Corrado Alvaro e la Grande Guerra

Corrado Alvaro, noto scrittore calabrese, fu soldato della Grande Guerra. Una parte cospicua della sua opera (soprattutto quella non legata alle tematiche meridionaliste) appare oggi incompresa o dimenticata. Allo stesso modo, è del tutto misconosciuto il contributo dell'artista al processo di riedificazione del romanzo, in atto nei primi decenni del Novecento. Così, sebbene fin dagli anni Trenta sia stato evidenziato qua e là il dirigersi di Alvaro «verso il nuovo mondo romanzesco» (A. Consiglio), e incluso talvolta lo scrittore nella ristretta rosa di quelli capaci di rappresentare il nuovo corso narrativo (Giorgio Granata), tali notazioni sembrano oggi pressoché dimenticate.

Per farci un'idea di quanto ciò sia vero, basta sfogliare qualche antologia scolastica in uso di questi tempi nelle scuole superiori. Si rileverà come la figura di Corrado Alvaro appaia defilata, citata quasi unicamente in relazione alla raccolta di racconti di argomento calabro Gente in Aspromonte. Per fare solo un esempio, anche un ampio e per molti versi ottimo manuale come La scrittura e l'interpretazione di Romano Luperini, in relazione a Corrado Alvaro si limita a dire:

«La linea prevalente della narrativa meridionalistica è rappresentata da Corrado Alvaro (1895-1956). Verga e d’Annunzio sono i maestri: rappresentazione della realtà e tendenza alla sua trasfigurazione mitico-simbolica e letteraria si sovrappongono già nella sua prima opera importante, Gente in Aspromonte (1930). Più tardi prevarranno invece temi metropolitani e “europei” (per esempio, il L’uomo forte, pubblicato nel 1938). Anche se non mancheranno ritorni alla realtà meridionale. Abbiamo così un Alvaro “paesano” (quello di Gente in Aspromonte o di L’età breve, del 1946) e un Alvaro “europeo” (quello de L’uomo nel labirinto del 1926, di L’uomo forte e dell’incompiuto Belmoro): il primo procede per accumulazione impressionistica di particolari, il secondo attraverso la creazione di atmosfere allucinate e l’invenzione artificiale e astratta di una trama volutamente romanzesca, secondo l’insegnamento di Bontempelli.»
La citazione di straforo de L’uomo nel labirinto (romanzo del 1922, pubblicato in volume nel 1926, di struttura modernissima, ambientato nel primissimo dopoguerra) e la completa omissione di un romanzo potentemente antimilitarista e di concezione avanzata come Vent'anni (del 1930, che racconta la partecipazione alla guerra di alcuni giovani italiani) mostrano quanto poco compresa sia ancora oggi la novità della scrittura di Corrado Alvaro. Allo stesso modo, del tutto fuorviante, anche se tradizionale, appare la semplicistica suddivisione del suo lavoro in una componente "paesana" ed in una "europea", sotto l'influenza di Verga e D'Annunzio (dunque di correnti letterarie allora in via di superamento). Né porre la produzione "europea" di Alvaro (quasi esistesse separatamente dall'altra) sotto l'egida del realismo magico di Bontempelli migliora di molto la situazione, poiché evita di approcciarsi a tale produzione da un punto di vista globale.
Vogliamo infine segnalare come nulla di convincente sia stato scritto dalla critica sul modo in cui le diverse componenti, spesso conflittuali, del mondo poetico di Corrado Alvaro (la Calabria intesa come luogo arcaico in disfacimento di cui si deve conservare la memoria, la città ad essa contrapposta, l'inedita psicologia appartenente all'uomo forgiato dai combattimenti moderni, il dopoguerra...) vadano a fondersi nel suo crogiolo creativo, soprattutto in relazione all'esperienza della partecipazione dell'artista alla guerra, discorso cui accenneremo nella parte finale di questo intervento. Prima dobbiamo fornire alcune informazioni biografiche sullo scrittore, in relazione agli anni precedenti e immediatamente successivi alla Grande Guerra. 

Corrado Alvaro nasce a San Luca, Reggio Calabria, nel 1895. Trascorre i primi anni di vita (anni felici, pregni di arcaici misteri e di trasalimenti) nel paese natio, «piccolo paese di pastori, più che di contadini, e aveva tutto l'Aspromonte pei suoi armenti, ricco, prospero». All'età di dieci anni lascia la Calabria per dedicarsi agli studi a Roma, come ci dice egli stesso in Memorie e vita (brano contenuto ne Il Viaggio, del 1942):

Se la storia della mia famiglia si fosse svolta naturalmente, avrei potuto essere, a quest’ora, come i miei zii paterni e cugini, operaio, carpentiere, falegname, agricol­tore in qualche parte del mondo nuovo. Ma come aveva sollecitato il destino mio padre mi ha portato ad essere uno scrittore. Mio padre aveva fatto quella promessa e preso quell’impegno: una mattina ci videro partire, tre fratelli, sui muli, per la stazione sul mare. Avevamo un corredo tutto di lino, i materassi gonfi e le coperte calde filate da mia madre la quale temeva come peggior nemico della vita il freddo. L’idea di mio padre fu di mandarci lontano ad apprendere le buone maniere e un linguaggio corretto. Ci mandò presso Roma. Anche a Roma aveva conoscenti, come le hanno in certe città di approdo o di passo gli emigranti. Erano calabresi.
Corrado Alvaro, Memorie e vita (1942)
Questo trasferimento nella città eterna, episodio capitale nell'esistenza del piccolo Corrado, segna il doloroso e definitivo distacco dal mondo barbarico, ancestrale e mitico della Calabria (cui resterà comunque sempre idealmente legato), rappresentando però al tempo stesso l'ingresso in un nuovo universo ricco di attrattive:
Tra l’altro i libri cominciavano a possedermi, e in un taccuino segreto andavo annotando i titoli dei libri e gli autori che un giorno avrei voluto leggere. La novità del mondo era tanta che non riuscivo a contenerla. A volte, aspettando di vedere o di conoscere una cosa l’indomani, vegliavo tutta la notte con gli occhi sbarrati che il giorno apparisse. Tutte le nozioni e cono­scenze ed esperienze si affastellavano nella mia mente, tutto era nuovo, di ogni cosa avrei voluto possedere intero il segreto. Ricordo quello stato di sogno, di dormiveglia, di vita tutta dietro alle cose su cui fantasti­cavo sbandando dall’una all’altra.
Corrado Alvaro, Memorie e vita (1942)
Un universo infinitamente attraente ma anche infinitamente dannoso ed estraniante:
Se io fossi rimasto quello che era mio nonno, quello che è mio padre, un uomo della terra sarei felice. Ma tutto quello che mi hanno fatto conoscere, è entrato in me come un veleno. Ora niente più mi piace.
Corrado Alvaro, Vent'anni
Nel 1915 Corrado, interventista convinto con motivazioni però abbastanza vage e libresche, si arruola nell'esercito. Destinato al 123° reggimento di fanteria, vive in prima persona, come ufficiale, l'esperienza dolorosa della guerra, finché, nel 1916, non rimane gravemente ferito alle braccia nella zona del Monte Sei Busi. A ciò segue una lunga degenza a Firenze e poi un periodo di convalescenza a Chieti. 
La guerra risuona nelle sue prime opere poetiche, pubblicate su varie riviste, a partire dal 1914, una scelta delle quali è poi confluita nel volume Poesie grigioverdi, del 1917. 
Scrive in quegli anni su importanti quotidiani di Bologna e Milano quali Il Resto del Carlino e Il Corriere della Sera. Nell'aprile del 1918 si sposa con Laura Babini, scrittrice e traduttrice, cui resterà legato sino alla morte. Nel 1920 si laurea in lettere. Tra il 1921 e il 1922 soggiorna a Parigi. Torna a Roma nel 1922, chiamato da Giovanni Amendola per collaborare con il neonato quotidiano Il Mondo, destinato a diventare uno dei punti di riferimento più autorevoli dell'antifascismo italiano. Sul quotidiano romano pubblica tra l'altro alcune traduzioni (le prime uscite in Italia) di brani della Recherche di Proust. Nel 1928, sulla spinta delle crescenti intimidazioni fasciste, culminate con l'aggressione ad Amendola del luglio 1925 (il giornalista e deputato morirà per le conseguenze delle percosse subite nel mese di aprile 1926) e la chiusura del quotidiano Il Mondo, lascia l'Italia trasferendosi a Berlino (dove conosce e frequenta Pirandello). Se la scelta di lasciare l'Italia rappresenta per Alvaro l'abbandono della politica e del giornalismo, diviene anche l'occasione per comprendere la sua vera vocazione, decidendo di dedicarsi in toto alla letteratura. Torna a Roma nel 1930. Nel corso di quello stesso anno pubblica due scritti formidabili: Gente di Aspromonte (raccolta di racconti che lo rende famoso in Italia e all'estero) e Vent'anni, che, assieme al romanzo L'uomo nel labirinto del 1926 (apparso precedentemente nel 1922, a puntate, sullo Spettatore), costituiscono i frutti maturi di un artista che, a soli 35 anni, possiede già una voce originale di statura europea. Leggendo queste opere attentamente ci si accorge come l'arte abbia operato un miracolo, che in esse le molte esperienze spesso contrapposte esperite dallo scrittore fino a quel momento (l'infanzia paesana, la vita di città, gli orrori e l'insensatezza della guerra, il triste dipanarsi del dopoguerra) sono entrate finalmente in un rapporto dialettico, rivelandosi - sorprendentemente - emblematiche degli avvenimenti che andavano via via disegnando la nuova era inaugurata dalla guerra. Trovando nella pagina scritta la possibilità di essere rappresentate, di farsi racconto: romanzo. In particolare, i romanzi che riflettono sull'esperienza e sugli esiti della Grande Guerra (Vent'anni e L'uomo nel labirinto) vanno a delineare quello che qualcuno ha chiamato l'uomo alvariano, il quale, come i protagonisti degli scritti di Tozzi, di Svevo, dell'ultimo Pirandello, non appartiene compiutamente più al mondo e alla realtà, ma vive in essa come in un labirinto estraniante, cangiante, inestricabile. 


Dario Malini

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