"Colloqui con mio fratello" di Giani Stuparich

Sono fuggito dagli uomini come una bestia cacciata che si rintani. Non giova ch’io mi ragioni freddamente. Un tempo queste mie fughe le credetti sentimentali, ma ora mi accorgo che sono una fisica necessità. Devo aspettare che passi il ribrezzo. Parlami intanto, fratello, ché la tua voce viene dall’alto e fa bene.

(Giani Stuparich, Colloqui con mio fratello, Della pratica vita e dell’anima)
Testo impervio, coriaceo, scolpito, parola dopo parola, in forme di classica perfezione, sulla scorta della nostra più illustre tradizione letteraria (dal Dante della Commedia al Leopardi delle Operette morali), Colloqui con mio fratello di Giani Stuparich ha avuto una travagliata vicenda editoriale. Uscito con pochissimo successo alla fine del 1924 e poi nel 1948, è stato ripubblicato solo nel 1985 da Marsilio Editore, destando anche in questa circostanza limitato interesse di pubblico. Oggi è praticamente introvabile. Ed è un vero peccato perché questo volume, dedicato da Giani alla memoria del fratello Carlo, vibra come pochi altri delle agitazioni telluriche prodotte, nell’arte e negli animi, dalle tragiche vicende della Grande Guerra. 


Il libro inizia con la seguente prosa intensamente emotiva, solenne e lavoratissima, il cui stile prende le distanze fin da subito dal tono sbrigativo delle molte discussioni ideologiche e politiche allora in corso:
Mio fratello è morto da un anno e da un anno io vivo in prigionia. Passeggio le notti. Se ora mi trovo supino, abbandonate le membra, è certo che questa notte la stanchezza m’ha vinto. Sotto, nel buio, guizzò la baionetta di una sentinella a guardia del reticolato. In alto il cielo è d’una luminosità così fredda, che mi pare di immerger la faccia nel ghiaccio. E rimango, impregnato lentamente tutto il corpo dal gelo luminoso, non so quanto, con le palpebre chiuse.

Le riapro che una folata di calore passa fra stella e stella, lontane, e milioni ne accomuna in un palpito, solo. Sento nel tempo stesso librarsi su di me l’anima Sua e gli occhi mi si riempiono di pianto.

(Giani Stuparich, Colloqui con mio fratello, Della prigionia e dell’alba)
Lo scoppio del conflitto, nel 1914, rappresentò per i fratelli Stuparich, triestini,  la fine del miraggio di un’Europa avviata irresistibilmente verso una sempre più proficua convivenza civile. Successivamente, un travagliato percorso interiore li convinse entrambi, nel 1915, sulla necessità di una guerra quale unica possibilità perché gli italiani della Venezia Giulia vedessero riconosciute le loro aspirazioni nazionali. Così, si arruolarono volontari. In guerra, Giani venne fatto prigioniero e Carlo, nel corso di una battaglia sul Monte Cengio, si suicidò per non cadere in mano austriaca.


Ecco la dolorosa e palpitante descrizione del momento del ritorno di Giani a casa, al termine della prigionia, senza il fratello:
Trieste. Imbocchiamo la strada a passo marcato, un reggimento, tutta la nostra brigata. Il cuore altro non è che una campana a gloria e lo sguardo indaga con passaggi d’acuta celerità le spalliere di folla festanti: quegli occhi cerchiamo, quelle facce nostre. Uno strappo solo: e siamo nel caldo abbraccio. Poi raggiungiamo di nuovo le file marziali, gridiamo, c’inebriamo anche noi della gioia comune…

Fu un sogno da guerriero fanciullo. Solo son ritornato, per le vie più nascoste frettoloso. Diritto a casa, son salito che mi dovetti sostenere alla ringhiera. Tutto come prima, lo stesso odore, i pianerottoli vuoti; all’uscio mi sono fermato che mi pareva di non potervi entrare mai più. E quando entrai fu come le volte che ritornavo a intervalli dagli studi, che tutte le cose familiari mi riconoscevano. Ma l’incontro con la mamma, più sconsolato fu di quello che m’aspettassi. «Me l’hai affidato, ma guardartelo non ho saputo, ti ritorno senza di lui»: queste parole avevo preparate, ma non ebbi voce per dirle e caddi ginocchioni davanti alla pietà di quella faccia.

(Giani Stuparich, Colloqui con mio fratello, Della tristezza e della casa)
Colloqui con mio fratello, insieme di 9 dialoghi lirici dai quali abbiamo proposto qualche frammento, rappresenta dunque, secondo la notissima e illuminante definizione di Italo Svevo (“un libro che pare un tempio”), una sorta di edificio sacro dedicato da Giani alla memoria del fratello Carlo. Oltre a ciò (e forse ancor più di ciò), è questo un testo difficile da accostare, non privo di contraddizioni interne, ma anche affascinante ed estremamente significativo all'interno della letteratura della Grande Guerra, in cui gli ideali pre e post guerra (patria, eroismo, amore, nulla, eternità, Dio…) sembrano scontrarsi alla ricerca di una qualche impossibile conciliazione. 

Dario Malini

2 commenti:

  1. Come posso trovare questo libro ? AiutateMi per favore🙏🏼

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    1. Purtroppo questo importante testo non è al momento presente nel catalogo di nessun editore italiano. Per trovarlo (e ne vale davvero la pena!) ci si deve rivolgere al mercato antiquario, ad esempio tramite ebay o www.maremagnum.com.

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