ZONA DI GUERRA: "Soldati all'attacco"

«16 giugno [1918]. Ore 20. Il bombardamento continua violentissimo. [...] Lavoriamo immersi nel fango, ripetendo gli stessi gesti mille e mille volte. Sono sfinito, rintronato dagli scoppi, dai sibili e dai mugolii dei proiettili che solcano l’aria. Quasi non ricordo più lo scopo di tanta fatica. A un tratto passa, vicinissima a noi, una lunga colonna di prigionieri catturati ieri sera. […] Li osservo con sentimenti ambivalenti, finché non spariscono nel buio. Riprendo quindi a guidare il tiro dei miei. Rigido e collerico, grido: «Fuoco!» 
Pum. 
«Via, via, fuoco, presto!» 
Pum. 
La notte è neroniana.»
D. Malini, Quella cosa grande (o fetente) che è la guerra

Questa sezione è dedicata al tema cruciale dell’attacco. Contingenza cardine della guerra, evento dinamico per eccellenza, rappresenta il temutissimo momento in cui il fante deve lasciare il riparo della trincea per avventurarsi nella cosiddetta “terra di nessuno”, luogo oltremodo ostile, dominato dall’orrore e dalla brutalità. Nella opere qui presentate trovano spazio i momenti colmi di pathos che precedono immediatamente l’entrata in azione dei combattenti, le raffigurazioni di soldati con maschere antigas, le riprese di truppe in movimento e in sosta forzata all'interno dei crateri prodotti dalle esplosioni, le drammatiche scene dominate dalla presenza di feriti e caduti, e, infine, le immagini che documentano l’agognato momento del rientro nelle proprie linee, al termine della battaglia.

Fig. 1 Henry De Groux, Lanciatore di granate (Lanceur de grenades),
1914-1916, acquaforte, mm 247 x 184 (lastra)
L’artista belga Henry De Groux ha trattato il tema dell’attacco in diverse occasioni. Cominciamo con una sua grafica, facente parte dell’importante raccolta d’impronta antimilitarista Le Visage de la Victoire, realizzata tra il 1914 e il 1916. Si tratta dell'acquaforte Lanciatore di granate (fig. 1), opera che denuncia con forza la disumanità della guerra moderna. Al centro della composizione, il soldato pare un palombaro che avanzi faticosamente nell'acqua limacciosa di un fiume. Del suo viso, coperto da una maschera antigas di modello francese, possiamo scorgere solo gli occhi sbarrati, simili a quelli privi di palpebre di un grosso animale acquatico o ai fari di una qualche macchina. Un impenetrabile accumulo di segni fitti e inquieti avvolge la sua figura, rendendo quasi palpabile il fumo irrespirabile che satura la scena. La guerra mostra qui uno degli esiti più terrificanti, annullando l’umanità di chi è costretto a combatterla. La potenza espressiva e visionaria di quest’opera ne fa un monumento emblematico dei tempi moderni.

Fig. 2 Julius Wegerer,Marcia verso la Francia (Vormarscher in Welschland),
1918, acquaforte, mm 150 x 161 (inciso), mm 212 x 190 (lastra)
Passiamo ora a esaminare una raffigurazione di battaglia, d’intonazione molto diversa dalla precedente, dell’artista tedesco Julius Wegerer, le cui opere all'acquaforte, risalenti agli anni del conflitto, sembrano anticipare motivi che avranno un certo sviluppo nella repubblica di Weimar degli anni Venti. In Marcia verso la Francia, del 1918 (fig. 2), una schiera di soldati avanza sulle rovine di un campo di battaglia, sotto un cielo pervaso da un turbine di fuoco: fenomeno che, nell'immagine, assume una tale grandiosità da apparire quasi di natura sovrannaturale. I fanti tedeschi, ripresi in controluce mentre salutano con gesti concitati la smisurata esplosione, paiono riconoscervi i segni profetici non tanto - o non soltanto - della vittoria, quanto piuttosto di una sorta di rigenerazione che sorgerebbe dalle ceneri dell’era morente. Una visione apparentemente non distante dall'utopia della “primavera dei popoli” che si andrà fortemente radicando nella cultura artistica e letteraria tedesca dell’immediato dopoguerra. 

Fig. 3 André Devambez, Il freddo (Le froid),
1915-1917, acquaforte, mm 230 x 281 (lastra)
Un’argomentazione non inusuale nella ripresa artistica del motivo della battaglia mira a denunciare la crudele condizione dei fanti nel corso degli attacchi, assoggettati all’azione implacabile delle terribili armi coniate dalla tecnologia moderna. Nell’acquaforte Il freddo di André Devambez (fig. 3), ad esempio, l’ampia inquadratura, che fa pensare a una ripresa aerea, sembra manifestare un rapporto squilibrato tra i territori delle azioni di guerra (vasti e pericolosi) e i soldati (piccoli e inermi). L’ambiente che vi viene rappresentato appare inospitale e desertico come una landa rocciosa: quasi un paesaggio lunare, solcato da crateri di diversa profondità. In una di queste voragini alcuni poilus, rimasti probabilmente isolati dalla loro brigata, stanno in attesa, rannicchiati per l’intensità del freddo invernale. L’immobilità degli uomini accresce il senso della loro inadeguatezza rispetto agli eventi immani che li sovrastano: la forra che offre momentaneo rifugio ai soldati potrebbe trasformarsi d’emblée in una trappola mortale, come sembrano suggerire i misteriosi contrasti di luci e ombre che delineano il terreno (effetti di notevole ricchezza timbrica, ottenuti tramite il sapiente utilizzo dell’acquatinta e l’impiego sorvegliatissimo di molteplici morsure).

Fig. 4 Willi Geiger, “Soldato caduto”, 1918,
puntasecca, mm 142 x 110 (lastra)
Un’analoga volontà di denuncia caratterizza l’opera incisoria di guerra del maestro espressionista tedesco Willi Geiger del quale proponiamo una puntesecca, risalente al 1918. Si tratta di un'opera che attesta la fase di disillusione dell'artista che condivise dapprima la generale euforia per la guerra, cui partecipò come volontario dal 1914, distanziandosene però dopo aver osservato direttamente la spietata realtà dei combattimenti. L'immagine, fig. 4, è costruita intorno alla figura di un giovane militare, trafitto a morte dalle schegge di una granata. L’assenza di tratti distintivi, come di qualsivoglia particolare realistico, fanno assurgere questa figura a simbolo del destino incombente su tutti i soldati, al di là di qualsiasi specifico riferimento o connotazione nazionale. Nell'opera, la mano sinistra del giovane combattente, stretta al petto in forte evidenza, assume proporzioni accresciute, in un illusorio tentativo di proteggere il proprio cuore (e dunque la propria umanità) dall'implacabile metallo. La mano ferita è un motivo iconografico tradizionale, che rimanda a quello del cuore trafitto irraggiante luce, rappresentato sovente nelle icone e nelle immagini devozionali.

Fig. 5 Henry De Groux, Fisionomia del fronte,
vernice molle, mm 246 x 178 (lastra)
Concludiamo con un’incisione che possiede alcune peculiarità assai significative. Si tratta della vernice molle Fisionomia del fronte (fig. 5), ancora del maestro belga Henry De Groux. Priva di riferimenti al contesto, raffigura un militare che incede faticosamente, appoggiandosi a un bastone, avvolto in un tabarro di pelo. Lo sguardo appena abbozzato non lascia trapelare che i segni di una immane stanchezza per una guerra sfibrante e interminabile. Ancora una volta l’artista intende denunciare il terribile effetto della guerra sugli uomini. La “fisionomia del fronte” che dà titolo all'opera rappresenta un aspetto inconfondibile, un insieme di caratteristiche fisiche e psicologiche proprie di chi è stato in prima linea, vivendo lungamente a contatto con la «terra di miseria e di caligine dove regna l’ombra della morte, il disordine, il buio eterno», come reca l’iscrizione (tratta da Giobbe 10, 20) posta dal maestro nel frontespizio della più volte citata raccolta Le Visage de la Victoire, di cui anche questa stampa fa parte.


Carol Morganti
Dario Malini

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