Letto oggi Lettere al mio bambino nei primi mesi di guerra di Arrigo Macchioro, edito alla fine del 1915, è un testo piuttosto disturbante. Si tratta di una serie di lettere che Arrigo Macchioro, insigne uomo di legge, invia al figlioletto Mario, nominato spesso con il vezzeggiativo di Mao, per spiegargli le ragioni della guerra contro l'Austria.
Questo intervento più che voler recensire un testo di pura propaganda (il cui interesse odierno si limita appunto a ciò), intende sfogliare assieme al lettore un significativo esempio della dialettica e delle motivazioni pro-intervento utilizzate, a partire dal maggio 1915, in numerosissime pubblicazioni destinate all'infanzia, trattanti il tema della guerra, narrativa d'intrattenimento compresa.
Apriamo dunque il libro e scopriamo come il solerte genitore organizzi la sua lezioncina. Arrigo comincia con lo scrivere alla maestra di Mario, affinché spieghi al figlio "che cos'è questa guerra che facciamo contro l'Austria".
N.B. Tutte le citazioni in azzurro sono tratte da Lettere al mio bambino nei primo mesi di guerra di Arrigo Macchioro.
Le lettere sgorgano con facilità una dopo l'altra dalla penna dell'amorevole papà: verbose, retoriche e (all'apparenza) ragionevoli, con una studiata alternanza di toni seri e giocosi. Si avvicendano così racconti divertenti ed episodi edificanti, esempi di eroismo e probità tratti dai più diversi contesti (dalla Bibbia, dalla mitologia, dalla storia familiare dell'autore e così via), ragionamenti a sfondo patriottico, ecc. Materiale eterogeneo utilizzato strumentalmente da Arrigo, con innegabile abilità, per avvincere il figlio sui temi che gli stanno a cuore, inculcando nella testa «tonda di fuori e quadra di dentro» del giovane Mario l'amore per la guerra santa e giusta dell'Italia. E termina:
Mi faccia un gran piacere: domani, invece della solita lezione, spieghi al mio Mario [...] che cos'è questa guerra che facciamo contro l'Austria. Gli dica che la guerra è una brutta cosa quando si fa per cattiveria, come se un bambino grande andasse a picchiare un altro bambino più piccolo per fargli del male; ma che invece la guerra è una cosa giusta e santa quando si fa per liberare chi è tormentato, come se uno si mettesse a dare dei buoni pugni per liberare un povero bambino maltrattato. [...] Gli racconti che gli austriaci hanno sempre maltrattato quasi novecentomila italiani - italiani proprio come noi - che stanno nella mia Trieste, nell'Istria, nel Trentino, in Dalmazia e gli dica che ora noi si va a picchiare gli austriaci per liberare quegli italiani, e così la guerra è buona e giusta.Di qui in poi le lettere sono indirizzate direttamente al figlio Mao cui Arrigo dice di scrivere volentieri poiché, afferma in tono bonariamente saccente: «tu, con quella testa tonda di fuori e quadra di dentro, capisci le cose». Dopo una lettera dedicata alle «cattiverie che l'Austria ha sempre fatto contro gli italiani, e non solo contro i bambini, ma anche contro i grandi», e un'altra nella quale descrive in toni sognanti le bellezze dei luoghi irredenti, «E dall'altra parte, verso il Trentino, tu vedessi che bellezza! Io ci sono stato e ti ci porterò, perché sono i posti più belli del mondo e la gente viene sino dall'America per vederli: montagne immense, boschi infiniti, torrenti puri e limpidi, un'aria che a respirarla è più dolce del miele.», passa a rievocare, con parole ardenti, la figura di un patriota risorgimentale:
A capo di tutti quei bravi soldati c'era un uomo che si chiamava Pietro Fortunato Calvi, e tu non pronunciare mai questo nome senza levarti il cappello. Pietro Fortunato Calvi era stato da giovane ufficiale austriaco, ma poi per i tormenti che l'Austria faceva subire agli italiani, buttò via la divisa austriaca che gli bruciava addosso, e si unì al popolo e divenne come il Generale. Ma l'Austria una volta lo acchiappò, gli fece subire tutte le torture possibili e alla fine lo fece morire sulla forca.Procede quindi, didascalico e impietoso, a spiegare al figlio cosa sia la forca:
Venezia, 10 giugno 1915.
Io però voglio dirti che cos'è la forca. Tu sei un bambino ma devi diventare un uomo: non devi aver paura a sentir nominare la forca.La forca è fatta di due pali ritti che si incrociano in cima, e in mezzo c'è una corda fatta a nodo: al condannato si mette la corda al collo e si tira sino a strangolarlo.Un'accusa ricorrente nei testi propagandistici, rivolta agli Imperi centrali, è quella di bombardare cinicamente gli ospedali, i civili e i monumenti artistici. Arrigo non dimentica di fare riferimento a questo punto:
Venezia, 10 giugno 1915.
Tu sai che sopra Venezia volano qualche volta areoplani e dirigibili e fanno cadere delle bombe che scoppiano o appiccano il fuoco; e questa è una grande birbonata.Anche noi mandiamo gli areoplani e i dirigibili contro i nemici, ma per colpire le fortezze, gli arsenali, tutto quello che serve alla guerra. [...] Ma invece quegli austriaci buttano bombe sulla gente che cammina per le strade, sulle donne e sui bambini che non si possono difendere. [...] Quelli canaglie poi pare vogliano distruggere la Basilica di S. Marco, che è una meraviglia di bellezza e la gente è sempre venuta da tutte le parti del mondo per vederla. E non ci sarebbe da stupirsi che facessero così, perché hanno distrutto coi cannoni la cattedrale di Reims, che è una bella chiesa in Francia, colla scusa che su quella chiesa ci fossero dei cannoni francesi che sparavano contro i tedeschi.Questa e le missive seguenti non devono aver lasciato indifferente il piccolo Mao se, in una lettera di qualche giorno innanzi, Arrigo Macchioro può scrivere:
Venezia, 10 giugno 1915.
Mio caro Mario, quando ti ho scritto sulla guerra mi hai risposto: «Tu piangi di non poter andare alla guerra perché sei ammalato ed io piango di non poter andare alla guerra perché piccino».E aggiunge, con fierezza genitoriale:
Venezia, 21 giugno 1915.
Bambino mio, queste sono le più belle parole che hai mai scritto; te ne ringrazio. [...] Pazienza! Essere piccino, essere ammalato non è una colpa, è un gran dolore, grande, grande.In una lettera di qualche tempo dopo (datata 24 giugno 1915), ribadisce più o meno il medesimo concetto, con parole che paiono tristemente profetiche riguardo all destino che attenderà i fanciulli del 1915 di lì a venticinque anni:
Venezia, 21 giugno 1915.
E ora senti come ho fatto perché tutti a Venezia conoscessero questo inno così bello, sentendolo suonare in Piazza: ho raccolto un centinaio di ragazzi, e nella sala di un albergo dove ora non ci stanno che i soldati, ho insegnato loro l'inno di San Giusto. [...] Poi il Colonnello ha tenuto un breve discorso, mentre tutti quei ragazzi erano commossi e gridavano: «Viva l'Italia!»Ho risposto due parole e mi pare di aver detto così: «Ragazzi, se oggi voi non potete andare alla guerra, preparatevi perché l'Italia è chiamata ad altre ore gloriose, ed altri gloriosi destini, e anche voi dovrete un giorno aiutare la gloria d'Italia. Ragazzi preparatevi! Savoja! Savoja» Queste parole te le ho scritte perché anche tu sei un piccolo figlio d'Italia, figlio mio caro, e devi prepararti anche tu così piccino come sei, per aiutare un giorno la gloria d'Italia. Ed ora va e canta:
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