L'amore in "Niente di nuovo sul fronte occidentale"

Una sera, mentre nuotiamo nel canale, ecco tre donne lungo la riva; camminano lentamente e non voltano via gli occhi, sebbene noi non portiamo mutandine.
Leer grida loro qualcosa: esse ridono e si fermano a guardarci. Gettiamo loro, nel nostro francese stentato, le poche parole che ci vengono in mente, alla rinfusa, in fretta, per fare che non vadano via. Non sono precisamente termini molto scelti: ma dove si andrebbero a pescare?
Una delle ragazze è sottile e bruna: quando ride le brillano i denti: ha rapide movenze, la sottana le si agita sciolta intorno alle gambe. Quantunque l'acqua sia fredda, siamo eccitatissimi e affaccendati ad interessare le pulzelle perché rimangano. Tentiamo motti di spirito, ed esse ci rispondono, senza che riusciamo ad afferrare bene il senso delle loro parole: ma ridiamo e facciamo segni. Tjaden ha un'idea luminosa, corre in casa, e ritorna tenendo alta in mano una pagnotta.
Il successo è grande. Esse ci fanno segno d'assenso, e ci invitano di là. Ma questo appunto non possiamo, è proibito metter piede sull'altra sponda; su tutti i ponti stanno le sentinelle. Niente da fare senza permesso. Cerchiamo di far loro capire che vengano esse di qua, e alla loro volta scuotono il capo e indicano i ponti. Neanch'esse possono passare. [...]


Per ragioni di spazio, saltiamo a piè pari la parte in cui i tre soldati tedeschi (armati ognuno di una bella pagnotta avvolta in un giornale, di alcune sigarette e tre buone porzioni di salsiccia) organizzano la spedizione. Attraversato, nudi, il fiume a nuoto, eccoli davanti alla casa delle francesi.

La porta di casa è aperta. Le nostre scarpe fanno abbastanza rumore. Si socchiude un uscio, filtra un po' di luce, una donna spaventata dà un grido. Noi facciamo: « Pst, pst, camarade, bon ami » e teniamo alti i nostri pacchi, scongiurando. Ecco che spuntano anche le altre due donne, l'uscio si apre tutto e la luce ci investe; ci riconoscono, e tutte e tre ridono senza freno vedendoci in quel costume. Ridono al punto che devono piegarsi e curvarsi, nella cornice luminosa della porta.
Con quanta eleganza di muovono!
«Un moment.»

Spariscono un istante, e ci gettano qualche indumento che ci mettiamo addosso alla meglio. Poi siamo ammessi ad entrare. Nella camera arde una piccola lampada, fa caldo e v'è nell'aria un leggero profumo. Apriamo i nostri pacchi e offriamo i viveri. I loro occhi scintillano, si vede che hanno fame.
A questo punto ci guardiamo in faccia, un po' imbarazzati. Leer fa il gesto di mangiare, e ciò sembra rianimarle; vanno a prendere piatti e posate e si gettano sulla roba. Prima di mangiare levano in alto, ammirando, ogni fettina di salsiccia, e noi assistiamo al festino, fieri di noi stessi.
Intanto parlano a getto continuo nella loro lingua che noi non comprendiamo bene pur rendendoci conto che ci dicono buone parole. Forse ai loro occhi sembriamo anche molto giovani: la bruna sottile mi va accarezzando i capelli e dice ciò che dicono le donne francesi: «La guerre, grand malheur, pauvres garsons... ».

Io le trattengo il braccio e le bacio il palmo della mano. Le dita sottili stringono il mio volto: sopra di me sono quegli occhi eccitanti, la pelle dolcemente bruna, le labbra rosse; la bocca pronuncia parole che non comprendo. Nemmeno gli occhi comprendo bene: dicono più che non ci aspettassimo, quando venimmo qui.
Vi sono altre camere accanto. Vedo Leer che con la sua bionda diventa manesco e loquace: lui è pratico di queste cose più di me. Io invece mi sento perduto in qualcosa di lontano, di lieve, di impetuoso e a quella corrente mi affido. I miei desideri sono un misto singolare di bramosìa e d'abbandono. Ho la vertigine, e nulla v'è qui a cui mi possa trattenere. Abbiamo lasciato le scarpe alla porta, ci hanno dato delle pantofole, e non c'è più niente che mi richiami alla sicurezza e sfrontatezza del soldato: né fucile, né cintura, né uniforme, né berretto. Mi lascio cadere nell'incerto, accada poi quello che vuole; perché, nonostante tutto ho un po' di paura.
La bruna sottile, quando riflette, muove le sopracciglia; ma quando parla le tiene ferme; talvolta il suono delle sue labbra non arriva a formar parole, e queste rimangono soffocate o passano incompiute sopra di me, formando un arco, come di cometa. Che ne so io? Le parole di questa lingua straniera che quasi non capisco mi cullano in un dormiveglia, la camera svanisce in una specie di bruno chiarore, solo la figura della donna davanti a me, è viva e luminosa.
Quante espressioni prende un volto, quando, affatto ignoto un'ora prima, a un tratto si soffonde di una tenerezza che non viene propriamente da esso, sebbene dalla notte, dal mondo, dal sangue che in esso sembrano concentrare i loro raggi. Gli oggetti nello spazio ne sono tocchi e trasformati, diventano strani, ed ho come una venerazione delle mia pelle chiara, quando il lume della lampada vi si posa e la fresca mano bruna la carezza.
Come tutto ciò è diverso da quello che avviene nei postriboli per le truppe, dove ci permettono di andare e dove gli uomini attendono in lunga fila il loro turno! Non vorrei pensare a quei luoghi: ma involontariamente mi attraversano la mente, ed io tremo, che di certe immagini non si riesca a liberarci mai più.
Poi sento le labbra della sottile bruna e vi premo le mie, chiudo gli occhi; vorrei con ciò spegnere ogni cosa, la guerra e l'orrore, e la volgarità, per risvegliarmi giovane e felice. Penso alla fanciulla del manifesto, per un istante mi pare che tutta la mia vita dipenda dal conquistar lei. E tanto più profondamente mi avvolgo nelle braccia che mi stringono, nella speranza del prodigio.
Un poco più tardi, ci si ritrova tutte e tre. Leer è fiero e disinvolto. Ci congediamo cordialmente e riprendiamo i nostri stivali. L'aria della notte rinfresca i nostri corpi accaldati. Alti stanno i pioppi nella notte, e mormorano. La luna splende nel cielo e sull'acqua del canale. Non corriamo più: camminiamo a gran passi l'uno accanto all'altro. Leer dice: «Ecco una pagnotta bene spesa».

Io non so decidermi a parlare, non sono neppure allegro.


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