La Sagra di Santa Gorizia di Vittorio Locchi

Il poema La Sagra di Santa Gorizia di Vittorio Locchi prende l'avvio con una dichiarazione di poetica.
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Come si vede, si tratta di una scelta "bassa", "umile", "disadorna come la tenuta del fante", in coraggiosa controtendenza rispetto ai ricercati virtuosismi poetici dell'imperante dannunzianesimo. Ed è probabilmente anche per questo che, letti oggi, questi versi non suonano affatto vecchi, sostenuti come sono da una musicalità schietta e di grande freschezza, che le non infrequenti cadute retoriche e patriottiche offuscano solo in parte e solo laddove diventano davvero troppo invadenti.
Il poema segue passo passo, attraverso le stagioni, alcune compagnie di fanti stanziate nella zona del basso Isonzo. Il culmine della narrazione è rappresentato dalla notte del 7 agosto, data dell'azione militare che condurrà l'esercito italiano dentro Gorizia.
Fin dall'inizio, l'attacco rappresenta un momento liberatorio nell'immaginario del fante, stufo di trascinare le sue giornate immerso nel fango puzzolente delle trincee:
Fatto solo apparentemente paradossale, è proprio tale ambiente detestato a delineare lo statico universo da cui il Locchi trae i versi più personali e toccanti:
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Così quella che potrebbe essere una strumentale eroicizzazione della dura vita di trincea, si colora di immagini vitali e pulsanti che fanno dimenticare quanto in essi c'è di retorico. Trascorrono le stagioni. Giunge l'inverno, l'autunno, la primavera, "scesa come una ragazza vestita di cielo celeste", e poi l'estate, la "vittoriosa estate" che porta con sé la battaglia tanto agognata. Il momento dell'attacco risuono di vera barbarie, nonostante il senso quasi sacro dell'impresa di liberazione di Gorizia, di cui, in questi versi, anche il povero fante pare essere consapevole:
Chi dette il segnale? 
tutti i settori tacevano...
ed ecco sonare lo stormo.
Cominciarono le bombarde
con abbai, con rugli, con schianti.
Sbucavano dappertutto,
coll'ali sui torsi pesanti;
traballavano in aria,
e poi giù, strepitando,
a divorare le trincee,
a stritolare i sassi,
a fondere i reticolati.
Uomini e melma,
ferri e pietre,
tutto tritavano, urlando,
tutto rimescolavano,
sfragnendo e pestando,
come dentro le madie
gigantesche delle doline
impastassero il pane
della vittoria
per la fama del fante.
Lasciata la trincea, l'enfasi nazionalistica appesantisce non poco il procedere dei versi, che tuttavia poggiano su un sentire ingenuo e sincero:
Avanti, avanti verso Gorizia, la cui miracolosa apparizione chiude il poema.



Dario Malini
***
Terminiamo proponendovi uno stimolante confronto tra due modi diversissimi di raccontare il medesimo episodio. Dopo i versi del Locchi, la Battaglia di Gorizia ci viene narrata anche  dal soldato Walter Giorelli: per leggere questo scritto, tratto da Il sorriso dell'obice cliccare qui. 

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