A.G.G. n° 20 - Ottobre - dicembre 2014

Feriti e ferite
La metafora della «frattura» e del «trauma», così spesso applicato alle storie della Grande Guerra, derivano entrambi dal linguaggio clinico, dalla patologia del corpo e della mente, a indicare una lesione violenta, una interruzione e una ferita che si potrà ben suturare, ma che lascerà comunque il suo segno indelebile, non interamente riassorbibile.
Antonio Gibelli, L'officina della guerra
Fin dall'inizio della Grande Guerra, la propaganda di ciascuna nazione belligerante modulò e diffuse una serie ben ponderata di tematiche atte a rendere accettabile - e a utilizzare strumentalmente -  la terribile e sconvolgente novità (per la gravità dei traumi e il numero delle persone coinvolte) dei feriti di guerra. I proiettili delle mitragliatrici, le pallette degli shrapnel, le pietre proiettate dalle esplosioni causavano fratture ed emorragie che andavano sovente incontro a gravi infezioni. Le lesioni addominali erano quasi sempre mortali. Le ferite al torace si trasformavano spesso in pesanti infiammazioni polmonari. Le lacerazioni agli arti venivano in genere ben curate, sebbene talvolta (meno spesso di quanto si pensa, in realtà, ma comunque in un numero rilevante di casi) necessitassero di crudeli interventi di amputazione. I bombardamenti continui e le condizioni terribili della vita di trincea determinavano inoltre nevrosi e gravi shock emotivi ai soldati. Se è ancora difficile stimare con accettabile precisione il numero totale dei feriti, di certo il primo conflitto globale determinò, assieme a molti milioni di morti, un numero cospicuo - e assai maggiore -  di persone mutilate o lesionate in modo irreversibile, nel fisico come nella psiche.
In questo numero di A.G.G. (n° 20 di ottobre - dicembre 2014) tenteremo di avvicinare tale tema doloroso, utilizzando - com'è nostra consuetudine - la chiave di lettura privilegiata dell'arte e della letteratura sorte direttamente nelle trincee della Grande Guerra. Sarà dunque la voce dei soldati a guidare la nostra riflessione: un punto di vista per sua natura parimenti distante dalla visione pietistica veicolata dalla propaganda, come da quella eroicizzante e militarista delle avanguardie.
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Nel corso della Grande Guerra, l'iconografia del ferito muta radicalmente rispetto ai conflitti del passato. Il ferito perde d'un tratto ogni carattere d'eccezionalità divenendo sovente un "eroe per caso". Nelle opere narrative di quegli anni, questo tema scottante assume differenti valenze, talvolta diventando occasione di celebrazione del compagno ferito, talaltra mostrando invece la sterilità di un tale sacrificio individuale. Nell'intervento seguente viene proposta una scelta di brani di particolare spessore, esemplificativi di alcuni dei diversi approcci alla questione: L'epica dei feriti nelle opere narrative della Grande Guerra
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Fausto Maria Martiniclasse 1886, è stato uno scrittore-soldato importante, la cui figura di intellettuale è oggi purtroppo quasi dimenticata. In guerra fu ferito due volte, la prima in modo lieve, la seconda - in Carnia - così gravemente da essere dato per morto. Si salvò, invece, restando però in ospedale per ben tre anni. Sulla guerra e sull'esperienza del ferimento scrisse pagine originalissime. Il seguente breve articolo vuole tratteggiare la curiosa figura di soldato che dovette essere, interessato più all'elegia che all'epos della guerra, secondo la pregnante definizione di Nicola D'Aloisio: Breve profilo di Fausto Maria Martini
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Sfoglieremo ora quella che è certamente l'opera di guerra più significativa di Fausto Maria Martini, il romanzo Verginità, pubblicato nel 1920. Un libro singolare, difficile da recensire come da leggere, perché del tutto fuori dai canoni del genere. In esso viene raccontata, tramite una prosa controllatissima, la lenta e faticosa convalescenza del soldato Paolo (trasparente alter ego dell'autore), dopo una grave ferita alla testa subita in combattimento. Nell'ospedale militare in cui buona parte della vicenda è ambientata, le terribili menomazioni dei combattenti non trovano alcuna giustificazione o facile conforto, e l'unico valore positivo sembra essere la nuova visione del mondo offerta inopinatamente ai convalescenti dal lento e miracoloso ritornare della vita. Una storia di morte e rinascita che vuole forse anche tracciare un ideale percorso di rinnovamento per una società-fenice, disseccata dalla guerra: Verginità di Fausto Maria Martini
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Quale fu  l’atteggiamento degli artisti rispetto al fenomeno scioccante dei feriti di guerra? Esulando da quelli "al soldo" della propaganda, solo una minoranza volle affrontare un tema tanto delicato, scabroso e disturbante. In questo intervento parleremo dei loro lavori. Ed è davvero sorprendente quanto toccanti siano sovente queste opere, di solito di piccole dimensioni, anche per noi uomini del XXI secolo, che conosciamo le ferite delle guerre attraverso le immagini - numerose ed in tempo reale, ma ottundenti per la sensibilità - dei potenti mezzi di comunicazione che dominano la nostra esistenza. Iniziamo quindi un excursus nell'universo dei feriti della Grande Guerra con l'intervento: Il recupero dell’integrità della persona nelle rappresentazioni dei feriti
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Proseguendo nel nostro percorso dedicato alla raffigurazioni dei feriti della Grande Guerra, proponiamo la lettura di due veri capolavori del genere, prodotti nell'ambito dell'espressionismo: opere di straordinaria rilevanza umana e artistica, il cui significato assume il valore di monito universale contro la guerra. Ecco il link all'articolo: La raffigurazione dei feriti come denuncia degli orrori della guerra
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Se il linguaggio degli espressionisti vibra di brutalità e di violenza, che si traducono nella deformazione dei corpi, nella disarticolazione dei segni e nell’addensarsi dei grumi neri dell'inchiostro (come abbiamo visto nel precedente articolo), quello dell'artista simbolista belga che andiamo ora a considerare, Henry De Groux, è caratterizzato da un'estrema lucidità e ricchezza di riferimenti culturali, mediati da un segno fluido e nervoso che veicola l’intensità del suo flusso psichico. Il seguente intervento è focalizzato su un'opera che è certamente uno dei suoi massimi capolavori dedicati alla Prima guerra mondiale: Il tema dei ciechi di guerra nell'opera I veggenti di Henry De Groux
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Osserva, vecchio mio,
come si può essere ridicoli con delle gambe!
Chiudiamo, al solito, con una vignetta dell'epoca. Si tratta di una litografia umoristica, datata 7 settembre 1915, del caricaturista francese Abel Faivre (Lione 1867-Nizza 1945): l'irrisione delle gambe paffute della boriosa signora in primo piano si scontra - con un effetto di agra malinconia - con la menomazione dello stesso arto patita da un soldato.

Sommario


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