"Taccuino di un nemico": resoconto tedesco della III battaglia dell'Aisne

Di seguito viene proposto un brano tratto dal testo di Dario Malini Taccuino di un nemico, Mursia editore, che racconta la III battaglia  dell'Aisne (27 maggio – 6 giugno 1918).

Dal 12 maggio siamo accantonati a Haveluy, una graziosa cittadina rurale. Il servizio leggero, costituito essenzialmente da esercitazioni all’utilizzo delle armi e da brevi sessioni d’allenamento, ci concede diversi momenti di completo riposo che trascorriamo di solito nella vicina Denain, dove possiamo bere, andare a donne e, talvolta, anche al cinema e a teatro. Così, mentre ci raggiungono notizie non certo rincuoranti dai vari fronti, noi trascorriamo delle giornate di perfetta spensieratezza che sembrano anzitutto voler negare il pensiero di una possibile sconfitta finale. Tra noi ora non parliamo quasi mai di cose serie, neppure della pace. Invece, fumiamo, beviamo, cianciamo di donne, ci raccontiamo sghignazzando cupi episodi di battaglia, senza mostrare di darci pensiero per ciò che accadrà. Neppure commentiamo, se non di sfuggita, i molti segni che indicano come imminente la continuazione della nostra offensiva in Francia. Finché, verso la fine di maggio, mentre siamo ancora beatamente a riposo, inizia effettivamente un nuovo ingente attacco, il cui punto focale parrebbe essere la zona tra Soissons e Reims1. Il nemico, a quanto pare, è stato colto di sorpresa. Questo ci smuove. Nei giorni successivi non si fa che discutere sull’andamento della battaglia, che sembra procedere bene. Per un po’ attendiamo notizie senza fare nulla finché, alle 7,30 del 4 giugno, riceviamo l’ordine di lasciare Denain. Pigiati su un vecchio camion che procede alla massima velocità permessa dallo stato delle strade, dunque di norma poco più che a passo d’uomo, attraversiamo vie polverose, villaggi abbandonati, fattorie in rovina, osservandoci l’un l’altro con quella indicibile sensazione di ferrigna intimità che produce l’andare tutti assieme, compagni vecchi e nuovi, alla guerra. Attraversiamo Bapaume e, a sera inoltrata, ci fermiamo a Bucquoy, dove ci sistemiamo all’interno di una vasta rete di trincee. Tutta la zona emana un terribile tanfo mentre i grilli cantano ininterrottamente. Vengo piazzato alle comunicazioni, ancorato a un telefono che mugugna ordini in continuazione, soprattutto di notte. Seguono una serie di giornate connotate da bombardamenti di colossale violenza e da diversi attacchi. Anche l’attività aerea è molto intensa. I morti sono numerosissimi e spesso continuano a restarci accanto a lungo, non essendo agevole sotterrarli. Dopo un po’, l’eccitazione che ci aveva rianimati si spegne, e tutti ripiombiamo nella tipica condizione mentale del fante, a mezzo tra il fatalismo e l’apatia. Il cibo scarseggia. Di tanto in tanto ci spostiamo ad Achiet-le-Grand, cittadina fantasma abbastanza sicura ma incredibilmente spettrale.

Alle 4 del mattino del 7 giugno, ricevuto il cambio, lasciamo finalmente questi luoghi. Sono abbattuto, sfinito, indicibilmente sudicio, ma vivo; ed è cosa da non disprezzarsi. Torniamo a Denain, a riposo. A quanto pare anche questo attacco si è arenato, ma essendo difficile farsi un quadro preciso di avvenimenti tanto imponenti, che comprendono settori di cui non arrivano notizie certe, sospendo ogni giudizio e penso soprattutto a divertirmi. Così, nei giorni successivi, riunitomi al battaglione, partecipo di lieto animo alla “festa dello sport”. Vado anche più volte a teatro. È cosa su cui riflettere come la guerra sappia concedere dei momenti di limpida e sconsiderata allegria, del tutto avulsi dalle circostanze in cui ci si trova. 

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