La Battaglia di Gorizia raccontata da Walter Giorelli (da "Il sorriso dell’obice" di Dario Malini)

L’attacco è iniziato. Le traiettorie di centinaia di proiettili percuotono gli spazi sopra le nostre teste. Il Monte Santo, incendiato in cima, pare un vulcano. Figure di sfere, di lunghi cilindri, di coni immensi s’alzano dalle vette e sono polvere, fumo, terra. Vibrano le pareti delle montagne, diventate di metallo, riverberando all’infinito il rumore degli scoppi. I nemici non si vedono: è la guerra meccanica.
[…]
Riprendo in mano la penna dopo diversi giorni. L’azione, cominciata il 6 agosto, è ancora in corso. Ho visto tutto ciò che un soldato può vedere in guerra e non sono impazzito. Le artiglierie vomitavano obici e proiettili che, esplodendo, provocavano un tale fracasso da far uscire di senno molti e molti compagni i quali, privi d’ogni controllo, sparavano a casaccio, si aggrappavano l’uno all’altro, correvano insensatamente verso le postazioni avversarie, avvinghiavano e mordevano le cortecce degli alberi.
I bombardamenti erano incessanti.
Vedevo i ragazzi salire di corsa all’assalto, entro e fuori i camminamenti, e scendere, quasi in numero uguale, in barella o portati a spalla da qualcuno, con le braccia o le gambe divelte dalle granate.
Da un semplice punto di vista militare, la tattica appariva insensata, giacché il filo spinato posto a protezione della linea austriaca era intatto quasi dappertutto e le mitragliatrici nemiche potevano falciare agevolmente gli uomini che tentavano di superarlo. Ma di tutto ciò nessuno degli ufficiali sembrava darsi pena, cosicché il senso del dovere e il coraggio dei soldati, assieme ai due grandi motori della guerra, la coercizione e l’alcol, davano sostanza e una sorta di ordine all’immane carneficina.
Oppressi dall’odore dolciastro del sangue e da quello stordente della cattiva grappa, noi, che dovevamo riparare i guasti provocati dagli scoppi, lavoravamo in trincee ricolme di cadaveri, atterriti dall’eventualità che una granata potesse da un momento all’altro seppellirci sotto una montagna di melma.
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Vi proponiamo uno stimolante confronto tra due modi diversissimi di riferire il medesimo episodio. Dopo la prosa di Walter Giorelli, la Battaglia di Gorizia ci viene narrata anche nel poema La Sagra di Santa Gorizia di Vittorio Locchi: cliccare qui per leggere il brano.

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