Ritratti di compagni


Anche stasera ho disegnato dei ritratti. In essi i miei compagni paiono esseri stremati ed esangui, i volti afflitti e scavati resi sinistri dagli effetti di una funesta luce radente.
Walter Giorelli 
(da Il sorriso dell'obice di Dario Malini, Mursia editore)

Paesaggio devastato al massimo grado era l’esile striscia di terreno che divideva le proprie postazioni da quelle dell’esercito avversario, la cosiddetta “terra di nessuno”. La terra di nessuno rappresentava l’ignoto, il perturbante, ciò che si trovava oltre il reticolato. A di qua di esso ogni cosa diveniva familiare, ogni uomo era un amico, superata tale barriera esisteva solo lo smarrimento e l’orrore.

Ed ecco che il volto di un compagno con cui si sono condivise le terribili esperienze della guerra, in molte opere di pittori-soldato, viene spesso caricato di alti valori di umanità. Nell’inevitabile semplificazione della realtà imposta dalla guerra, esso viene a rappresentare l’amico, tutto ciò che è caro, umano e familiare, contrapposto all’alterità assoluta pertinente al nemico. Non a caso si potrà notare che proprio nel ritratto l’arte nata in seno alla Grande Guerra ha prodotto opere particolarmente ispirate e di intensa caratterizzazione.


Jean Lafon (Parigi 1886-1963), ad esempio, nel riprendere un soldato del corpo di spedizione russo sul fronte della Marna (forse a Châlons-sur-Marne, dove la brigata russa era giunta nell’agosto del 1916 (anno riportato nel disegno), ha messo ogni cura nell’evidenziarne la ricchezza della vita interiore. In quell’uomo, che in fondo non era altro che uno straniero alleato, Lafon ha raffigurato un compagno preda di un velo di turbamento e di un profondo senso di malinconia: quasi un altro se stesso.


Gli schizzi Soldato in piedi, Soldati che marciano per andare a combattere e Soldato seduto con la pipa, eseguiti da Julien Le Blant (Parigi 1851-1936), sono lavori che l’artista sessantenne, non mobilitato per via dell’età, ha realizzato al seguito delle truppe francesi. In essi le fisionomie di uomini di cui nulla conosciamo, rese con rapidi e sapienti segni di matita, sono tracciate con tanta accuratezza da farcene chiaramente percepire i più riposti moti dell’animo.



Nel primo disegno l’artista ha colto il sentimento ricolmo di incertezza mista a speranza di colui che, partendo, rivolge un ultimo sguardo a ciò che lascia dietro di sé.




In Soldati che marciano ha ripreso l’avanzare fiero e ardimentoso dei militari che, con passo sicuro e spedito, partono per la guerra. Il pericolo di cui non s’avvedono, nella foga del momento, pare tuttavia preannunciato dalle lunghe ombre che i loro corpi proiettano in avanti.




Il Soldato seduto che fuma la pipa è invece un uomo che ha già sperimentato gli effetti della guerra, e il suo gesto di impugnare con forza un bastone sembra esprimere il bisogno di aggrapparsi alla vita, di sfuggire al rischio incessante di scomparire nel nulla. E il lavoro dell’artista risponde a suo modo a questa necessità: fermati sulla carta, le effigi dei soldati potranno sopravvivere.

Carol Morganti

Nessun commento:

Posta un commento