
Il generale Zuppelli, ministro della guerra, con un memoriale inviato a Salandra e a Sonnino accusò duramente il Capo di Stato Maggiore di aver frantumato le forze a disposizione lungo tutto il confine senza cercare di dislocare l'artiglieria nei punti strategici dell'Isonzo.
Zuppelli non si limitò a criticare ma avanzò anche una proposta: iniziare, a sorpresa ai primi di febbraio, una forte offensiva concentrando, su un breve tratto di non oltre dodici chilometri, un'importante quantità di pezzi di medio e grosso calibro. Questa alternativa alla solita teoria cadorniana, presentata in un Consiglio dei Ministri tenutosi il 26 gennaio del 1916, trovò numerosi sostenitori, in primis Sonnino che già accarezzava l'idea di sostituire Cadorna con qualcuno a lui più vicino (Robilant).
Tuttavia il Presidente del Consiglio Salandra preferì chiamare in causa il re, Vittorio Emanuele III, che, forse anche per non rinnegare la scelta di nominare Cadorna Capo di Stato Maggiore dell'esercito, mostrò totale fiducia nell'operato e nelle idee del generalissimo.
Nel frattempo, siamo a febbraio del 1916, giornali interventisti come Il Corriere della Sera, Il Secolo, Il Popolo d'Italia, La Tribuna e l'Idea Nazionale, iniziarono una forte propaganda a favore del Comandante che intuì come l'appoggio della stampa lo avrebbe certamente aiutato a superare indenne il primo anno di guerra. Molte testate, con retorica e colore, sottolinearono la “nostra avanzata irresistibile” grazie al “genio strategico” di Cadorna. “Questa Italia ha trovato il suo duce..........Chi vive a contatto con le moltitudini più che coi politici e politicanti, può dire quanto incrollabile, genuino e universale sia il sentimento per il quale la nazione vede il suo migliore e più degno condottiero in Cadorna. La gente ha intuito questa salda coscienza, questa ferrea volontà. Essa che ha sempre dubitato di tutti, non tollera più i dubbi sul proprio generale.” (La Tribuna del 20 febbraio 1916).

All'inizio di marzo il generale francese Joffre, in grave difficoltà per gli attacchi tedeschi a Verdun e sulla Mosa, chiese agli alleati di lanciare manovre di sostegno al fine di richiamare truppe dal fronte occidentale. Cadorna era consapevole che per le truppe italiane non si sarebbe trattato di una vera e propria offensiva, peraltro già studiata e predisposta per il mese di giugno, ma , causa l'inclemenza del clima, di semplici azioni di disturbo; attacchi parziali piuttosto sommessi ad impedire eventuali spostamenti di truppe austro ungariche e soprattutto di artiglierie in direzione di Verdun dove la pressione teutonica era sempre più forte.
La quinta battaglia fu quindi una diretta conseguenza dell'assalto tedesco contro la Francia. Gli scontri attorno a Tolmino, il monte Mrzli, il San Michele, il Podgora o il Sabotino comportarono il solito bagno di sangue: in poco meno di una settimana (11-16 marzo) oltre 5.000 uomini dei due schieramenti furono posti fuori combattimento.
Giancarlo Romiti
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