L'opera d'arte del mese: il lager di Katzenau in due chine di Piero Coelli

Agosto 2017
Questo numero della rubrica L'opera d'arte del mese è dedicato a due chine inedite di Piero Coelli (1893 - 1980), realizzate nel campo di prigionia di Katzenau, nel quale l'artista venne internato tra l’estate del 1915 e la primavera del 1917, verosimilmente perché sospettato (a torto o a ragione) di irredentismo filo-italiano.
Nato a Pirano d’Istria, roveretano d’adozione, Coelli è stato un artista piuttosto noto in vita, la cui opera legata al periodo della Grande Guerra, di notevole originalità e interesse, è oggi quasi del tutto dimenticata.
Katzenau (nota 1), situato alla periferia di Linz, in Austria, venivano rinchiusi anzitutto cittadini austro-ungarici sospettati di sentimenti ostili alla monarchia o, appunto, in odore di irredentismo filo-italiano: persone sovente di lingua italiana, che abitavano nell'Impero (Trentino, Alto Adige, Ampezzano, Venezia Giulia, Fiume, Dalmazia) e “regnicoli”, risidenti cioè del Regno d’Italia.
«Il campo si configurava come una terra di nessuno in cui venivano internati coloro che non potevano essere giudicati dalla giustizia ordinaria e dovevano essere posti in condizione di non nuocere.»
Claudio Ambrosi, Vite internate, Katzenau 1915-1917, Trento 2008, p. 12
I soggetti delle opere che Piero Coelli ha dedicato a Katzenau consistono sovente in scorci paesistici, spesso caratterizzati dalla presenza di baracche circondate da recinzioni di filo spinato. Sebbene in tali costruzioni alloggiassero centinaia di deportati, essi non appaiono quasi mai in queste raffigurazioni, tratteggiati semmai, in casi rarissimi, in lontananza, come semplici comparse.
Fig. 1 Piero Coelli,"Katzenau" (collezione privata)
L’artista non sembra dunque interessato a documentare la vita del campo. Utilizzando medium tecnici variegati, il maestro parte invece dal dato oggettivo del paesaggio che attornia questa struttura, per conferirvi un peculiare ed originalissimo significato.
Fig. 2 Piero Coelli,"Katzenau"(collezione privata) 
Laddove si avvale dell’acquarello, si serve talvolta di ampie campiture cromatiche, delimitate da un segno di contorno fluido, con l'effetto di far prevalere elementi bidimensionali e sintetici, caratteristici della stesura à plat (come nelle due opere di fig. 1); puntando invece, in altri casi, sulle qualità luministiche e tonali di tale tecnica (vedere ad esempio l'opera di fig. 2).
Fig. 3 Piero Coelli,"Baracche di Katzenau", china, 1915 -1917
Nelle grafiche eseguite con la sola china il segno appare plasmato con modalità differenti, in accordo ogni volta con l’idea che ne presiede la concezione. Le due chine che qui proponiamo, facenti parte della collezione esclusiva della nostra associazione, ne sono espressione particolarmente profonda e affascinante.
Nella china di fig. 3 i segni sono fitti e regolari, talora paralleli, talora incrociati, a ricoprire quasi interamente l’intera superficie del foglio. Due blocchi di baracche, privi di qualsiasi connotazione sinistra, si ergono oltre un’area recintata. Le colline nello sfondo e l’amenità della natura in primo piano conferiscono un’impressione che indubitabilmente contrasta con la specificità del luogo. Si direbbe quasi che l’artista abbia voluto eluderne la funzione detentiva, che il disturbante sia stato forzosamente rimosso dalla raffigurazione. L'immagine appare così caratterizzata da qualcosa di sottilmente ambiguo su cui torneremo.
Fig. 4 Piero Coelli,"Inverno a Katzenau", china, 1915 -1917
La misteriosa raffigurazione invernale del lager di Katzenau di fig. 4, immerso in una vibrante luce lunare, non sembra discostarsi da tale singolare approccio ideativo. Una recinzione di filo spinato separa il primo piano dallo sfondo, dove si trovano le baracche dei prigionieri. In primo piano due alberi spogli, le cui ramificazioni sinuose sembrano evocare delle forme umane, proiettano ombre eleganti sul terreno innevato. In basso è raffigurato uno specchio d’acqua in cui si riflettono le forme arboree. Addentrandosi in profondità, appare il campo di prigionia, come trasfigurato dalla suggestiva resa grafica dello spazio naturale che l'attornia. I segni della china occupano qui l’intera composizione presentando un andamento a fitti avvolgimenti, che ricorda i ricami di un tessuto. Ciò accresce il senso di magia, da cui scaturisce la visione, al punto che l'osservatore deve fare un qualche sforzo per richiamare alla mente la natura del luogo ripreso. 
Ed ecco che si comprende come tali raffigurazioni creino un cortocircuito, nascondano un paradosso, contengano una pervicace ambiguità di fondo che scaturisce dall'accostamento artificioso di termini dissonanti. Rappresentino, in qualche modo, degli ossimori visivi.
Ed è questo, a nostro parere, il segreto di queste immagini modernissime, che pervengono all'obiettivo formidabile di rendere percepibili le contraddizioni insite in quello che era un vero e proprio non-luogo, nel quale dei civili che, in gran parte, nulla di illegale avevano fatto, erano stati deportati per esservi detenuti a tempo indeterminato, in condizioni miserevoli, senz'altro scopo che di porli fuori dallo spazio pubblico e dalla storia.


Carol Morganti
Dario Malini


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Note
La vita nel campo è ben documentata da significative testimonianze (diari, scritti, disegni, dipinti...), lasciate dai prigionieri, alcune delle quali sono state presentate in occasione della mostra Lo sguardo inquieto. Rovereto 1914-1918: un "diario" tra fotografie e opere d'arte, a cura di Mario Cossali, Paola Pizzamano, Alessio Quercioli e Maurizio Scudiero.

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