TACCUINO DI UN NEMICO
La Grande Guerra di un soldato ebreo
nell'esercito tedesco
L'uscita del libro Taccuino di un nemico, che recupera la memoria e l'avvincente vicenda di guerra di un soldato ebreo nell'esercito tedesco, ci offre l'occasione di una conversazione con Dario Malini, già autore del diario di guerra di un pittore italiano Il sorriso dell'obice (Mursia editore).
(Mursia editore)
- Vorremmo cominciare questa conversazione con Dario Malini, autore del libro Taccuino di un nemico, uscito nelle librerie proprio in questi giorni (ottobre 2013), affrontando il tema della memoria. Quale valore attribuisci alla conoscenza del passato?
- La conoscenza del passato rappresenta la strada maestra per comprendere il nostro complicato presente. Detto ciò, vorrei dire qualcosa in merito al concetto spesso malcompreso di "memoria". Il passato (in generale, ma ancor più in riferimento agli eventi della Grande Guerra, vero punto nodale della storia moderna) non è, a mio parere, qualcosa di statico, inerte o mummificato. È invece un vero e proprio processo vitale i cui effetti si dipanano sino a noi e poi verso il futuro. Immergersi nel passato significa, un po' come come per i protagonisti del film Ritorno al futuro, cambiare il proprio presente, o almeno la comprensione che di esso se ne aveva. Significa mettere in discussione lo status quo.
- Taccuino di un nemico, nasce da questo particolare approccio alla storia?
- Certamente. Indagare il passato significa soprattutto riscoprirlo. Evitando di appoggiarsi ad autorità esterne o a verità prestabilite. In tal senso, una delle attività che mi prefiggo, come scrittore e come appassionato di letteratura della Grande Guerra, è quella di portare alla luce gli scritti dispersi dei soldati che combatterono nella Prima guerra mondiale. Testi talvolta di notevole valore artistico, ma che non sembrano interessare più a nessuno, dimenticati anzitutto da chi avrebbe il dovere istituzionale di assicurarne la conoscenza e la persistenza. Prossimi inoltre a scomparire per sempre a motivo della disattenzione verso questi temi degli uomini dei nostri tempi, che spesso si liberano con grande leggerezza dei documenti che gli arrivano dalle generazioni precedenti.
Una ripresa d'insieme della documentazione che ha permesso la redazione di Taccuino di un nemico |
- Purtroppo sì. Ho personalmente acquistato, sul banco di un antiquario di Fürth, i documenti che hanno permesso di comporre questo testo. Si tratta di un diario di guerra, di un certo numero di lettere, di molti fogli sparsi e di qualche immagine. Tale materiale era messo in vendita singolarmente, non essendosi accorto il venditore che il tutto andava a costituire un lotto omogeneo. Così, questa appassionante testimonianza diretta, che rappresenta un unicum nell’ambito della narrativa della Grande Guerra, era ad un passo dal disperdersi e frazionarsi, perdendo per sempre ogni significato complessivo.
- A questo punto, Dario Malini, è giunto il momento di chiederti qualcosa sul contenuto di Taccuino di un nemico.
- Il testo riferisce in prima persona l'esperienza di guerra di Otto, soldato tedesco di religione ebraica. Una narrazione intensa e palpitante che procede senza sostanziali interruzioni dall’8 agosto 1914 all’11 novembre 1918, permettendoci di osservare da vicino, ricavando numerosi particolari esclusivi, molte delle più importanti battaglie della Grande Guerra su un gran numero di fronti. Una cronaca di prorompente novità che apre inediti spiragli sull’ambiguo rapporto esistente tra tedeschi ed ebrei in anni in cui la Germania, più d’ogni altra nazione europea, pareva aver posto le basi di una completa assimilazione del popolo eletto, e in cui nulla faceva presagire ciò che sarebbe accaduto solo pochi decenni più tardi.
- Viene spontaneo domandarsi con quale stato d'animo il soldato Otto s'apprestasse ad andare alla guerra. In che cosa si caratterizzava la sua appartenenza all'ebraismo?
- Otto si sentiva intimamente tedesco e, come molti ebrei della sua generazione, riteneva che la guerra potesse rappresentare l'atto finale del difficile ma instancabile processo di integrazione degli ebrei che, in Germania, a partire dagli anni dell'Illuminismo, aveva avuto diversi momenti promettenti. Per Otto, in ogni caso, integrazione non doveva significare perdita dell'identità ebraica, cosa che asserisce chiaramente in più punti, ad esempio nel seguente passo di una lettera scritta alla fidanzata Esther nel febbraio 1916:
"Credimi, non potrei seguitare questa vita grama se ancora non mi guidasse la frase con cui salutai il papà alla stazione, in quell’ormai smisuratamente remoto agosto 1914: «Giuro di combattere valorosamente per l’onore della Germania, come suo figlio legittimo di fede ebraica». Ma ecco, lo scampanio del cucchiaio sulla pignatta m’annuncia che il rancio è pronto. Mi fermo: la pancia qui s’impone sempre sulla filosofia."
Una lettera di Esther a Otto |
- Le lettere di Esther, ritrovate assieme al resto della documentazione, sono scritti di notevole eleganza e sensibilità, che delineano una giovane ebrea tedesca assai colta, d’estrazione borghese, con notevoli simpatie sioniste. Quest'ultimo elemento la poneva su posizioni diversissime rispetto al fidanzato, che invece, come detto, credeva fermamente nella reale possibilità d'integrazione tra ebrei e tedeschi. Il loro confronto assumeva allora, di volta in volta, forme piuttosto ambigue, poiché lei, pur senza mai cercare una netta contrapposizione che avrebbe portato inevitabilmente a una rottura, utilizzava con arte ogni arma che aveva a disposizione per convincere Otto sulla giustezza delle sue tesi. Così questo difficile rapporto d'amore, pur basandosi su un'affettività profonda e non priva di una forte componente di sensualità, si dipanava essenzialmente entro i toni di un arguto scontro dialettico, la cui vitale importanza (tenendo conto che la questione sotterranea che lo animava era se i due ragazzi, come ebrei, avrebbero dovuto lasciare o meno la Germania al termine della guerra) noi oggi possiamo valutare in tutta la sua drammaticità. Ecco, ad esempio, cosa scriveva Otto alla fidanzata il 27 agosto 1914:
Esther,
probabilmente hai
ragione: per i tedeschi l’ebreo è, e sarà sempre, l’esatto contrario dell’uomo
nuovo che farà grande la
Germania. Qui però, chissà come, anche tale indiscutibile convincimento
sembra perdere forza. E accade così che un insignificante soldato ebreo, con il
Nathan stipato nello zaino, marci verso Parigi assieme ai compagni tedeschi, da essi
assolutamente indistinguibile.
Otto
- Puoi farci qualche esempio dei toni che assumono invece le prese di posizione della ragazza?
- Certamente. Ecco una lettera assai significativa in questo senso scritta da Esther nel novembre 1916:
Caro Otto,
non puoi immaginare
quanto avvilita sia ormai la nostra città. Un tenebroso velo di disperazione
pare ricoprire ogni cosa, come le incrostazioni marine i relitti. Presto farà
di nuovo freddo, mentre cominciano a scarseggiare pure le merci di prima
necessità, a partire dalle stesse patate. Certo, non sono che lievi
inconvenienti, se confrontati a ciò che patite voi al fronte, ma bastano a
rendere la gente sempre più irrequieta, come smaniosa di trovare qualche
responsabile. Non puoi immaginare, Otto carissimo, quanta aggressività covi
sotto le fisionomie più inaspettate, quanta ira i devoti cristiani sappiano
riversare all’occorrenza contro di noi. Sempre più spesso devo ascoltare gli
strepiti veementi e irriflessivi di persone che sostengono le assurdità più
manifeste. E allora gli ebrei non fanno che scansare i combattimenti per
ammassare denaro o cospirare contro la Madre Patria. Comprendimi, Otto, tali piagnistei
non sono isolati, ma corali; e la forza stessa della ripetizione li rende
verosimili. Verosimili? Veri. Di una realtà arcana e misteriosa come quella dei
miti. Arrivo a temere che tali accuse, anche le più infamanti e insensate,
scaturendo non da fatti concreti ma dalle più oscure e insondabili profondità
dell’animo umano, non possano, né potranno mai, essere confutate. E allora mi
capita di chiedermi se da tutto ciò, come dalle onde sferzanti del mare in
tempesta, sia più saggio difendersi o fuggire.
Esther
La posizione di Esther era assai chiara, evidenziando una preveggenza abbastanza sorprendente per quegli anni e un'altrettanto sorprendente capacità d'analisi. Si noti quanto questa lettera sia accorta. Esther evitava consapevolmente di trarre tutte le conseguenza dalle sue considerazioni, limitandosi invece (senza fare alcun cenno al sionismo che pure aveva sicuramente in mente) a inoculare nel destinatario il virus del dubbio e prospettandogli, attraverso la metafora marina, un cataclisma che rendesse l'atto estremo di abbandonare la Germania inevitabile e non il frutto di una precisa presa di posizione. Solo molto più tardi, verso la fine della guerra, le sue lettere diverranno più esplicite su questo tema.
- A questo punto ci viene da chiederti quali problemi doveva effettivamente affrontare, in qualità di soldato ebreo nell'esercito tedesco, il protagonista di Taccuino di un nemico.
- Otto era un poco reticente al riguardo. Per farsi un quadro esatto rispetto a quello che domandi bisogna scorrere molte pagine del suo taccuino e mettere insieme varie asserzioni e situazioni. Devo dunque lasciare questa attività al lettore, limitandomi qui a citare, tra i molti possibili, alcuni momenti che mi sembrano particolarmente eloquenti. I due punti che citerò di seguito sono relativi al marzo 1915, periodo in cui Otto era stanziato in Polonia. Ritengo il brano seguente molto significativo, anche perché allarga i termini della questione evidenziando anche, oltre agli inevitabili scontri con i compagni "ariani", le difficoltà che aveva il ragazzo (nella cui famiglia il processo di integrazione era molto avanzato) nel rapportarsi con lo stesso ebraismo, acuite qui dal confronto con la religiosità antica e profonda degli ebrei dell'est. Il gruppo di Otto era acquartierato nell'abitazione di un anziano ebreo polacco:
- Su quali fronti combatté il soldato Otto?
- A questo punto ci viene da chiederti quali problemi doveva effettivamente affrontare, in qualità di soldato ebreo nell'esercito tedesco, il protagonista di Taccuino di un nemico.
- Otto era un poco reticente al riguardo. Per farsi un quadro esatto rispetto a quello che domandi bisogna scorrere molte pagine del suo taccuino e mettere insieme varie asserzioni e situazioni. Devo dunque lasciare questa attività al lettore, limitandomi qui a citare, tra i molti possibili, alcuni momenti che mi sembrano particolarmente eloquenti. I due punti che citerò di seguito sono relativi al marzo 1915, periodo in cui Otto era stanziato in Polonia. Ritengo il brano seguente molto significativo, anche perché allarga i termini della questione evidenziando anche, oltre agli inevitabili scontri con i compagni "ariani", le difficoltà che aveva il ragazzo (nella cui famiglia il processo di integrazione era molto avanzato) nel rapportarsi con lo stesso ebraismo, acuite qui dal confronto con la religiosità antica e profonda degli ebrei dell'est. Il gruppo di Otto era acquartierato nell'abitazione di un anziano ebreo polacco:
Restiamo a Tomaszów sino al 19 mattina. In tutto questo tempo osservo nauseato i ragazzi affibbiare al padrone di casa i più triti e offensivi epiteti, aggirarsi nella sua austera abitazione di studioso [ebreo], fracassando tutto ciò che capita loro a tiro. Se fingo di non vedere tali soprusi è solo per non guastare quel poco di affiatamento che si sta faticosamente instaurando tra me e i compagni. Per la stessa ragione, non mi oppongo neppure quando quegli sciagurati decidono di dar fuoco alla libreria del vecchio. Non faccio nulla, ma, al cospetto di questo ostjuden, di quest’uomo pio dall’aria tanto autorevole e dignitosa, l’ebraismo mi appare, forse per la prima volta, qualcosa di vitale e interessante.Qualche giorno dopo, Otto documentava una chiara discriminazione nei suoi confronti, in quanto ebreo, in merito all'elargizione di riconoscimenti militari:
Il 26 marzo sera possiamo tornarcene a Trzcianka. All’arrivo vengo a sapere che i miei compagni hanno ricevuto la croce di ferro per i combattimenti di Tomaszów. A me, che sono stato sempre con loro durante tutte quelle giornate, tirandomeli spesso appresso, invece, nulla. Hermann, appuntatasi la croce sul petto, si pavoneggia oltre ogni possibile buon gusto, anche per un diciassettenne. Notando il mio disappunto, dice: «Mi sembri seccato, Otto, ma io mi domando quale strano genere di ebreo vorrebbe mai una croce come premio!» Sebbene lui rida di un riso garbato, lo scherzo non mi va giù.Termino saltando all'ottobre 1916 quando, con quasi tremila ebrei tedeschi già morti sul campo di battaglia e più di settemila decorati, il nostro fu chiamato a rispondere al cosiddetto “censimento degli ebrei”, rilevazione statistica di evidente ispirazione antisemita finalizzata ad accertare il numero di ebrei “imboscati” rispetto a quelli in servizio attivo nelle prime linee. I risultati di questo censimento, che confutavano le accuse di scarso patriottismo, dimostrando invece l’abnegazione e il coraggio di gran parte degli ebrei tedeschi, non furono mai resi di dominio pubblico. In questa fase, lo scoramento di Otto appare palese, senza che tuttavia tale stato d’animo riesca a intaccare la sua determinazione a servire il proprio paese in qualità di “soldato tedesco di religione ebraica”.
Il soldato Otto (foto di Carl Schmalz, settembre 1914) |
- La narrazione riportata nel taccuino prende l'avvio con le pagine palpitanti dedicate alla grandiosa operazione della battaglia delle Frontiere che, nell’agosto del 1914, diede l’avvio alle
sanguinose operazioni che dovevano palesare quanto irrealistico fosse l’auspicata
“guerra lampo” su cui i generali e gli strateghi tedeschi facevano grande
affidamento. Si trattò di un imponente e ben organizzato attacco alla Francia,
condotto cinicamente violan do la
neutralità del Lussemburgo e del Belgio. Un’azione che, secondo una variante
del piano Schlieffen, avrebbe dovuto costringere l’avversario alla resa in sei
settimane. Le cose poi, come è noto, andarono diversamente e Otto, prima di
venir ferito per la prima volta, l’8 settembre 1914, ed essere quindi ricoverato
in ospedale, fa tempo a riferirci i primi segni della reazione francese che si
concretizzerà nella I battaglia della
Marna. Successivamente Otto ci permette d’accompagnare l’esercito germanico
nelle malinconiche giornate che conclusero l’infruttuosa “corsa verso il mare”,
operazione che intendeva inibire ai britannici l’accesso ai porti della Manica.
Di grande efficacia è poi il racconto, dal febbraio all’agosto del 1915, della difficoltosa
avanzata tedesca nelle immense pianure ghiacciate della Polonia centrale contro
un esercito russo tanto disorganizzato quanto indomito: sono pagine emozionanti
che si addentrano in capitoli feroci e pochissimo conosciuti della Grande
Guerra, andando a descrivere tra l’altro quella II battaglia di Przasnysz che il Resto del Carlino del 21 luglio 1915 descrisse come “la più grande
battaglia della guerra”. Più avanti, ci si mostrano le drammatiche giornate
della battaglia della Somme,
offensiva inglese sul fronte occidentale, prodottasi tra luglio e novembre del
1916, che, pur non generando alcun mutamento sostanziale nell’economia della
guerra, determinò una vera e propria carneficina in entrambi gli schieramenti.
A partire
dal mese di aprile 1917, il 125° reggimento di fanteria Kaiser Friedrich
partecipò alla battaglia di Arras, e
Otto non manca di rappresentare con vividezza anche questo terribile scontro.
Da segnalare che, in quelle difficili giornate, il nostro ebbe un cruento corpo a
corpo con un soldato ebreo inglese (o che almeno lui riteneva tale): un episodio drammatico, toccante e
rivelatore. Particolarmente pesante appare, a partire dall’estate del 1917, la
vita dei militari tedeschi nelle Fiandre, nel corso della III battaglia di Ypres. Capitolo di grande interesse è il periodo
successivo, quando il reggimento di Otto viene trasferito in Italia, in
appoggio all’esercito austriaco, e partecipa alla XII battaglia dell’Isonzo (la battaglia
di Caporetto): sono pagine memorabili su una vicenda fondamentale della
storia italiana. Il diario di Otto prosegue con l’intensa descrizione dell’ultimo
grande e infruttuoso sforzo offensivo tedesco della Grande Guerra, la
cosiddetta Offensiva di primavera che
avrebbe potuto determinare la vittoria germanica in extremis. Dopodiché c’è solo l’attesa della fine dei combattimenti
e del ritorno in patria. A tale proposito, Otto scrive:
Il ritorno, in effetti, ci ammalia e sgomenta ad un tempo. Esther, nell’ultima sua lettera, mi parla dell’antisemitismo imperante e della necessità di lasciare la Germania. Io, mentre ancora cadono le bombe, affermo invece di voler lavorare in futuro, se un futuro mi sarà concesso, per contribuire con tutte le mie forze alla rinascita del nostro grande paese.
L’11 novembre 1918 l'impero germanico sottoscrive l'armistizio, e Otto, sopravvissuto a oltre quattro anni di guerra, incede stremato ma ancora pieno di speranza verso la Germania degli orrori.
- Ringraziamo Dario Malini per l'interessante conversazione.
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Titolo: Taccuino di un nemico. La grande guerra di un soldato ebreo nell'esercito tedesco
Autore: Dario Malini
Editore: Ugo Mursia Editore
Collana: Testimonianze fra cronaca e storia
Data di Pubblicazione: Ottobre 2013
ISBN: 8842550221
Pagine: 226
- Ringraziamo Dario Malini per l'interessante conversazione.
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Titolo: Taccuino di un nemico. La grande guerra di un soldato ebreo nell'esercito tedesco
Autore: Dario Malini
Editore: Ugo Mursia Editore
Collana: Testimonianze fra cronaca e storia
Data di Pubblicazione: Ottobre 2013
ISBN: 8842550221
Pagine: 226
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