissennata allegria. Una legge quasi perfettamente geometrica ci induce a parlare di ragazze oppure di guerra, a seconda della nostra distanza dalla prima linea. Quando siamo sufficientemente al sicuro, diventa inesauribile l’argomento delle tose che ognuno ha desiderato o che talvolta ha avuto come amiche. Alcune storie narrate dai compagni, vere o false che siano, fanno fantasticare un po’ tutti. Quella della Marietta, dalla pelle dorata e i seni appuntiti, abbordata arditamente da un soldatino milanese al caffè Biffi; oppure quella dell’impalpabile scia di profumo seguita per diversi chilometri da un altro ragazzo, prima d’incarnarsi nelle forme procaci di Viola; o, ancora, quella di un’esile fanciulla, altera come una madonna antica, appartatasi inaspettatamente con due soldati in licenza conosciuti su un treno poco prima.



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