da "Tormento" di Virgilia D'Andrea

CIECO DI GUERRA
Alto e severo, da la fronte austera,
Volgeva il viso, verso l'ampio mare...
Ma la pupilla nera
Fosca narrava de le cose amare.

«E non danzate?» chiese al cavaliere
Una biondina debole e sottile.
«Queste son gioie vere
Che la patria vi dà... grata e gentile.

Il vincitore siete... e perchè assente
Voi disdegnate il bacio e la vittoria?
Per le pupille spente
Vi dà, l'Italia... tutta questa gloria...».

Vanno le coppie pallide ed avvinte,
Lente e discinte... in atto di languore...
Sopra le bocche pinte
Vaga un desio nostalgico d'amore.

Egli ha un singulto di smarrito pianto,
Che si tramuta in ombra di sorriso...
Ed il velato schianto
Sbianca e martella quel suo triste viso.

«La Patria... hai, forse, detto? o tu non sai,
Che non ebbe, per me, sogno di pace,
L'infida terra, mai...»
E la sua voce è tremula e mordace.

Passa, per l'aria, un lento batter d'ali...
Un velo di dormiente primavera
E un canto d'ideali
Sfiora e ravvolge la tranquilla sera.

«Sento, riprende, che in un sogno assorte
Passan, le stelle, ricamando in oro...
Per le pupille morte
Invano luce a queste luci imploro.

Alla tua voce, o piccola, non cedo...
Freme e singhiozza, il mar, stretto a la terra...
E nessun raggio vedo...
Se tu sapessi come, il cor, mi serra

Cupa tristezza spasimante e sola...
Vuoi tu sentirla l'intima canzone
Che mi schianta la gola?
Essa è rovente di maledizione.

Ma va, fanciulla, va, torna tra i fiori...
E questa festa, o pallido virgulto,
Fra il tanfo dei liquori,
È della patria, l'irridente insulto».
Milano, agosto 1920.

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