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Fig. 1 |
Convinto fautore dell'intervento, in ambito tedesco, il grande maestro dell’espressionismo Ernst Barlach (1870 –1938) forgiò una delle opere più emblematiche in questo senso, la scultura bronzea intitolata Il Vendicatore del 1914 (fig. 1), conservata alla Tate Gallery di Londra. Essa incarna la figura mistica del guerriero che, armato di spada, si appresta ad avanzare per mettere in opera la sua azione distruttiva. La potenza smisurata che emana lo connota come un essere soprannaturale, una sorta di angelo vendicatore. Osservandolo di fianco, il corpo del personaggio mostra tutta la tensione dirompente che si espande lungo opposte direttrici: la linea direzionale dell’avambraccio che impugna la spada e quella della gamba destra avanzante segnano la sua espansione su un asse verticale, mentre ne marcano lo slancio orizzontale le traiettorie della lama della spada e della linea che unisce il braccio sinistro con la gamba sinistra. Questo angelo-guerriero in atto di dispiegare la sua forza sovrumana viene a plasmare l’immagine di una guerra dal volto mistico e purificatore.
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Fig. 2 |
Barlach aveva affrontato lo stesso tema in un’altra opera, dal titolo alquanto eloquente, La Guerra Santa (fig. 2), litografia pubblicata nel 1914 dalla rivista Kriegszeit (edita da Paul Cassirer). L’icona del guerriero sanguinario appare qui in una ripresa frontale la cui avanzata inesorabile sembra ribadire la fatale e superiore necessità della guerra.
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Fig. 3 |
Nella medesima rivista venivano accolti i contributi di
altri entusiasti sostenitori della ragione del conflitto. Per citare un esempio
illustre, ricordiamo il maggiore esponente della Secessione berlinese, Max Libermann (1847-1935), che nella litografia
Guerra sulla Terra (1914) (fig. 3) rappresenta
i soldati dall’elmo chiodato in azione, sui quali la luce solare pare
riverberare un senso di fiducia. Una posizione, quella espressa da Libermann
nelle sue grafiche, di aperto consenso alla guerra che conferma la sua profonda
convinzione nella correttezza della linea politica seguita dal kaiser Guglielmo
II.
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Fig. 4 |
Nella produzione francese contemporanea, non si riscontrano interpretazioni mistiche della guerra, in una visione alla Barlach. Qui la gran parte degli artisti sembra orientata invece a
legittimare la guerra con la necessità di difendersi dalla brutale
violenza di un nemico efferato, non mancando di esaltare il patriottismo,
l’eroismo e lo spirito di sacrificio dei poilu. In
questo tipo di produzione l’assunto di una guerra necessaria reca implicitamente
l’idea della “guerra giusta”. Molto rappresentative in questo senso sono le
grafiche come Bêtes feroces di Auguste Roubille (1872-1955), in cui un militare tedesco avanza accompagnato da un seguito
zoomorfo composto di tre carnivori, un lupo, una tigre e una iena, che ne
evidenziano la naturale inclinazione alla violenza (fig. 4).
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Fig. 5 |
Tra gli esponenti
dell’avanguardia francese ci fu chi manifestò la forte convinzione che l’esito
sarebbe stato trionfale. È il caso di Raoul
Dufy (1877-1953) che espresse l’assoluta sicurezza nell’invincibilità
della sua nazione nella litografia La
fine della Guerra del 1915 (fig. 5). La scena rappresenta l’aquila
prussiana che, annientata, appare distesa al suolo, mentre un gallo dall’aspetto
imponente, ammantato dal tricolore francese, la calpesta tenendo orgogliosamente alta la rossa cresta.
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Fig. 6 |
In Russia la posizione di Kasimir Malevich (1878-1913), per citare uno dei massimi esponenti
delle Avanguardie, non si discosta molto da quella di un Dufy. Così, in alcune sue litografie a colori realizzate nel
1914, come Che Boom! Che favola! (fig.
6), la guerra viene rappresentata adottando una chiave fumettistica. Al centro
della raffigurazione, sopra una collina, un forzuto contadino russo armeggia con una falce
facendo strage di schiere di soldati dall’elmo chiodato e lasciando le colline
circostanti disseminate di cadaveri. Malevich intende minimizzare dunque la gravità
della guerra e la potenza distruttiva delle tecnologie moderne, mettendo in scena quello che non appare altro che un gioco da bambini dall'esito vittorioso, una favola dal sicuro lieto fine, una prova della
indiscutibile superiorità delle forze contadine del popolo russo.
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Fig. 7 |
Tra il 1914 al 1915, in Italia, i pittori futuristi si allineano alle file
degli interventisti, offrendo il loro contributo creativo a
sostegno del conflitto con opere celebri, quali il dipinto parolibero dal
titolo Manifesto interventista (Collezione
Mattioli, in deposito presso la Peggy Guggenheim di Venezia) (fig.7) di Carlo Carrà (1881-1966) e il disegno di Giacomo Balla (1871-1958) raffigurante Il pugno di Boccioni (fig. 8).
L’opera di Carrà venne pubblicata con il suo titolo
originario di Festa patriottica dalla
rivista «Lacerba»,
proprio nel giorno che ha dato inizio alla mobilitazione europea della guerra,
il 1 agosto 1914. Evocativa dell’energia vitale esaltata dal sodalizio futurista
e dell’idea di “guerra “festa”, echeggiava il grido interventista nelle scritte
apposte a pennello al centro dell’opera: “EEVVIIIVAAA IL / RÈÈÈ”, “EVVIVAAA’ /
L’ESERCITO” e più sotto: “VTRIESTE / ITALIANA / MILANO”.
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Fig. 8 |
Il pugno di Boccioni di Giacomo
Balla è un’opera grafica che venne riprodotta nelle intestazioni delle
missive dei futuristi. Successivamente l’artista ne elaborò una versione scultorea.
Balla vi ha concepito le parti anatomiche della figura di Boccioni come pure
traiettorie nello spazio (ossia linee curve mimanti il corpo, trapassate da
linee rette che evocano gli arti). L’alto grado di astrazione enfatizza la potente carica evocativa dell'atto raffigurato, venendo a suggerire come sia talvolta propizio l’impiego
della forza fisica nella vita reale. Ne scaturisce la tematica-chiave della
propaganda futurista, secondo cui la guerra è giusta perché stimola lo svecchiamento della società e della politica italiana. Nella fase
precedente l’intervento italiano, avvenuto il 24 maggio 1915, anche
le opere d’arte dei futuristi, con i loro dirompenti contenuti, ebbero un
impatto decisivo nella promozione dell’idea che il rinnovamento della nazione
dovesse attuarsi mediante l’azione eroica e violenta.
Quando il conflitto cominciò a produrre i suoi effetti devastanti
su vasta scala mostrando, fuori da ogni retorica, il suo vero volto, e
rivelando l’orrendo carnaio in cui consisteva, risultò difficile per chi si era precedentemente
schierato tra i sostenitori della guerra mantenere una posizione coerente. Per
molti interventisti quella fu l’ora della disillusione. Per altri l’ora
del cambiamento. Chi tra loro, ad esempio, aveva scelto di arruolarsi
volontario, incontrò spesso un’estrema difficoltà a rappresentare la guerra nei
medesimi termini con cui l’aveva fatto in precedenza. Tra gli artisti che
scelsero di partecipare al conflitto volontariamente è emblematico il caso del già citato Barlach, nelle cui opere litografiche, pubblicate a partire dal 1915 nel
periodico Kriegszeit e poi in Der Bildermann, affiora il grido
disperato delle vittime della guerra, e diventa predominante il tema della
morte. L’artista interventista convinto perviene alla denuncia, al ripudio
degli orrori della guerra.
Per i futuristi il discorso si pone in termini assai
diversi. Carrà, ad esempio, una volta che il conflitto aveva
avuto inizio, riteneva esaurito il compito dell’artista e dell’intellettuale. A
quel punto erano i soldati ad assurgere a protagonisti e l'artista poteva farsi da parte. In Boccioni, altro artista futurista, il quale scelse invece l’arruolamento
volontario, prevaleva l’idea che la guerra non potesse essere rappresentata da chi la combatteva e che le opere di guerra non fossero vera arte ma equivalenti dell’attività politica e civile.
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Fig. 9 |
Anselmo Bucci
(1877-1955) pur partendo da posizioni vicine a quelle di Boccioni, affermando dunque che la guerra moderna fosse evento più sonoro che visibile, superava l'impasse assegnando all'arte il compito di rappresentare appunto questo invisibile. La rivista Emporium dell'agosto 1917 riporta le seguenti dichiarazioni del pittore:
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Luigi Angelini, Disegni di guerra (Emporium di Agosto 1917) |
Bucci produsse quindi uno dei più intensi reportage di guerra, la serie di 52 puntesecche dal titolo Croquis
du front italien (1917), in cui viene raffigurata la vita militare che lo vide
partecipe volontario nella spedizione del Battaglione Lombardo Ciciclisti, insieme
al gruppo dei futuristi, tra cui lo stesso Boccioni e Marienetti. L’idea di
guerra giusta traspare soprattutto nei soggetti più vitalistici della serie,
quale La partenza (fig. 9) che
risente maggiormente del dinamismo di ascendenza futurista. L’incisore
raffigura il gruppo dei volontari in un campo ampio nel quale i segni rapidi tracciati
nel suolo sottolineano le linee di avanzamento. Il personaggio al centro si
volta indietro levando il braccio in gesto di saluto, svolgendo al contempo la
funzione di suggerire l’espansione spaziale nella direzione dello spettatore. L’arte
di Bucci adotta una modalità figurativa in cui le figure appaiono delineate da
segni dinamici e fluidi ma al tempo stesso vigorosi.
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Fig. 10 |
Solo Giacomo Balla, tra i futuristi, risiedendo a Roma a
distanza dalle operazioni e dalla guerra, continuò l’opera di propaganda in
perfetta coerenza con gli assunti iniziali. Le sue opere degli anni del
conflitto sono una perfetta attestazione del bellum iustum. Sono dipinti dedicati alle manifestazioni di piazza
e agli sbandieramenti, come Bandiere
sull’altare della patria del 1915 (fig. 10). Qui il dinamismo non è più suggerito dalle traiettorie
di un corpo come ne Il pugno di Boccioni,
ma evocato da compatti blocchi geometrici e da campiture piatte e solide
di colore.
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Fig. 11 |
La causa della guerra giusta viene ribadita anche nelle
opere di molti artisti francesi, i quali abbandonano le prospettive della facile
vittoria abbracciata da Dufy in La fine
della Guerra, portando alle estreme conseguenze il tema del sentimento patriottico quale antidoto alla spietata aggressività del nemico,
vero movente del conflitto. La denuncia del massacro assume spesso toni
apocalittici come in Il confine
(1916) di Jean-Louis Forain (fig. 11),
in cui in primissimo piano emerge il cadavere di un milite francese accanto alla
pietra miliare che reca la scritta ” Verdun / XI km”. Questo soldato è il primo
di una schiera infinita che si estende nell’immensa pianura a partire dal
“confine dell'orrore” contrassegnato dalla pietra.
Carol Morganti
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