Quando arrivo, una colonna di una quarantina almeno di soldati mi annuncia che l’attesa non sarà breve. Mi sistemo comunque dietro l’ultimo della fila, non del tutto scontento di far parte di quel gruppo. Di tanto in tanto la porta si apre, qualcuno esce, qualcun altro entra. All’interno della casa occhieggio un tavolo, delle sedie, una credenza. Il rumore del martellamento della guerra ci raggiunge a intervalli discontinui, ma nessuno ci bada. Per i motivi più futili, scoppiano di frequente accese discussioni che il gelo della notte seda rapidamente. Davanti a me, alcuni soldati ridacchiano sguaiatamente, ripetendosi l’un l’altro, ma con una singolare luce negli occhi, il nome di Ewka.
Giunge infine il mio turno.
Sono davanti alla porta e attendo che si apra. Non ho alcuna voglia di entrare sebbene quel nome, Ewka, mi ronzi desiderabile nella testa.
Ecco,
la porta si spalan ca e ne esce un
soldato biondo cenere. Evito di guardarlo e m’infilo nello spazio che mi ha
dischiuso. Mi accoglie uno sgradevole odore dolciastro di talco. Una donna
grassa, sudaticcia nonostante la bassa temperatura, mi chiede di pagare in uno
stentato tedesco. Poi attende con evidente impazienza che io riesca a tirar
fuori i soldi. Depositato il denaro in un cassetto, m’indica una porta
semiaperta, intimandomi sgarbatamente di fare in fretta: «Schnell!» Accanto a
quella che mi viene mostrata, rilevo la presenza di altre due porte, chiuse, al
momento: dunque, penso, in tutto le ragazze sono tre. Domando al donnone: «Ewka?»
Lei fa cenno di sì con la testa paffuta, tornando a puntare con il dito la
medesima apertura: «Ja, ja, schnell!» Vinto, avanzo, sebbene la sua risposta
non m’abbia affatto convinto. Sono già in camera che sento nuovamente risuonare
il suo verso snervante: «Schnell!» La ragazza è pallida, minuta, con un
caschetto di capelli corvini che splendono alla luce gialliccia della lampada.
È più giovane di quanto m’aspettassi, ma quasi certamente più vecchia di me di
una decina d’anni. «Ewka?» le domando, ottenendo anche da lei, assieme a uno
strano sorriso, la medesima insoddisfacente risposta: «Ja, ja, ja!» Per il
resto, c’è poco da dire. Esco di lì infinitamente tediato, con la netta
sensazione d’aver incontrato la ragazza sbagliata.
nota 1: “Solo per i soldati tedeschi!”.
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