La penna e la spada: scrittori italiani interventisti

Non è forse agevole ricostruire con precisione oggi, a cent'anni di distanza, cosa accadde davvero nel nostro paese nei mesi che precedettero la dichiarazione di guerra dell'Italia all'Impero austro-ungarico: una decisione voluta da una ristretta minoranza (nel paese come nel Parlamento) cui non fu estranea quella che può essere considerata la prima campagna propagandistica moderna, tramite la quale i cosiddetti interventisti, pur suddivisi in una moltitudine di correnti, erano riusciti a far percepire l'eventualità di una discesa italiana nel conflitto, come un atto - se non desiderabile - almeno, in qualche modo, necessario. Sposare la causa della guerra era lentamente diventata - per una moltitudine di ragioni spesso forzate e contraddittorie, ma nondimeno dotate di una potente carica attrattiva - sinonimo di coraggio e di modernità; opporvisi, un segno di viltà e arretratezza. Daremo di seguito una selezione di voci di scrittori e intellettuali, attraverso alcuni testi non particolarmente noti, che favorirono tale processo, senza alcuna pretesa di fornire un quadro completo o organico di una situazione complessa e variegata con posizioni spesso assai sfumate.

Gran parte dei più talentuosi scrittori italiani - che comprendeva, tra l'altro, quasi per intero le giovani generazioni - non ebbero dubbi, schierandosi, in un modo o nell'altro, dalla parte della guerra. Vogliamo citare il poeta-soldato Vittorio Locchi, vicino all'Eroica, classe 1889, morto tragicamente per il siluramento del piroscafo Minas. Alcune sue lettere, raccolte nel volume Lettere e cartoline di V. L. (1910-1917) con ritratti, memorie e note (a cura di D. Garoglio, Firenze 1921) illustrano l'atteggiamento che caratterizzava molti di questi focosi supporter della causa bellica. Scrive, ad esempio, lo scrittore all'amico Bianco Manuelli:

Venezia, 19 maggio 1915
Caro Bianco,
non capisco perché non mi hai risposto più. Ti dicevo di venire subito. Mi rincresce anche perché tu avresti assistito a una mia campagna oratoria così efficace, che è mancato poco non fossi processato per apologia di regicidio per istanza del console d'Austria. Nell'ultimo violento discorso che feci su la tomba di Daniele Manin, e di cui ti ho mandato giornali che ne accennano; la foga mi ha portato a magnificare la rivoltella di Princip (nota 1). 

Poco più avanti, il Locchi riporta qualche esempio concreto della sua trascinante oratoria:

Ho fatto cinque discorsi in Piazza S.Marco; tutti improvvisati, talvolta perché costretto dalla folla fra la quale sono ormai popolarissimo. Credi che senza pensare, guidato dalla passione e dal cuore ho avuto degli scatti efficacissimi di eloquenza.
Quando dissi, in uno dei più lunghi e violenti discorsi dell'ora tragica del tradimento: «Se i traditori dovessero vincere, io che sono del popolo dei Ciompi e di Pier Capponi, vi guiderò e voi ripeterete: se voi sonate le vostre trombe, le trombe roche della vigliaccheria, noi soneremo le nostre campane, le campane della rivolta».
E ancora: «Ferdinando d'Austria voleva ucciderci, ora è sotterra, trecento braccia sotterra, ma gli zoccoli dei nostri cavalli lo sveglieranno. Arriverà sino alla sua fossa il rombo della nostra cavalleria e sentirà che gl'italiani vengono, che sono forti, che hanno la lancia e non la chitarra, che ripigliano le vie consolari di Roma contro i barbari, che inchiodano le aquile d'Asburgo e fanno risorgere i leoni veneziani su tutta l'Istria, su tutto l'antico golfo di Venezia. Questo sentirà Ferdinando d'Austria e non avrà più pace. Così tocca ai tiranni, pace nemmeno sotterra».

La piazza rappresentò in effetti un canale fondamentale della propaganda interventista, capace di raggiungere - e infiammare - anche le classi popolari:

Dopo questi e tanti altri scatti furibondi ho trascinato come non credevo il popolo. [...] Nel discorso che feci sopra un tavolino del Caffè Ortes in Piazza San Marco fin le signore mi abbracciarono... Fra i triestini d'ambo i sessi ormai tutti mi amano. 


Fig 1 La lettera di Giovanni Giolitti
La sfinge ha parlato; ma, naturalmente,
ne so meno di prima
È importante sottolineare la modernità dell'approccio comunicativo utilizzato dalla propaganda interventista, che seppe avvalersi di voci, mezzi e registri diversissimi per muovere i più svariati interlocutori verso la causa della guerra. Il linguaggio giovanile della satira era adottato, ad esempio, dalla rivista «Numero» che appoggiò con passione la campagna interventista. Una testimonianza di ciò si può osservare nell'ironica vignetta del disegnatore Scarpelli di fig. 1, pubblicata il 14 febbraio 1915, che ridicolizza il criptico linguaggio utilizzato dall'onorevole Giolitti in una lettera indirizzata all'onorevole Peano e pubblicata dal quotidiano «La Tribuna». Ecco un estratto di questa celebre lettera:

La mia adesione al partito della neutralità assoluta? Altra leggenda. Certo, io considero la guerra non come una fortuna, ma come una disgrazia, la quale si deve affrontare solo quando sia necessario per l’onore e i grandi interessi del paese. Non credo sia lecito portare il paese alla guerra per un sentimentalismo verso gli altri popoli. Per sentimento ognuno può gettare la propria vita, non quella del proprio paese; ma quando necessario non esiterei ad affrontare la guerra, e l’ho provato. Potrebbe essere, e non apparirebbe improbabile, che nelle attuali condizioni dell’Europa, parecchio possa ottenersi senza la guerra.

Dichiarazione acuta e disincantata, da grande statista più che da Sfinge, a nostro parere, culminante in quel pronome indefinito ("parecchio") che ha fatto molto discutere. Un intervento talvolta ancora oggi mal compreso, che evidenzia una notevole capacità di analizzare oggettivamente i termini della questione "guerra". Oggi deve essere valutata - e fruttuosamente riletta - alla luce dei moderni risultati della storiografia oltre che - per fare un esempio stimolante e non del tutto peregrino - della teoria matematica dei giochi (nota 2).


Interventista convinto fu (almeno in questa prima fase) anche lo scrittore Giuseppe Antonio Borgese (1882 - 1952). In un libretto del marzo 1915, Guerra di redenzione, espone il proprio punto di vista sulla posizione dell'Italia riguardo alla guerra (nota 3). L'ampia argomentazione centrale di questo trattatello riporta con notevole chiarezza e toni pacati le tesi dei liberali interventisti, ma non presenta motivi di particolare originalità. Più interessanti per noi sono forse alcuni passi della parte introduttiva del testo, nei quali viene descritta la differente funzione assunta dalla classe intellettuale e da quella politica nei processi decisionali rilevanti per  la vita pubblica di un paeseBorgese - oltre a prendersi sottilmente gioco degli uomini di Governo, il cui compito istituzionale, a suo dire, li vuole necessariamente "miopi" - fa assurgere l'opinione pubblica ad ago della bilancia di ogni "grande decisione", evidenziando una comprensione profonda dei meccanismi intrinsechi alla vita politica di uno Stato: per dirigere la politica occorre necessariamente persuadere le masse (e, anzitutto, quelle che possono far sentire la loro voce presso il Governo).  

Ma non è compito di noi scrittori, pensatori, propagandisti di sostituirci al Governo. [...] Quando interroghiamo profondamente la nostra coscienza ci accorgiamo della radicale diversità delle nostre funzioni da quelle del Governo. Nessun uomo di meditative disposizioni mentali avrebbe voluto essere in questo momento al timone dello Stato. A quel posto non devono stare i chiaroveggenti, i lungiveggenti, gli storici, i pensatori, ma precisamente i miopi; e se noi avessimo avuto alla testa del Governo piemontese, negli anni 50 in poi, un lungimirante come Giuseppe Mazzini, l'unità dell'Italia non si sarebbe mai fatta. Si è fatta appunto perché vi era un miope di grande stile, come era Cavour che seppe vedere gli scopi da raggiungere proprio quando gli scopi erano quasi a portata della sua mano. [...] Vi sono cioè due funzioni molto diverse nella preparazione dell'avvenire di un paese: quella degli ideatori [gli intellettuali] e quella degli esecutori [i politici]. Questi ultimi devono avere occhio precisamente al passo che c'è da fare in quel determinato momento. [...] Del resto non bisogna dimenticare che la realtà della vita politica di un paese non è quella semplicissima cosa che [molti] suppongono [...]: noi abbiamo un governo che decide e un paese che eseguisce. Questa è una concezione mostruosa. [...] È possibile [considerare] come cosa senza nessunissima importanza lo stato d'animo che si va creando nelle nazioni e il suo slancio o la sua fiacchezza? [...] Non è mai avvenuto nella storia europea che una grande decisione si sia formata in consiglio dei ministri. Il consiglio dei ministri formula questa decisione, la quale deve essere preparata da tutta quanta la storia e da tutto quanto lo svolgimento ideale della nazione, e chi senza interessi faziosi e senza velleità rivoltose, prepara questo stato d'animo nella nazione prepara uno degli elementi più significativi di cui il Governo possa aver bisogno.

Chiudiamo qui, consapevoli di aver fornito solo minimi esempi della grandiosa ed efficace "potenza di fuoco" messa in campo da chi voleva l'Intervento: una raffica di parole dette, urlate e stampate, che seppero in breve rendere vana la volontà della maggioranza degli italiani.



Carolina Morisetti
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Note
1 Gavrilo Princip fu l'autore dell'attentato di Sarajevo che divenne il pretesto per scatenare il conflitto.
2 Teoria dei giochi: teoria matematica che, riferendosi al comportamento di individui o gruppi in situazioni di conflitto, descrive leggi e strategie di comportamento ottimale basate anche sul calcolo combinatorio e più generalmente sulla teoria delle probabilità, nata proprio nell'analisi dei giochi d’azzardo. Sviluppata formalmente da J. von Neumann (1903 – 1957), è applicata a problemi di economia e politico-militari e nello sviluppo delle tecniche didattiche. In generale, le situazioni studiate sono quelle in cui ogni “giocatore”, di fronte a una decisione, debba valutare le possibilità di eventuali coalizioni, tener conto del comportamento di risposta degli altri giocatori, vagliare le aspettative e le mosse possibili: suo compito è la scelta della strategia. Lo sviluppo della teoria dei giochi parte quindi da semplificazioni fondamentali, ovvero dai giochi finiti e a somma nulla (in cui ogni giocatore vince in modo proporzionale a ciò che l’altro perde), fino ad arrivare a giochi infiniti e a somma non nulla, con l’inserimento di tutti i parametri presenti nei problemi reali (Zingarelli 2015).
3 Solo qualche anno più tardi, nel 1921, Borgese mostrerà di aver del tutto mutato opinione sulla guerra pubblicando Rubè, un romanzo-fiume di straordinaria intensità, a lungo mal compreso dalla critica, che rappresenta una pietra miliare della riflessione critica sulla necessità e sugli esiti del primo conflitto mondiale.

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