Laboratorio Allegri (11): Le prime settimane nella brigata Emilia in zona di guerra (7 - 25 settembre 1917)

Cartolina del 7 settembre 1917

7 settembre. Giunto al 119° fanteria, mi hanno assegnato alla 2ᵃ sezione di pistole mitragliatrici, dove sono al comando di ventisette uomini e rispondo solo al maggiore. Per ora siamo a riposo a ... [scritta censurata, da leggersi probabilmente Valerisce] non distante dalle zone dei combattimenti (nota 1). Ogni giorno faccio istruzione con i miei ragazzi, soldati giovanissimi ma già provati dalla guerra e arditi. Devo confessare che se sono sovente loro a insegnare qualcosa a me, lo fanno senza la minima boria, limitandosi a intervenire a bassa voce quando le mie spiegazioni sono troppo vaghe.
Mi hanno fornito due mute complete da soldato col relativo zaino, oltre a elmo, maschera antigas e moschetto. Ho scritto a casa che ciò non prelude a un nostro imminente utilizzo alla fronte, riguardando invece  soltanto il corso d'istruzione, ma chissà. 

Messa da campo sotto la pioggia
(illustrazione di Kataku, 2022)

7 settembre. Ho assistito alla prima messa da campo, accompagnata dalla pioggia e dal lontano tuonare delle armi, con l'anziano sacerdote che, fradicio, faticava a mantenere l'aria serafica e dignitosa che compete alla sua professione.
11 settembre. Sono arrivate due pistole mitragliatrici e domani incominceremo le lezioni di tiro. I miei soldati sono già pratici di queste armi, che hanno avuto modo di usare in battaglia, così sono certo che nelle esercitazioni si porteranno bene. Mentre scrivo entra nella tenda il mio attendente, un bravo ragazzo di Pavia, che mi porta un caffè annacquato assieme a tutto il suo buon umore. Io dormo sotto la tenda mentre i miei soldati sono sistemati in una baracca di legno con le cuccette come quelle dei bastimenti, una sopra l'altra. Assieme a noi, vivono nell'accampamento numerosi topi grossi grossi e invadenti. Passeggiando capita spesso di avvertire un fuggi fuggi generale, un inquietante fru fru, e intravedere queste odiose creature mentre spariscono nei cespugli. Come molti compagni, cosa che in un primo momento mi faceva inorridire, mi diverto a sparare con la pistola a questa immonda selvaggina che, nelle trincee in linea, si nutre di cadaveri.

Cartolina del 13 settembre 1917 (ore 8)

13 settembre.  I miei ventisette soldati sono là, a poca distanza, e commentano, chiacchierano, ridono. Sto con loro da soli otto giorni ma sono di già il loro fratello maggiore. Vivo sempre con loro, chiacchiero, rido con loro. Stamane ho donato a chi contava le migliori barzellette i miei pacchetti di sigarette che ci passa il reggimento, erano tutti contenti.
Nel pomeriggio si è messo a diluviare. La mia tenda s'è strappata e ho dovuto perciò sottopormi a un'abbondante doccia imprevista. I soldati approfittano del tempo impossibile per scrivere a casa, lavare i panni e riposare un poco. Io, dopo aver rimesso in piedi il mio malfermo castello, scribacchio nel diario e poi leggo un lungo e saccente articolo di un quotidiano sulla recente manovra di Bainsizza, che mi colpisce anzitutto per le seguenti, sinistre parole:  «... in una guerra come questa che consuma enormi quantità di materiale e di rifornimenti d'ogni sorta, oltre che di uomini...».

«Leggerò un frammento del "Riso rosso"»
(illustrazione di Kataku, 2022)

In serata il cielo si libera. Dopo aver giocato ai tarocchi e fatto qualche risata col direttore di mensa, un grasso e rubicondo medico di Alessandria, lascio la mensa e torno nell'accampamento. Sebbene non sia suonato il silenzio, di già tutti sono a letto. 

Cartolina del 13 settembre 1917 (ore 21)

Mi accomodo nella tenda e scrivo a casa. Concludo la mia fatica con queste eretiche parole, confidando che il povero censore non le saprà individuare: «Questa sera leggerò un frammento del Riso rosso»Poi mantengo il proponimento e leggo alcune pagine di quel libro di cui trascrivo qui sotto alcune righe (nota 2):
Da dodici ore non dormiamo, e non tocchiamo cibo. Durante tre giorni e tre notti, un chiasso e un fischiare infernale ci hanno avviluppati in una nube di follia, separandoci dalla terra, dal cielo, dai parenti; e noi erriamo, pur essendo vivi, come dei sonnambuli. I morti almeno riposavano in pace; noi, invece, accudivamo alle nostre incombenze, parlavamo, e ridevamo anche... ma eravamo come dei sonnambuli. 
Leonid Andreev, Il riso rosso (nota 3)
17 settembre. Per ragioni misteriose tutti oggi sembrano estremamente nervosi, quasi presagissero l'arrivo di guai. Mi rilasso parlando un po' il comasco con Buzetti, varesino, partito con me da Como.

Cartolina del 17 settembre 1917

Ho spedito a Dino (nota 4) una cartolina, raccomandandogli di non spifferare a casa quanto vicino alle zone calde io sia: «Io sono stato inviato a questo nuovo raggruppamento che si trova un po' avanti, bada di non dir niente a casa, perché ho scritto che mi trovo lontano dalla casa della zia Emma [a Gorizia]».
Mi accorgo di non aver ancora descritto l'interno della mia tenda, al cui centro è sistemata una traballante branda costruita con delle assicelle e un telo; mentre, in un angolo, sono poggiati lo zaino (contenente una divisa completa) e la cassetta, attrezzature predisposte nel caso si dovesse andare più in là. Visto che non si può evitare di desiderare qualche comodità anche in guerra, nella tenda ho fatto mettere un pavimento in legno, un tavolino e una specie di bersò fatto di verdi frasche che, oltre a dare all'insieme un aspetto sorprendentemente ridente, mi nasconde alla vista degli uccellacci meccanici.

«Il Dragone o il Cigno di Leda?»
(illustrazione di Kataku, 2022)

Sono circa le 22, alla mensa ufficiali del mio battaglione il grammofono gracchia Amor di pastorello (nota 5): «La campana fa don din don ed il gallo chichirichì». Prima che la canzone termini, un ufficiale ne sostituisce il disco con un altro; di certo lo ha assalito la nostalgia di casa. Ora si canta «Quando di maggio le ciliegie sono nere» (nota 6) e il miracolo si compie: si smette di pensare a quelli che si trovano in Italia, si scherza, si ride, si sogghigna. Qualcuno del 264° fanteria, passato a salutarci prima di tornare a Udine, tira fuori alcune bottiglie di Vernaccia (15 gradi e più di alcool). Ringraziamo con un brindisi e un augurio di lunga vita e buona fortuna. 
- «Grazie, colleghi, speriamo!» risponde.
Spes ultima dea, anzi, di questi tempi, la prima!
Alcuni soldati, fuori dalla baracca della mensa, discutono animatamente intorno all'identificazione di una costellazione: è il Dragone o il Cigno di Leda? Lontano tuonano di tanto in tanto i cannoni.
21 settembre. A valle della collina ove siamo disposti, da alcuni giorni sono piazzati degli artiglieri alleati. Veder arrivare gli autocarri francesi è un vero spettacolo, con i loro colori variopinti, a imitazione del sottobosco, per nasconderli alla vista dei nemici. Quando sono libero cerco di scambiare qualche frase con gli ufficiali francesi che comandano le batterie di fondo valle. C'è un soldato, un tipo buffo con grandi baffi arricciati, che, avendo lavorato a Chiasso per parecchi mesi, si presta a farmi da interprete nei molti casi in cui il mio scarso vocabolario non mi permette di esprimere un concetto.

Cartolina del 21 settembre 1917

Cordiali ma piuttosto fanfaroni, questi francesi dicono che se non ci fossero loro qui di sicuro non si concluderebbe nulla. Del resto, però, sono due giorni che vanno in su lunghi traini d'artiglieria, materiale e uomini, tutti alleati. 
23 settembre. Per ragioni a noi sconosciute, ma di sicuro da connettersi a qualche azione in preparazione, ci hanno fatto spostare sull'altro versante della valle. Ora la mia tenda è piazzata all'ombra dei castagni, in un spiazzo dietro al quale si innalza a picco la montagna per una decina di metri. In questa rupe i miei soldatini hanno scavato un fif-haus, come chiamano qui le gallerie ricavate nella roccia quale rifugio dal tiro dell'artiglieria; fif-haus deriva appunto da fifa (nota 7). Questa galleria è tanto ampia da contenere un tavolino rustico e uno sgabello. Ai lati della grotta, i ragazzi hanno modellato, con terra creta, due vasi che contengono alcune felci. Queste piante mi sarebbero potute costare quindici giorni di rigore e assai di più al soldato che me le ha portate. Ecco il fatto. Due giorni fa, alle 14:30, vado come al solito all'istruzione coi miei ragazzi. Faccio eseguire il tiro colla pistola sino alle 17, quindi organizzo l'adunata per tornare all'accampamento: conto e riconto, ma mi manca un soldato. Sono usi, i miei ragazzi, d'andare a cogliere fichi e castagne quando li lascio in liberà, ma appena sentono il fischietto corrono subito da me. Fischio a destra, mando a vedere a sinistra, nessuno risponde. Torno all'accampamento un po' impensierito perché qui l'assenza senza giustificato motivo è punita severamente. Un'ora dopo me lo vedo arrivare alla tenda tutto affannato:
- «Signore, tenete, le porto queste felci».
Che dirgli? L'ho ringraziato.

Lettera del 23 settembre 1917 (part. facciata 2 e 3)

Vedeste i topi che abitano con noi nell'accampamento. Sono di grandezza spropositata, sembrano gatti, rosicchiano le scarpe, rubano dal tascapane dei soldati, e non solo gallette ma anche scatolette di carne in conserva che fanno rotolare col muso sino alle loro tane. Quando me lo dissero non ci credetti, ma poi li vidi io stesso compiere simile furto. Di notte si sentono squittire sì forte che ti svegliano e non hanno paura di nulla. Quando, verso le dieci di sera, esco dalla mensa per andare a dormire, illuminando il sentiero colla lampadina, ne vedo sempre qualche esemplare che mi fissa con occhi cattivi. Faccio qualche versaccio: il topaccio resta immobile, né se ne dà per inteso neppure se gli getto delle pietre. 
Questa sera, siccome è domenica, cenando si è fatta un po' di musica. Per onorare gli altezzosi alleati artiglieri, veniva di continuo suonata la Marsigliese. Allons enfants!
24 settembre. Leggo, come ogni mattina, il «Corriere» del giorno precedente. Al solito lo faccio con una sorta di strano distacco, quasi si trattasse di fatti che non mi coinvolgono. Così le molte chiacchiere sulla nota del Papa che ne riempiono la prima pagina mi paiono discussioni accademiche prive di qualsiasi conseguenza (nota 8). La mattina lavoro colla compagnia, ma l'istruzione del pomeriggio, coi miei soli ventisette mitraglieri, si riduce, a causa del caldo soffocante, a una passeggiata, a un bagno nel fiume e a una lunga siesta all'ombra. La sera mi cambio la biancheria fidando che il mio solerte attendente domani mattina passerà a prelevare quella smessa.  
25 settembre. Faccio un piccolo viaggio, assieme a un drappello di compagni, sino a Gorizia. La città mostra dappertutto i segni delle terribili battaglie che l'hanno martoriata, ma ora sembra piuttosto tranquilla, percorsa da pochi civili, da molti soldati cupi e da carri carichi dei materiali più svariati, con alcune strade ancora ricoperte da macerie, mentre giungono attenuati, da nord-est, i botti dei combattimenti. La sera torniamo al campo, ancora del tutto all'oscuro di ciò che ci attende. 






Dario Malini


N.B. L'autrice delle illustrazioni è Kataku, giovane e valente artista pisana. 

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Note

1. Valerisce fa parte del comune di San Floriano del Collio, in provincia di Gorizia.
2Leonid Andreev (1871 – 1919), autore del racconto Il riso rosso, è il principale esponente dell’espressionismo russo. Il protagonista di questa narrazione è un soldato intento a ritirarsi dal nemico in una giornata contraddistinta dal calore soffocante. L’ufficiale, nel tentativo di sopravvivere, marcia per molte ore, assieme a numerosi compagni, molti dei quali stramazzano a terra per lo sforzo e la disidratazione. Una narrazione antimilitarista di notevole preveggenza intorno agli effetti a breve e lungo termine del conflitto di massa sugli uomini. Uno scritto visionario, ispirato alla guerra russo-giapponese ma che, non citandone alcuno specifico episodio, assume un valore universale. 
3. Il brano citato è tratto dal secondo capitolo (Frammento II) del testo seguente: Leonid Andreev, Il riso rosso. Frammento di un manoscritto, Mongini Editore, senza data ma stampato probabilmente nel 1905, traduzione di Camillo Antona Traversi.  
4Il fratello di Attilio, Claudio detto Dino, classe 1899, era giunto il 31 agosto 1917 presso il magazzino di Morbegno, nel 5° Reggimento Alpini.   
5. Uscita nel 1913, la canzone (testo di Libero Bovio e musica di Emanuele Nutile) fu una delle prime composizioni partenopee cantate in lingua italiana. Di argomento pastorale ebbe notevole successo in tutta Italia, nell'interpretazione del tenore partenopeo Giuseppe Godono.  
6. Allegro stornello d'argomento vagamente licenzioso.   
7. Il termine blockhaus, che in linguaggio militare indica un riparo di protezione dai bombardamenti, veniva talvolta giocosamente storpiato dai soldati italiani in fif-haus, con il prefisso derivato dalla parola “fifa”. 
8Nella Lettera del Santo Padre Benedetto XV ai capi dei popoli belligeranti del primo agosto 1917, il Papa scriveva della “lotta tremenda la quale ogni giorno più apparisce una inutile strage”, proponendo "l'istituto dell'arbitrato con la sua alta funzione pacificatrice" quale unico percorso verso la rapida conclusione del conflitto.

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