1914 - 2014 Come rendere oggi visibile “l’invisibile”

Anselmo Bucci (Fossombrone 1887 - Monza 1955), 
Partenza (1915-17), puntasecca, mm 155 x 212 (lastra)
Il titolo della mostra 1914 - 2014 La guerra invisibile prende spunto da alcune riflessioni dell’artista-soldato Anselmo Bucci:
«Tutti sanno meglio di noi, che l’abbiamo guardata da vicino, che la guerra è invisibile. È arcinoto che questa guerra plasticamente graficamente non esiste: è dramma musicale non è spettacolo. Essa non può divenire un pretesto pittorico: le lance e i gonfaloni di Paolo Uccello sono relegati coi pennacchi di Meissonier e le nappine di Detaille nello stesso passato vertiginosamente lontano. Nella raffigurazione di questa guerra dovrà scomparire molto. Scomparirà forse il visibile. L’Invisibile dovremo dipingere» [nota 1].
Bucci individuava dunque nella metamorfosi tutta tecnologica dell’esperienza percettiva - visiva e sonora - la principale novità della guerra che s’andava combattendo, capace di differenziarla da ogni contesa del passato. Compito dell’artista era dunque per lui quello, quasi alchemico, di rendere tangibile, di materializzare tale cosmo incomprensibile, oscuro e nascosto: dipingere, appunto, l’Invisibile.
Ma il concetto di “invisibilità” che presiede all’ideazione di questo percorso espositivo intercetta, oltre al punto di vista del singolo combattente, anche quello dell’intera collettività. Se da una parte, chi vi era coinvolto in prima persona non poteva che cogliere una visione parziale e frammentaria del quadro generale del conflitto, ancora più vaga e incerta era l’idea che se ne poteva fare chi risiedeva lontano dal fronte. Della guerra la società civile recepiva essenzialmente l’immagine del tutto idealizzata (finalizzata a raccogliere consensi) che era veicolata dall’instancabile lavoro della propaganda.
Il concetto plastico di “invisibilità” che attraversa la nostra lettura della Grande Guerra può inoltre essere associato a un altro fenomeno, che la storiografia moderna ha definito «autocensura e oblio» verso gli aspetti più brutali e disumani della guerra. Si tratta di una manifestazione psichica scaturita per effetto di un meccanismo inconscio molto diffuso tra i combattenti, impossibilitati a riconoscere e, di conseguenza, a palesare ciò che razionalmente non era accettabile, poiché oltrepassava la soglia dell’umano [nota 2].

Le peculiarità fin qui considerate hanno condizionato, sotto diversi punti di vista, le rappresentazioni figurative della Grande Guerra. Nelle opere che ritraggono il fronte si sono venuti a riflettere tanto il carattere oscuro ed enigmatico proprio della guerra moderna quanto la tendenza degli artisti a recepire le istanze dell’autocensura.
Per quanto concerne il lato enigmatico della guerra sono molto illuminanti le lucide riflessioni contenute in una lettera dell’artista-soldato tedesco Franz Marc risalente al settembre del 1914:
«Le battaglie, le ferite, tutti i movimenti producono un tale effetto di misticismo, d’irrealtà, come se significassero tutt’altra cosa di ciò che dicono i loro nomi; in più ogni cosa è ‘cifrata’ e si dissimula ancora dietro uno spaventoso mutismo, o sono io che sono sordo, troppo saturo dal rumore per riuscire a riconoscere a partire dal presente il vero linguaggio delle cose» [nota 3].
Marc appariva pienamente consapevole del fatto che la guerra moderna è intrinsecamente ambigua, considerazione che poneva evidentemente serie difficoltà all’individuazione di un linguaggio atto a rappresentarla.

Henry De Groux (Saint-Josse-ten Noode, Belgio 1866 - Marsiglia 1930),
Soldato addormentato (1914-16), acquaforte, mm 197 x 277 (lastra)
Ma, al di là dei problemi prettamente artistici che la rappresentazione senza veli della guerra poneva, la comprensione del fenomeno dell’arte di guerra deve necessariamente tener conto anche di un altro fattore fondamentale, consistente nell’effettiva domanda allora esistente di lavori di quel genere. Nel corso del conflitto proliferarono in ogni paese un gran numero di esposizioni pubbliche di opere provenienti dalle trincee. Le autorità sostenevano simili iniziative, considerandole utili opportunità per dare sostegno alla causa bellica. Si capirà però che le opere selezionate dovevano necessariamente promuovere, assecondando i dettami della propaganda, i valori militari dell’eroismo, del coraggio, dell’abnegazione oppure contenere forti elementi di denigrazione dei nemici (non è un caso che proprio la caricatura sia tra i generi più frequentati dagli artisti che esposero nelle mostre d’arte di guerra). È giocoforza che, in questo contesto, i lavori esprimenti una voce anche solo lievemente dissonante trovavano difficilmente visibilità. Non incluse nel sistema delle commissioni pubbliche o delle esposizioni, questi lavori, “invisibili” fin dal loro esordio, negli anni a venire sarebbero sovente andati incontro a dispersione.
Nel periodo che seguì il conflitto, differenti fattori generarono un altro fenomeno affine e conseguente: l’oblio definitivo, da parte di moltissimi pittori e disegnatori, delle tematiche relative all’esperienza lancinante della Grande Guerra. Ciò avvenne principalmente per volontà degli stessi artisti sopravvissuti, tra i quali prevalse in genere il desiderio di una rottura netta con l’esperienza vissuta, un vero e proprio fenomeno di rimozione del passato recente. Pochissimi furono quelli che continuarono a tenere viva la memoria degli eventi cui avevano partecipato, proseguendo la loro attività artistica in una linea di continuità con il periodo precedente. Quelli che lo fecero, rimasero in genere degli isolati.

Il recupero della memoria: come rendere oggi visibile “l’Invisibile”
Si rende dunque necessario recuperare il sommerso e decodificarlo, assegnandogli un significato in rapporto a ciò che lo ha preceduto e a ciò che lo ha seguito, evitando di liquidare sommariamente l’imponente produzione di opere nate in seno alla Grande Guerra come un retaggio generico di materiale avente in massima parte valore di mera documentazione [nota 4].
L’arte della Grande Guerra attende ancora di essere valorizzata come chiave di comprensione e di interpretazione della contemporaneità.
Basterà al riguardo considerare come alcune tematiche da essa scaturite, quali l’alienazione, la precarietà, la dimensione industriale della morte, la devastazione dell’ambiente naturale restino tanto attuali anche per gli uomini di oggi. Nel presente catalogo trovano prevalentemente spazio le voci di artisti-soldato misconosciute o poco valorizzate, che vanno a delineare l’arte di guerra nelle diverse valenze che abbiamo fin qui illustrato [nota 5].

La prima parte dell'esposizione mette in dialogo sei figure di artisti di diverse nazionalità, per ciascuno dei quali viene proposta una selezione significativa di grafiche (incisioni, disegni e litografie), realizzate negli anni del conflitto.

Anselmo Bucci (Fossombrone 1887 - Monza 1955),
La sbobba (1915-17), puntasecca, mm 163 x 240 (lastra)
Il percorso si apre, prima sezione, con dieci incisioni tratte dalla raccolta Croquis du Front italien (1915 - 1917) di Anselmo Bucci. La chiara consapevolezza della mutata natura di questa guerra, in rapporto a tutte quelle del passato, ha condotto l’artista alla sperimentazione di un linguaggio personale e innovativo atto a ricreare davanti all’osservatore una narrazione che conservi lo “spirito della guerra”. In ciascuna di queste incisioni, analoghe a istantanee, si percepisce il lato frammentario e la dimensione trascorrente dell’esperienza del singolo combattente.

Fritz Gärtner, Lavorando a una fortificazione, 1916,
acquaforte, mm 178 x 125 (lastra)
Alla modalità “narrativa” di Bucci viene accostata quella “lirica” del tedesco Fritz Gärtner, maestro pochissimo conosciuto anche in Germania. Dell’opera incisa di questo artista non esiste alcuna pubblicazione, nonostante una considerevole produzione di guerra, comprendente diversi portfolio. A rappresentare la sua figura viene proposta, nella seconda sezione, una scelta di dieci incisioni, la maggior parte delle quali tratte dal portfolio del 1916 Feld und Heimat.

André Devambez, La pioggia, 1915 - 17,
acquaforte e acquatinta, mm 108 x 278 (lastra)
Il racconto per immagini dell’artista-soldato André Devambez viene presentato, nella terza sezione, con una selezione di sette acqueforti della serie Les douze eaux-fortes (1915 - 1917), nelle quali emergono alcuni degli elementi di maggiore modernità della guerra: l’assenza del nemico, l’attesa intesa come condizione esistenziale, la precarietà della vita del soldato, il rapporto ambiguo tra l’uomo e la natura che può fornire riparo e salvezza ma anche esporre ai pericoli estremi. Elaborate nel corso di una lunga e dolorosa degenza presso l’Ospedale della Pietà di Parigi, dove era stato ricoverato in seguito alle numerose ferite riportate nel corso di un’azione, l’artista evita consapevolmente la rappresentazione dell’orrore. Devambez ancora oggi è poco conosciuto. Esiste un catalogo della sua produzione, attualmente però fuori commercio [nota 6].

Henry De Groux, Cavalieri erranti, 1915,
acquaforte, mm 247 x 183 (lastra)
A seguire, nella quarta sezione, si possono osservare un gruppo di dodici rare incisioni dell’artista-testimone belga Henry De Groux, tratte da Le Visage de la Victoire (1914 - 1916), straordinaria raccolta che documenta gli orrori, la brutalità, la disumanità della guerra. Una sferzante denuncia coeva del massacro, destinata, dopo la morte dell’artista, a un quasi completo oblio.

Charles Harder, “Soldato seduto”, 1914 - 15,
litografia, mm 280 x 210 (inciso), mm 370 x 318 (foglio)
Di Charles Harder, soldato di probabile origine svizzera, nulla la storia ci ha trasmesso, salvo la serie di sei litografie, pubblicate in un portfolio intitolato Les preux…(1915), ritrovato dall’associazione ArteGrandeGuerra e ora qui proposto integralmente (capitolo 5). Si tratta di opere di notevole suggestione, ambientate in oscure trincee sotterranee, che sembrano voler ritrarre l’eclissi dell’uomo-soldato dentro le profondità della terra.

G. Focardi, “Malato che mangia”, 21 agosto 1917,
disegno, mm 180 x 270 
Nulla sappiamo neppure di G. Focardi, otto dei cui disegni, ambientati nell’ospedale militare di Viareggio (facenti parte di un lotto di circa quaranta opere recentemente riscoperte dall’associazione ArteGrandeGuerra), vengono proposti nella sesta sezione della mostra, in chiusura della prima parte. Un mondo fatto di silenzi metafisici, complementare all’universo della guerra. Un mondo “invisibile” raffigurato in presa diretta, che presenta una faccia della guerra assai poco conosciuta.

La seconda parte dell'esposizione presenta un’impostazione tematica, articolata per esemplificare alcuni aspetti rilevanti della guerra moderna. Le opere che vi compaiono, anch’esse frutto di un lavoro di recupero, provengono da tutti i fronti [nota 7].

Eugène Delécluse, Ritirata di Crouy (Retraite de Crouy), 1914,
penna e acquarello, mm 170 x 248
Nella settima sezione, Vita quotidiana nelle retrovie, sono raggruppati lavori molto diversi. Nell’insieme, intendono mostrare la guerra dal punto di vista soggettivo proprio al combattente impegnato negli svariati compiti di supporto che si svolgevano nelle retrovie.

Werner Paul Schmidt, Avamposto (Vorposten), 1914,
litografia, mm 340 x 265 (inciso), mm 408 x 345 (foglio)
L'ottava sezione, Vita quotidiana al fronte, presenta una selezione di lavori incentrati sulla vita dei soldati in trincea.

Marcel Chabas, Studio per il […] di un soldato,
disegno ad acquarello, matita e olio, mm 320 x 244 
Nella nona sezione, La rappresentazione del massacro, sono proposte alcune opere di denuncia, capolavori di straordinaria potenza espressiva.

Hubrecht, “Ritratto di una recluta”, 1914,
disegno, mm 226 x 169
La decima sezione, Ritratti di guerra, vuole essere rappresentativo della produzione di ritratti di soldati, uno dei temi più ricorrenti nella produzione artistica di guerra, legato alla conservazione della memoria individuale.

Lorenzo Viani, Le frondi recise, 1935, silografia,
mm 100 x 140 (inciso), mm 350 x 250 (foglio)
Chiude l'esposizione l'undicesima sezione, Le allegorie, nella quale trovano spazio una serie di opere che, utilizzando il linguaggio allegorico, offrono una lettura di notevole interesse sul fenomeno della guerra. Le opere selezionate, eseguite in massima parte da artisti-soldato, intendono mettere a nudo l’evento della guerra, smascherandone la vera realtà.


Carol Morganti

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Note

[1] L. Angelini, Disegni di guerra (Il pittore Anselmo Bucci) in «Emporium», agosto 1917, p. 107.
[2] Sulla questione rimandiamo all’approfondita analisi di Antonio Gibelli contenuta nel capitolo “La Grande Guerra: evento e racconto” in L’officina della guerra. La Grande Guerra e le trasformazioni del mondo mentale, Torino 1991 (ed. cons. 2007, p. 43 e segg.).
[3] La citazione della lettera di Franz Marc risalente al settembre 1914 (da Lettres du front), è tratta dal saggio di P. Dagen, Le silence des peintres. Les artistes face à la Grande Guerre, Paris 1996, (ed. cons. 2012, p. 137). Dagen, dalle parole di Marc, ricava tre aspetti della guerra che ne spiegano l’inadeguatezza del linguaggio a rappresentarla: «Primo: la guerra si derealizza da se stessa come se eccedesse così tanto dai limiti della percezione abituale da non poter essere percepita che nel registro dell’enigma […]. Secondo: la guerra è cifrata e muta […]; l’artista combattente è cieco o sordo simbolicamente e realmente […]. Terzo: il mondo sfugge alla comprensione e di conseguenza alla sua rappresentazione» (Dagen, cit., p. 137).
[4] È parere di autorevoli studiosi che manchi ancora una visione panoramica della dimensione europea dell’arte della Grande Guerra, esito di un studio approfondito di analisi (cfr.: N. Marchioni, La Grande Guerra degli artisti. Propaganda e iconografia bellica in Italia negli anni della prima guerra mondiale, Firenze 2005, p. 63). Un qualche passo in questa direzione è stato compiuto da Richard Cork che, nel corposo volume A bitter truth: Avant-Garde Art and the Great War, pubblicato nel 1994, ha concepito un’opera nella quale gli eventi del conflitto sono osservati, anno per anno, principalmente attraverso gli occhi dei maggiori esponenti delle avanguardie storiche. Ma come si capirà, un tal genere di approccio, seppure di un certo interesse, non è ancora onnicomprensivo. Un lavoro complessivo di ricognizione sull’intero fenomeno, che vada a includere anche le opere degli artisti operanti al di fuori (o ai margini) delle principali correnti, trova un non trascurabile ostacolo tanto nella mole imponente di materiale quanto nella dispersione dello stesso.
[5] Altre opere di soldati recuperate dall’associazione ArteGrandeGuerra sono censite nel catalogo 1914-1918 L’arte dispersa. Opere inedite e rare dei soldati della Grande Guerra, a cura di D. Malini e C. Morganti, s.l. 2009.
[6] M. Menegoz, André Devambez (1867-1944). Présentation d’une donation, Beauvais 1988.
[7] Le biografie degli artisti-soldato della collezione dell’associazione ArteGrandeGuerra possono essere consultate accedendo alla sezione Arte di questo sito.

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