Il mondo delle retrovie nelle narrazioni dei soldati

Il mondo delle retrovie appare curiosamente assente nella narrazione di Emilio Lussu che, in Un anno sull'Altipiano, ha voluto rappresentare i soldati come immersi costantemente nell’opprimente atmosfera della trincea. La critica al conflitto, in Lussu, che pure era stato all’inizio un convinto interventista, la vince su ogni dato realistico: per lui la guerra (vissuta e rappresentata) non è che «un macello permanente».

Le pause distensive, i piccoli piaceri, i riposanti momenti di cameratismo concessi dalla protezione delle zone retrostanti le aree più prossime alla prima linea appaiono invece centrali nel vibrante e malinconico mondo poetico di Erich Maria Remarque. Non a caso, lo scrittore tedesco apre Niente di nuovo sul fronte occidentale proprio con una scena ambientata nelle retrovie del fronte delle Fiandre, in un momento di puro, seppure effimero, soddisfacimento:
Siamo a riposo, nove chilometri dietro il fronte. Ci hanno dato il cambio ieri; oggi abbiamo la pancia piena di fagioli bianchi con carne di manzo, e siamo sazi e soddisfatti. Anche per la sera ciascuno ha potuto prenderne una gavetta piena; inoltre, doppia porzione di salsiccia e di pane: tutto questo fa bene. Un fatto simile non ci era accaduto da un pezzo; il grosso cuciniere con la sua testa da pomodoro offre addirittura il cibo a chi lo vuole; a chiunque gli venga innanzi fa segno col suo mestolo e gli riempie la gavetta. È disperato perché non sa come vuotare la sua marmitta. Tjaden e Múller hanno scovato un paio di catinelle e se le sono fatte riempire fino all'orlo, come riserva. Tjaden lo fa per ingordigia, Múller per previdenza. Dove vada a finire tutta la roba che Tjaden ingurgita, è un mistero; lui rimane secco e magro come un'acciuga.Ma il più importante è che si è avuto anche doppia razione di tabacco. Dieci sigari, venti sigarette e due pacchetti di tabacco da cicca a testa, non c'è male. Ho dato il mio tabacco da cicca a Katzinski in cambio delle sue sigarette, e così ho quaranta sigarette per me: ce n'è d'avanzo, per un giorno.Tutta questa grazia di Dio in fondo non ci compete. I prussiani non sono splendidi a tal punto. La dobbiamo semplicemente ad un errore.
Altra scena notissima di Niente di nuovo sul fronte occidentale è l’incontro tra alcuni soldati tedeschi e delle ragazze francesi:
Le case dalla nostra parte del canale sono state sgombrate dalla popolazione civile. Di là invece si vede ancora apparire qualche abitante.Una sera, mentre nuotiamo nel canale, ecco tre donne lungo la riva; camminano lentamente e non voltano via gli occhi, sebbene noi non portiamo mutandine.Leer grida loro qualcosa: esse ridono e si fermano a guardarci. Gettiamo loro, nel nostro francese stentato, le poche parole che ci vengono in mente, alla rinfusa, in fretta, per fare che non vadano via. Non sono precisamente termini molto scelti: ma dove si andrebbero a pescare?Una delle ragazze è sottile e bruna: quando ride le brillano i denti: ha rapide movenze, la sottana le si agita sciolta intorno alle gambe. Quantunque l'acqua sia fredda, siamo eccitatissimi e affaccendati ad interessare le pulzelle perché rimangano. Tentiamo motti di spirito, ed esse ci rispondono, senza che riusciamo ad afferrare bene il senso delle loro parole: ma ridiamo e facciamo segni. Tjaden ha un'idea luminosa, corre in casa, e ritorna tenendo alta in mano una pagnotta.Il successo è grande. Esse ci fanno segno d'assenso, e ci invitano di là. Ma questo appunto non possiamo, è proibito metter piede sull'altra sponda; su tutti i ponti stanno le sentinelle. Niente da fare senza permesso. Cerchiamo di far loro capire che vengano esse di qua, e alla loro volta scuotono il capo e indicano i ponti. Neanch'esse possono passare.
Ma nulla è impossibile per chi cerca un momento di piacere (si chiami cibo o donna), così, quella stessa notte, i militari, nudi tranne che per le scarpe, attraversano il fiume a nuoto. Dopodiché, armati di pane e salsicce, si apprestano ad entrare nella casa delle giovani:
La porta di casa è aperta. Le nostre scarpe fanno abbastanza rumore. Si socchiude un uscio, filtra un po' di luce, una donna spaventata dà un grido. Noi facciamo: « Pst, pst, camarade, bon ami » e teniamo alti i nostri pacchi, scongiurando. Ecco che spuntano anche le altre due donne, l'uscio si apre tutto e la luce ci investe; ci riconoscono, e tutte e tre ridono senza freno vedendoci in quel costume. Ridono al punto che devono piegarsi e curvarsi, nella cornice luminosa della porta.Con quanta eleganza si muovono!«Un moment.» Spariscono un istante, e ci gettano qualche indumento che ci mettiamo addosso alla meglio. Poi siamo ammessi ad entrare. Nella camera arde una piccola lampada, fa caldo e v'è nell'aria un leggero profumo. Apriamo i nostri pacchi e offriamo i viveri. I loro occhi scintillano, si vede che hanno fame.A questo punto ci guardiamo in faccia, un po' imbarazzati. Leer fa il gesto di mangiare, e ciò sembra rianimarle; vanno a prendere piatti e posate e si gettano sulla roba. Prima di mangiare levano in alto, ammirando, ogni fettina di salsiccia, e noi assistiamo al festino, fieri di noi stessi.Intanto parlano a getto continuo nella loro lingua che noi non comprendiamo bene pur rendendoci conto che ci dicono buone parole. Forse ai loro occhi sembriamo anche molto giovani: la bruna sottile mi va accarezzando i capelli e dice ciò che dicono le donne francesi: « La guerre - grand malheur - pauvres garçons... ».Io le trattengo il braccio e le bacio il palmo della mano. Le dita sottili stringono il mio volto: sopra di me sono quegli occhi eccitanti, la pelle dolcemente bruna, le labbra rosse; la bocca pronuncia parole che non comprendo. Nemmeno gli occhi comprendo bene: dicono più che non ci aspettassimo, quando venimmo qui.Vi sono altre camere accanto. Vedo Leer che con la sua bionda diventa manesco e loquace: lui è pratico di queste cose più di me. Io invece mi sento perduto in qualcosa di lontano, di lieve, di impetuoso e a quella corrente mi affido. I miei desideri sono un misto singolare di bramosìa e d'abbandono. Ho la vertigine, e nulla v'è qui a cui mi possa trattenere. Abbiamo lasciato le scarpe alla porta, ci hanno dato delle pantofole, e non c'è più niente che mi richiami alla sicurezza e sfrontatezza del soldato: né fucile, né cintura, né uniforme, né berretto. Mi lascio cadere nell'incerto, accada poi quello che vuole; perché, nonostante tutto ho un po' di paura.La bruna sottile, quando riflette, muove le sopracciglia; ma quando parla le tiene ferme; talvolta il suono delle sue labbra non arriva a formar parole, e queste rimangono soffocate o passano incompiute sopra di me, formando un arco, come di cometa. Che ne so io? Le parole di questa lingua straniera che quasi non capisco mi cullano in un dormiveglia, la camera svanisce in una specie di bruno chiarore, solo la figura della donna davanti a me, è viva e luminosa. […] Come tutto ciò è diverso da quello che avviene nei postriboli per le truppe, dove ci permettono di andare e dove gli uomini attendono in lunga fila il loro turno! Non vorrei pensare a quei luoghi: ma involontariamente mi attraversano la mente, ed io tremo, che di certe immagini non si riesca a liberarci mai più.Poi sento le labbra della sottile bruna e vi premo le mie, chiudo gli occhi; vorrei con ciò spegnere ogni cosa, la guerra e l'orrore, e la volgarità, per risvegliarmi giovane e felice. […] Un poco più tardi, ci si ritrova tutte e tre. Leer è fiero e disinvolto. Ci congediamo cordialmente e riprendiamo i nostri stivali. L'aria della notte rinfresca i nostri corpi accaldati. Alti stanno i pioppi nella notte, e mormorano. La luna splende nel cielo e sull'acqua del canale. Non corriamo più: camminiamo a gran passi l'uno accanto all'altro. Leer dice: « Ecco una pagnotta bene spesa ». Io non so decidermi a parlare, non sono neppure allegro.
Momenti siffatti di cameratismo un po’ goliardico, assai frequenti nel romanzo, risuonano di una gioia immediata e potente, facendo da contrappunto alle scene terribili di battaglia, in cui a predominare è il cinismo e la legge della sopravvivenza del singolo. Ed il mondo dei giovani soldati di Remarque è tutto qui: essi appaiono infatti tanto segnati dall’esperienza della guerra da non poterne vivere distante. La gioia, per essi, non può esistere che durante le pause che dividono una battaglia dall’altra. Quanto disadattati siano questi ragazzi, generazione divenuta inadatta a una vita pacifica, appare palese nel corso dei giorni che il protagonista trascorre a casa, durante una licenza:
Non così mi ero immaginata la licenza. Un anno fa era tutt'altra cosa. Probabilmente sono cambiato io nel frattempo; tra allora e adesso c'è un abisso. Allora non conoscevo ancora la vera guerra, eravamo stati sempre in settori tranquilli.Oggi mi accorgo che a mia insaputa mi sono logorato e maturato. Non mi trovo più bene qui; è un mondo estraneo. Gli uni mi interrogano, gli altri no, ma in faccia a questi si vede che se ne fanno un merito; anzi qualcuno dice con aria saputa, che non si deve parlare. Chissà che benemerenza pensano di acquistarsi. […]Tutti parlano troppo. Hanno preoccupazioni, scopi, desideri, che mi è impossibile di concepire a modo loro. Qualche volta siedo tra loro, nel piccolo giardino dell'osteria, e mi sforzo di far loro comprendere che in fondo tutto è lì: starsene seduti così, tranquillamente. Essi trovano ben naturale ch'io pensi ciò, ne convengono, lo sentono fors'anche, ma a parole, soltanto a parole, ecco lo sentono, ma sempre a metà; la loro preoccupazione va ad altre cose, nessuno lo sente con tutta la sua vita: io stesso poi non so esprimere bene quello che ho in mente.Quando li vedo nelle loro stanze, nei loro uffici, nelle loro professioni, mi sento irresistibilmente attratto, vorrei esser anch'io uno di loro, dimenticare la guerra: ma nel contempo qualcosa mi respinge indietro, il loro mondo mi sembra così angusto, mi pare impossibile che possa riempire una vita: mi sembra che si dovrebbe buttar sossopra ogni cosa. Come mai tutto ciò può esistere, mentre laggiù le schegge sibilano sui camminamenti e i razzi solcano il cielo, e i feriti sono portati via sui teli da tenda e i compagni si rannicchiano nelle trincee! Gli uomini qui sono diversi, io non li posso capire, li invidio e insieme li disprezzo. Involontariamente il pensiero corre a Kat e ad Alberto e a Miiller e a Tjaden; che cosa faranno ora? Forse sono nella cantina o nuotano nel canale: ma presto dovranno tornare in linea.
Le retrovie, invece, non sembrano interessare granché un altro grande scrittore di guerra tedesco, Ernst Jünger, la cui visione epica della guerra si nutre essenzialmente della descrizione di battaglie. Di Jünger vogliamo citare però un curioso brano tratto dal suo libro più celebre, Nelle tempeste d'acciaio, in cui il mondo delle retrovie viene descritto con tratti grotteschi, divenendo palcoscenico delle più estrose follie da parte dei comandanti:
Il 29 novembre il nostro battaglione fu trasferito per quindici giorni a Quéant, piccola città nelle retrovie della divisione, che doveva più tardi guadagnarsi una fama sanguinosa; allora offriva buone possibilità per le esercitazioni, ma soprattutto permetteva di godere le comodità degli alloggiamenti. Proprio durante questo soggiorno, ebbi la nomina a tenente con l'ordine di trasferimento alla 2 a compagnia.A Quéant e nei villaggi vicini fummo spesso invitati, dai comandanti delle varie piazze, a solenni bevute; avemmo così modo di constatare che i poteri di questa specie di prìncipi sui loro subalterni e sugli abitanti del luogo, erano quasi assoluti. Il nostro si era autonominato re di Quéant e ogni sera, al suo apparire, veniva salutato da un tonante: «Viva il re!»; sua maestà regnava capricciosamente fino all'alba e puniva ogni strappo all'etichetta con un giro di birra obbligatorio. Noi, che venivamo dal fronte ed eravamo novellini in questo genere di prove, ce la cavavamo molto male. L'indomani, dopo pranzo, lo si vedeva percorrere i suoi domini in "Dogcart", il più delle volte un po' brillo, mentre si recava a visitare i re suoi vicini, per sacrificare con loro a Bacco e prepararsi così per la sera. Tutto ciò egli lo chiamava «assalto». Un giorno ebbe una lite con il re di Inchy; gli mandò a mezzo di un gendarme a cavallo la sua dichiarazione di guerra. Dopo varie battaglie combattute a colpi di zolle di terra da due bande di stallieri, il re di Inchy, imprudentemente introdottosi in una cantina di Quéant, dove si beveva la birra bavarese, fu sorpreso mentre stava in un luogo... solitario e preso prigioniero. Dovette pagarsi il riscatto consegnando una botte di birra. Così si chiusero le ostilità tra questi due potenti sovrani.
Concludiamo questo breve excursus con le note dedicate al mondo delle retrovie da Walter Giorelli, Il soldato pittore protagonista del diario di guerra Il sorriso dell’obice di Dario Malini. Lo sguardo vivace del soldato Giorelli pare spesso sorprendersi di come la guerra induca la compresenza di mondi diversissimi, distanti pochi chilometri l’uno dall’altro:
Stamattina sono stato a Cormons. Ho ascoltato delle frasi in veneto (a Medana sono tutti slavi), ho visto una signora con il cappello, negozi aperti, trattorie. Sono cose che fanno un certo effetto quando si è avvezzi a sentire i boati dei cannoni rimbombare ininterrottamente da valle a valle e a non imbattersi in altri che in soldati in fatica.
E in un altro brano, Giorelli sembra ipotizzare una correlazione quasi geometrica tra la distanza dalla zona del fuoco e i percorsi mentali dei fanti:
Continua il cannoneggiamento senza interruzione. Rintanati tra le montagne come lupi, trascorriamo le ore di riposo intorno al fuoco sorbendo vino a piccoli sorsi, e non senza diversi momenti di dissennata allegria. Una legge quasi perfettamente geometrica ci induce a parlare di ragazze oppure di guerra, a seconda della nostra distanza dalla prima linea. Quando siamo sufficientemente al sicuro, diventa inesauribile l’argomento delle tose che ognuno ha desiderato o che talvolta ha avuto come amiche. Alcune storie narrate dai compagni, vere o false che siano, fanno fantasticare un po’ tutti. Quella della Marietta, dalla pelle dorata e i seni appuntiti, abbordata arditamente da un soldatino milanese al caffè Biffi; oppure quella dell’impalpabile scia di profumo seguita per diversi chilometri da un altro ragazzo, prima d’incarnarsi nelle forme procaci di Viola; o, ancora, quella di un’esile fanciulla, altera come una madonna antica, appartatasi inaspettatamente con due soldati in licenza conosciuti su un treno poco prima. La vicinanza alla linea del fuoco ci suggerisce invece discorsi ben più spettrali. Se, come ci si aspetterebbe, queste conversazioni riguardano spesso le più svariate considerazioni sui prossimi assalti, è bizzarro che la consuetudine con la morte attizzi in ognuno di noi uno spirito beffardo e crudele, inducendoci a ridere sino alle lacrime di cose che, in altre circostanze, ci farebbero un’impressione ben diversa. Ad esempio, dell’episodio di quel fante austriaco che, lanciatosi arditamente all’attacco in uno degli ultimi scontri, ha perso all’improvviso i pantaloni ed è stato falciato dalle nostre mitragliatrici nell’atto grottesco di riallacciarseli, spirando infine con le brache calate.

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