Film italiani sulla Grande Guerra degli anni Sessanta


La nostra rassegna dei film italiani degli anni Sessanta dedicati alla Grande Guerra prende il via con La contessa azzurra di Claudio Gora, pellicola del 1960. Il regista (figlio del generale degli alpini Carlo Felice Giordana, caduto nel 1916 nel corso di una ricognizione sull'altipiano di Asiago), alle prese con un “feuilleton” su commissione, realizza una gustosa ed elegante rievocazione della Belle Époque napoletana. Le vicende della Grande Guerra restano sullo sfondo (ne vengono mostrate solo le retrovie, oltre alla scena della partenza e della morte del protagonista, non più giovane, andato al fronte insieme ai suoi giovani compagni di teatro), mentre la trama insiste forse un po' troppo sul registro «deamicisiano» della nostalgia (nota 1).

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Il Piave mormorò... di Guido Guerrasio e Vico D’Incerti esce nelle sale nel 1964. Si tratta di un film di montaggio che ripercorre le alterne vicenda della guerra italiana, a partire dai giorni dell’Intervento, passando in rassegna i fatti e i luoghi più drammatici del lungo conflitto: Montenero, San Michele, Carso, Adamello, Gorizia, Podgora, Trentino, ecc. Seguono alcune sequenze dedicate agli ultimi anni di combattimenti: la traversata dell’Isonzo, l’entrata in Gorizia, la guerra in Cadore, la battaglia della Bainsizza, la rotta di Caporetto, la ritirata sul Piave, fino alla vittoriosa battaglia di Vittorio Veneto. Non mancano inserti dedicati all'attività bellica della marina e dell’aviazione. Nell'insieme il film mostra molto materiale eccellente, senza però discostarsi da una lettura tradizionale del conflitto, ignorando gli intrighi degli alti comandi, l’incapacità tattica e strategica dei generali, i massacri e la vita inumana trascorsa dai fanti nelle trincee, le folli decimazioni di giovani soldati innocenti, i mutilati e i morti (nota 2).


La ragazza e il generale di Pasquale Festa Campanile, del 1967, è una commedia che vuole anzitutto intrattenere. Ne sono protagonisti Tarasconi (Umberto Orsini), un soldato ignorante e affamato, che, per puro caso, cattura sul fronte carsico un generale austriaco (la star internazionale Rod Steiger), e Ada (Virna Lisi), un'attraente contadina costretta spesso ad “arrangiarsi” per sbarcare il lunario. Il soldato, deciso a consegnare il prigioniero nemico al quartiere generale di Udine, accetta l'aiuto della ragazza, entrambi attratti anzitutto (per non dire esclusivamente) dalla ricompensa che avrebbero potuto riscuotere. Un film, dunque, nel quale gli aspetti patriottici sono sovrastati dalla cupidigia e dall'interesse personale dei personaggi che, nel finale, verranno entrambi uccisi da una mina poco prima di raggiungere l'agognato obiettivo. Resta significativo il taglio ideale del film che può essere considerato in qualche modo imparentato con il modello antimilitarista proposto da La grande guerra, volando però assai più basso e delineandosi come un «grottesco bellico» dalle ambizioni forti, che cerca di fare opera di demistificazione nei riguardi della guerra senza però trovare un chiaro accordo tra la dimensione avventurosa, quella psicologica e quella della commedia (nota 3).


Nel 1968 Alberto Lattuada, con Fräulein Doktor, crea quello che consideriamo (ben consapevoli del diverso - e assai meno rimarchevole - giudizio attribuito alla pellicola da alcuni critici) uno dei più bei film, non solo di genere, sulla guerra del ‘14-‘18. Lavoro dal forte stile visivo, di «bellezza austera e severa» e di «raffinata classicità», svolge con «secchezza storica», su piani simultanei, il racconto delle vicende di Elizabeth Schragmüller (spia tedesca realmente vissuta, operante nel corso della Grande Guerra con lo pseudonimo di "Fräulein Doktor"), fornendo allo spettatore la «didascalità» della Storia, il sentimento moderno del «fatto», l'atroce ambiguità insita nella narrazione di una guerra. Rilevante in tal senso è la sequenza contrassegnata dal riso convulso della donna-spia alla notizia della morte del suo collega, che mostra molto realisticamente la ferocia della contesa bellica; concetto ribadito anche nelle scene finali del film, costruite con eccezionale realismo e perizia tecnica, riprendenti la battaglia di Ypres, con le truppe tedesche che attaccano l'esercito alleato con i gas asfissianti (nota 4).




Stefano Cò


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Note

1) La contessa azzurra: col suo grande cast in cui il migliore è Paolo Stoppa, Zsa Zsa Gabor carica le tinte, e Amedeo Nazzari è una garanzia, vedi la trama e una critica in Gianfranco Casadio, op. cit., pp. 68-69 e Roberto Poppi, Mario Pecorari, con la collaborazione di Enrico Lancia, Dizionario del cinema italiano. I Film dal 1960 al 1969, vol. 3, Gremese, Roma, 1992, p. 132; 
2) Il Piave mormorò : vedi la scheda di Gianfranco Casadio, op. cit., p. 69, quella di Roberto Poppi, Mario Pecorari, con la collaborazione di Enrico Lancia, Dizionario del cinema italiano. I Film dal 1960 al 1969, op. cit., p. 400 e due recensioni d’epoca: “ [...] Sbalordisce l'idea che i cineasti di allora [...] abbiano potuto, con tanta semplicità ma anche con tanta vigoria descrittiva“fotografare” la guerra [...] esponendosi essi stessi, sconosciuti operatori, ai pericoli dei combattimenti. [...] Dopo tanta epica d’accatto, ecco la sobrietà esemplare del documento. [...] Tutto suscita fremiti, perché tutto è vero. Bisogna essere grati a D’Incerti e Guerrasio, che hanno pazientemente raccolto, austeramente commentato, la materia rovente [...]”. (A. Lanocita,“Domenica del Corriere”, 23, 7/6/1964) e “Ho visto il film intitolato Il Piave mormorò è composto esclusivamente, per quanto riguarda la visione, con materiale girato al tempo della grande guerra, da operatori italiani. Fino, credo, al 1917 si trattò, in grande parte, di operatori borghesi, privati. Dopo, furono militarizzati, e passarono alle dipendenze del Genio. Dobbiamo dire subito che la straordinaria bellezza di tutte queste immagini, l’arte accurata delle inquadrature, e i disagi e, moltissime volte, i pericoli anche mortali affrontati nel corso delle riprese meriterebbero una paziente ricerca dei nomi degli operatori…” (Mario Soldati, citato sul sito MyMovies.it).
3) La ragazza e il generale: vedi la scheda in Gianfranco Casadio, op. cit., p. 70, quella in Roberto Poppi, Mario Pecorari, con la collaborazione di Enrico Lancia, op. cit., p. 435, per il discorso psicologico, sui rapporti che si instaurano fra i due italiani, popolani senza istruzione ma dalle reazioni vive, immediate, e il loro colto prigioniero, come pure fra lo stesso soldatino e la ragazza, e sulle ambizioni tentate ma non sempre riuscite, dando comunque per lui un risultato «discreto» cfr. Ermanno Comizio, recensione in Cineforum, n. 70, dicembre 1967, pp. 854-55.
4) Fräulein Doktor: un film «fulgido» dalla «grazia feroce, proterva, di chi non teme l’ombra dei compromessi», non inferiore almeno a quello di George W. Pabst Mademoiselle Docteur sullo stesso personaggio del ’37, a cui fa anche riferimento nella tragica battaglia di Ypres, in cui per la prima volta nella storia vennero impiegati dei gas asfissianti, come ai cavalieri teutonici di Ejsenstein, vedi anche Giuseppe Turroni, Alberto Lattuada, Mozzi, Milano, 1977, da cui sono tratte le citazioni alle pp. 60, 24, 63; sulla «secchezza espressionista», che scandisce un «sentimento del male» nei personaggi, emblemi del male del vivere, e sulla guerra come scoppio, oltre la dialettica di pochi individui che la vivono, di segnali e segni che operano già negli individui stessi, lo stesso Turroni, cit., pp. 83 e 84; una sintesi simile e interessante del film in Claudio Camerini, Alberto Lattuada, il castoro cinema/La Nuova Italia, Firenze, 1981; per la scheda, la trama e una critica d’epoca vedi Gianfranco Casadio, op. cit., p. 70-71 e Roberto Poppi, Mario Pecorari, con la collaborazione di Enrico Lancia, op. cit., p. 221.



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