I film inglesi e russi sulla Grande Guerra negli anni Venti e Trenta

In Inghilterra, al di là di un gran numero di documentari patriottici e propagandistici di scarso interesse prodotti negli anni Venti, si possono segnalare alcuni buoni film di narrazione usciti nel decennio successivo, che portano in primo piano la tematica della vita quotidiana dei giovani soldati stanziati sul fronte della Grande Guerra.



È del 1931, ad esempio, il primo film sonoro di Anthony Asquith intitolato Tell England (Dite all'Inghilterra), che racconta senza enfasi la battaglia di Gallipoli (nota 1).



Da ricordare anche il film di Victor Saville, I was a spy (Ero una spia), del 1933. Pregno di implicazioni pacifiste, narra la drammatica vicenda di una giovane bambinaia addestrata a fare la spia nel Belgio del 1914.



Dello stesso Victor Saville è Dark Journe (Le tre spie), uscito qualche anno più tardi, nel 1937. Classica storia d’amore e spionaggio, con la protagonista femminile, una bella ragazza francese, che fa il triplo gioco: semplice indossatrice, alla luce del sole, si finge spia al soldo dei tedeschi mentre è in realtà una spia per gli Inglesi. La sua difficoltosa storia d'amore con il barone Karl von Marwitz, che si rivelerà un agente germanico, rende obbligatorio procrastinare il lieto fine al termine della guerra.



Nurse Edith Cavell (La storia di Edith Cavell) di Herbert Wilcox, del 1939, è un altro film che adotta il punto di vista femminile. Tra commedia e biografia, la pellicola racconta la storia realmente accaduta di un’infermiera inglese di stanza a Bruxelles che organizza, durante l'invasione tedesca, un vero e proprio rifugio per i prigionieri di guerra in fuga, proseguendo il suo lavoro indisturbata per due anni, fino a quando il nemico non la scopre, condannandola a morte.

Tra i film russi degli anni Venti e Trenta, dedicati alla Prima guerra mondiale, è assolutamente necessario citare almeno i seguenti.

Anzitutto Konec Sankt-Peterburga (La fine di San Pietroburgo) di Vsevolod Pudovki, del 1927. Film che narra la storia esemplare di un giovane contadino il quale giunto nel 1914, del tutto sprovveduto, nella grande città di San Pietroburgo, viene assunto in fabbrica e poi compie una sorta di percorso iniziatico che lo condurrà ad una precisa presa di coscienza di classe. All'inizio denuncia gli organizzatori di uno sciopero, ma poi si pente del suo gesto e  affronta il direttore della fabbrica, chiedendo la scarcerazione dei compagni. Finisce lui stesso in prigione, riuscendo ad uscirne solo in cambio dell'arruolamento nell'esercito. Durante la guerra partecipa all'assalto al Palazzo d’Inverno dell’ottobre del 1917, rimanendo gravemente ferito e riscattando così il suo tradimento iniziale verso i compagni proletari. Pur con qualche schematismo e un marcato carattere propagandistico e didattico, il film possiede innegabilmente un notevole afflato epico-lirico, per la forza visiva del montaggio, la dialettica tra i motivi collettivi e alcune tematiche pregnanti: i movimenti della Borsa, l'attività delle fabbriche di munizioni, la guerra al fronte, la volontà rivoluzionaria. Celeberrima, e assai celebrata, la sequenza che mostra, in un incalzante montaggio parallelo, come al crescere delle esplosioni e delle morti al fronte, corrisponda una grande euforia in Borsa, con conseguente ascesa delle azioni (nota 2).



Da ricordare anche Арсенал (Arsenale) di Aleksandr Dovženko, del 1929, in cui un contadino ucraino, al ritorno dal fronte della Grande Guerra, va a lavorare in un arsenale di Kiev. Qui prende parte allo sciopero popolare che, nel 1918, sconvolge la città. Durante gli scontri con i soldati viene mortalmente ferito ma riesce a rialzarsi e a fronteggiare fieramente l’ufficiale che ordina la strage. Al di là di una certa enfasi militante, il film di Dovzenko è un capolavoro formale, vibrante dello sperimentalismo «lirico-emozionale» che caratterizza questo autore, capace di giustapporre abilmente scene reali e ricostruzioni, l’ideologia degli assunti e l’aspetto più fantastico della tradizione popolare sovietica (nota 3).



Terminiamo questa breve rassegna sul cinema russo degli anni Venti e Trenta con Окраина (Sobborghi) di Boris Barnet. Uscito ne 1933, il film è ambientato nel 1914, tra i poveri abitanti dei sobborghi di una cittadina industriale della Russia zarista. Al momento della dichiarazione di guerra, due fratelli, figli di un calzolaio, partono per il fronte: Nikolaj come soldato di leva, Sen'ka, come volontario. Nel borgo, intanto, giungono alcuni prigionieri tedeschi, uno dei quali si innamora di una ragazza russa. L'arrivo dell’ondata rivoluzionaria d’ottobre muta del tutto la situazione, cosa che viene narrata magistralmente attraverso un'attenta contaminazione di toni comici, grotteschi e tragici, con la macchina da presa puntata sulla fragilità dei destini individuali, travolti dalla temperie della Storia (nota 4).



Stefano Cò


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Note

1) Sul regista Anthony Asquith e la sua importanza per la produzione inglese, dagli anni Trenta in poi, citiamo la definizione del critico Georges Sadoul «[ Anthony Asquith è] la personalità più forte del cinema inglese anni Trenta insieme con Hitchcock» vedi la scheda di Lorenzo Codelli nel Dizionario dei registi del cinema mondiale, vol. I, cit., pp. 84-85 e il saggio di David Robinson, “Cinema inglese: gli anni trenta”, in L’Europa. Le cinematografie nazionali, vol. I, pp. 506-ss; sui film di Victor Saville, il primo in cui alcuni critici riconoscono il talento anche nei film drammatici, e il secondo sceneggiato dallo scrittore americano John Monk Saunders, e la sua figura nel cinema inglese del decennio, vedi il saggio di David Robinson, citato sopra, pp. 520-523 e la scheda bio-filmografica di Luke McKernan nel Dizionario dei registi del cinema mondiale, vol. III, p. 275-77; per l’attraversamento dei generi, tra commedia, dramma e biografie, di Herbert Wilcox e il suo successo presso il pubblico nel cinema inglese del decennio, vedi il saggio di David Robinson, cit., passim tra le pp. 508 e 519. 

2) Film che gli storici del cinema hanno collocato al centro di una trilogia sulla presa di coscienza del proletariato russo, tra La madre (1926) e Il discendente di Gengis Khan (1928), La fine di San Pietroburgo fu infatti prodotto nel decennale della Rivoluzione di Ottobre con un evidente intento celebrativo ma l’assenza di sottigliezza psicologica, la semplificazione quasi manichea dei caratteri, a partire dall'origine sociale dei personaggi, sembrano congeniali alla concezione del regista sul ruolo dell'attore come prestatore di fisionomie e gestualità, e alla sua predilezione per attori non-professionisti come il protagonista Ivan Šuvelev che, quasi a sottolineare la sua funzione rappresentativa di un’intera classe sociale, viene definito unicamente come «il ragazzo»; è al gioco di luci ed ombre, all’angolazione delle inquadrature, che viene sostanzialmente affidato il giudizio morale sui diversi personaggi, tra i quali il regista appare nel ruolo di un ufficiale tedesco, e nel film Pudovkin dimostra il suo assoluto controllo sulle potenzialità espressive del montaggio, da lui individuato, in sede teorica, come elemento specifico del linguaggio cinematografico; sul cinema «lirico-emozionale» sovietico di quegli anni vedi e sull’importanza del film vedi Natal’ja Nusinova, “Il grande cinema sovietico, 1925-28”, in L’Europa. Le cinematografie nazionali, vol. I, cit., pp. 275-77; sul suo successo e la percezione che sia il suo film più innovativo sotto l’aspetto del montaggio vedi la scheda di Natal’ja Nusinova nel Dizionario dei registi del cinema mondiale, vol. III, cit., p. 108.

3) Il film è stato prodotto infatti per commemorare l'insurrezione degli operai dell'arsenale di Kiev contro il governo nazionalista ucraino nel gennaio 1918 e in una perfetta simbiosi tra uomo e maschera, il protagonista Svasenko, all'epoca, divenne un simbolo della Rivoluzione, mentre nel 1929 è stato indicato tra i migliori film stranieri dell'anno dal National Board of Review of Motion Pictures (ripreso da scheda sui siti FilmTv e Wikipedia); per il riferimento al cinema «lirico-emozionale» sovietico vedi le pagine del saggio citato sopra di Natal’ja Nusinova e sulla vena epica e poetica e i rimandi pittorici delle immagini del film vedi la scheda di François Albera sul regista nel Dizionario dei registi del cinema mondiale, vol. I, cit., pp. 534-35.

4) Sobborghi è forse, il film migliore, sicuramente il più conosciuto (ma scoperto in occidente soltanto 40-50 anni dopo) di B. Barnet di lontana origine britannica, maestro riconosciuto di quelle qualità che gli furono rimproverate come difetti dalla critica ufficiale sovietica all'uscita dei suoi film; per il riconoscimento del felice montaggio poetico, della rilevanza data al lavoro con gli amici e con gli sceneggiatori, sia in questo film che in altri, vedi la scheda di  François Albera sul regista nel Dizionario dei registi del cinema mondiale, vol. I, cit., pp. 116-117. 

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