Il 15 ottobre ci scaricano a Ferrara, città affascinante ma dominata da una curiosa atmosfera che sulle prime non riesco a definire. Solo pochi giorni dopo mi pare di notare come, qui, tutti sembrino fare il possibile per dimenticare che è in corso un conflitto, negato a gran voce da mille vetrine illuminate, da bar e ristoranti accoglienti, da cinema e teatri funzionanti, da crocchi di persone che chiacchierano di futilità. Ed è come se, svoltato l’angolo, non ci fossero vie sudice, bambini e donne che piangono, case abbandonate, fantasmi innumerevoli. Eroico sforzo di un’intera comunità, che rischia di diventare inutile all’apparire delle nostre indelicate uniformi, marea grigioverde di sproporzionata entità che ogni sera, al suono della libera uscita, invade il centro. Un soldato non può che aggirarsi a disagio da queste parti, sentendosi inevitabilmente un corpo estraneo se non, talora, un semplice pollo da spennare. Ieri, ad esempio, mi hanno venduto un’anguilla marinata per sessanta centesimi e un salame alla tutt'altro che irrisoria cifra di lire due e quaranta, rivelatisi entrambi una vera porcheria. E mi hanno consegnato undici castagne arrosto al costo di due soldi, per guadagnare i quali avevo dovuto sgobbare diverse ore. Rido di tutto ciò, quasi fosse parte inevitabile del nostro ammaestramento alla guerra.
Il Castello Estense di Ferrara (cartolina inviata da Attilio alla sorella Olga) |
In genere, quando comincia a fare buio, dopo aver fatto un lungo giro in questa splendida città, occhieggiando le ragazze assieme ai compagni, stufo delle loro ciance, prima o dopo mi rintano nella mia cameretta per studiare, in vista dell’esame di diploma (nota 2). Mia madre infatti, giunta a Ferrara poco dopo il mio arrivo, resasi conto dell’impossibilità di concentrarsi in caserma (in particolare nella caserma Palestro dove mi trovo con soldati di Como e Siena, alcuni dei quali, caporali richiamati, benché trentaquattrenni, sono di carattere tanto buono quanto allegro e chiassoso) ha preso in affitto per me una stanza presso la famiglia Calabresi, dove posso sostare a mio piacimento, rientrando in caserma solo per la notte. Ma anche qui non posso starmene del tutto tranquillo perché, prima o dopo, la signora Calabresi bussa melliflua alla mia porta per servirmi, con infiniti sproloqui e affettate moine, una tazza di caffelatte fumante accompagnata da uno striminzito chifellino (nota 3); cibarie che ritroverò elencate senza fallo nell’inesorabile conto di fine mese, accanto a nuove specialità della casa che la cara signora, ogni volta, vaticina nell’andarsene, mormorando distrattamente che il latte, la legna, le uova e chissà cos’altro costano sempre di più e che è una vera tragedia.
E il corso prosegue. Per una settimana ancora ci insegneranno il maneggio e la nomenclatura del cannone, poi monteremo sul cavallo. Abbiamo poco da fare ma il tempo che ci rimane essendo tutto spezzettato non si può impiegare per fare nulla di utile tranne che per lasciarsi attraversare da pensieri cupi e presagi funesti.
1. Il diario di guerra che prende l'avvio con questo intervento è ripreso con assoluto rigore dalle lettere e dalle note diaristiche di Attilio Allegri, nato a Como il 29 marzo 1897.
2. Al momento della chiamata alle armi, il nostro stava frequentando l’ultimo anno di liceo.
3. I chifellini sono dei dolci mandorlati al forno.
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