Gorizia italiana

Che Gorizia sia nostra, sembra una favola,
dopo la strage di ogni minuto, per quindici mesi.
Paolo Caccia Dominoni, Diario di guerra 1915-1919

Mentre era intento a respingere ogni intromissione politico governativa nel suo operato, Cadorna già studiava una nuova offensiva sul fronte isontino. Gli austriaci erano assolutamente convinti che un nuovo attacco in quella zona non sarebbe potuto iniziare prima della metà di agosto; solo in quel momento infatti gli italiani sarebbero riusciti a trasferire sufficienti uomini e mezzi dagli Altipiani.

Con questa sicurezza il generale Erwin Zeidler, comandante della divisione schierata a difesa della città di Gorizia, si era concesso ai primi di agosto una licenza. Le truppe imperiali furono così colte di sorpresa quando, dopo pochi giorni,  vennero assalite dalla III armata del Duca D'Aosta. Ecco come si espresse la relazione austro-ungarica: “Per effetto dell'eccellente preparazione da parte italiana sfuggì alla nostra osservazione il sensibile aumento di artiglierie e bombarde”.

E proprio l'impiego delle bombarde, che riuscirono a spianare i reticolati contro cui si erano infranti tutti i precedenti attacchi, fu determinante nella conquista del San Michele, del Sabotino e del Podgora, baluardi ritenuti fino a quel momento imprendibili. A quel punto gli austriaci, per non correre il rischio di trovarsi rinchiusi in una sacca, si ritirarono sulla seconda linea che avevano già predisposto sulle prime alture ad oriente di Gorizia.

Così gli italiani, il 9 agosto, entrarono senza problemi in città. Ma il momento critico per il nemico era già passato e dal giorno dopo iniziò la seconda fase della battaglia durante la quale gli attacchi al Monte Santo, al San Gabriele e al San Marco furono respinti dalla tenace ed organizzata difesa nemica. Lo scoramento per la resistenza austriaca fu grande e diede il via alle polemiche sul “mancato sfruttamento della vittoria”. Il generale Capello scrisse: “Avessimo avuto truppe fresche e truppe molto mobili così come era sta fatta richiesta fin dal giorno 2 al Comando Supremo”. Ma non furono queste le ragioni ad impedire un maggior successo quanto piuttosto la decisione presa da Boroevic e da Ziedler  di schierare le riserve sulla seconda linea anziché logorarle per contrattaccare. A conferma del superiore senso strategico rispetto ai colleghi italiani, i responsabili militari austriaci intuirono, anche perché analoghe situazioni si erano già presentate a Verdun e in Trentino, che in una guerra di posizione era più semplice conquistare la prima linea di difesa piuttosto che le successive. Ma Cadorna questo non lo aveva ancora ben capito. Infatti il 10 agosto,  in un messaggio inviato al generale Capello, scrive: “Mentre esprimo il mio compiacimento per la vittoriosa espugnazione della testa di ponte di Gorizia sono malcontento della lentezza con cui procedono le operazioni per la conquista delle alture che cingono la città, mentre la situazione esige risolutezza stop Occorre con energia attività instancabili rovesciare le deboli resistenze di retroguardia del nemico, incalzarlo, non dargli tregua finché gli obiettivi assegnati a codesto Corpo d'Armata non siano raggiunti stop Metta le ali al piede a tutti stop.” Perciò le truppe italiane continuarono gli attacchi contro le nuove posizioni austriache. I risultati degli scontri avvenuti tra l'11 ed il 16 agosto furono pressoché nulli  ma le perdite decisamente superiori a quelle subite tra il 6 e il 10 agosto. La sera del 16 agosto Cadorna si rese conto dell'opportunità di arrestare l'offensiva.

“I combattimenti svoltisi in questi ultimi giorni – si legge in una missiva inviata al generale Piacentini, comandante della seconda armata – hanno chiarito che le linee su cui l'avversario ci contrasta l'ulteriore avanzata oltre l'Isonzo non sono semplici posizioni di retroguardia, ma vere e proprie linee fortificate, per avere ragione delle quali occorre, come la lunga esperienza ci ha insegnato, una preparazione all'attacco metodica e completa.” Finalmente, ma pur sempre in ritardo, il Comando Supremo si era reso conto del dispositivo avversario.

La VI offensiva dell'Isonzo costò agli italiani, tra morti, feriti e dispersi oltre cinquantamila uomini e, nonostante la presa di Gorizia, la vittoria si rivelò incompleta perché il nemico continuò a controllare la città dalle alture dominanti da oriente (Monte Santo, San Marco, San Gabriele). Ma, come ha scritto Montanelli, il successo “sollevò il morale delle truppe, fece salire la nostra quotazione in campo alleato, rinsaldò il governo e gli diede il coraggio di prendere alcune fondamentali iniziative”. Per cominciare la dichiarazione di guerra alla Germania, fatto che, come sottolinea sempre l'autore toscano, molto stupì i nostri fanti che, incapaci di distinguere fra austriaci, boemi, ungheresi e croati, li chiamavano tutti tedeschi e credevano di essere in guerra con loro da sempre”.  

Il risultato ottenuto in quella che, fino a quel momento, era la più importante avanzata dell'esercito italiano verso est rese intoccabile la posizione di Cadorna e contribuì fortemente ad infiammare l'opinione pubblica. Mentre il Giornale d'Italia titolava: “Entrando a Gorizia ancora fumante. A guado, a nuoto, di corsa tra il turbine della mitraglia con l'esercito trionfatore” e  La Gazzetta del Popolo scriveva: “la schiava è libera, le catene sono rotte”, la Nazione parlava della vittoria come conseguimento di “uno dei più importanti obiettivi militari”. Ma  in realtà la conquista della città non portò a dei vantaggi significativi. Decisamente più realista la Stampa: “Chiunque voglia preservare il paese dalle delusioni non meno pericolose, non può non ricordare che il compito che ancora rimane da compiere è arduo e aspro”.

Quanto intuito dal quotidiano torinese è sottolineato dallo scrittore inglese Mark Thompson che ne, La Guerra bianca – vita e morte sul fronte italiano 1915-1919, a proposito della VI battaglia isontina ha scritto: “Gli italiani non avevano fatto altro che spostare i loro problemi di qualche chilometro più a est. La sfida che li aspettava ora era fin troppo chiara: attaccare risalendo le colline contro posizioni ben costruite e difese fino alla morte da truppe indurite dalle battaglie. Avevano passato più di un anno ad assediare il San Michele e il Podgora. Nella fase successiva si sarebbero lanciati contro il monte Santo, il monte San Gabriele, il Dosso Faiti e altre alture ignote al di là del Vallone.....”


Giancarlo Romiti

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