Le dure condizioni dei civili



La prima cosa che scorgo, giù tra gli alberi, è una bara portata a spalla da quattro uomini anziani. Ai lati della cassa, ricoperta da un logoro velluto scuro, quattro ragazze incedono lente e solenni, reggendo ognuna una fiaccola. Le accompagnano un gran numero di persone vestite a lutto, ma io vedo solo una bimba, pallida e zoppicante, che guaisce trascinando a viva forza la madre verso il feretro.
Walter Giorelli 
(da Il sorriso dell'obice di Dario Malini, Mursia editore)

Le atrocità compiute dai militari in guerra, in molti casi, sono state coperte da un colpevole silenzio. Non solo a motivo della censura, che impediva la divulgazione di notizie eccessivamente dure e cruente che avrebbero potuto alimentare atteggiamenti critici nei confronti del conflitto, ma anche perché orrori di tal genere, attuati oltretutto su popolazioni indifese, erano più facilmente negati che accettati dagli stessi artisti-soldato.
Alcuni incisori tuttavia, anche sulla scia di un’eminente tradizione di denuncia iniziata da Goya, presentano una produzione in contro-tendenza, intesa a documentare senza reticenze la barbarie e le violenze più efferate.

Un tale intento è rintracciabile, ad esempio, in alcune opere di Louis Jou, Pierre Georges Jeanniot e Abel Pann, artisti-testimoni che, seppur non coinvolti direttamente nei combattimenti, mostrano le conseguenze della guerra senza veli, con l’intento di additare ogni forma di violenza come inqualificabile atto di disumanità.

Di origine spagnola, Louis Jou porta con sé la lezione dei Disastri della guerra di Goya. Durante il periodo del conflitto si trova a Parigi dove vive nell’atmosfera di terrore che incombe su tutto il paese.
Nel 1915 incide Les otages, in cui coglie magistralmente i sentimenti di paura e di angoscia di un gruppo di civili presi come ostaggi e rinchiusi in un edificio, probabilmente l’interno di una chiesa, senza che nulla gli sia stato comunicato del destino che li attende.

Dagli eventi più atroci della Grande Guerra, Pierre Georges Janniot trae materia per la serie di litografie intitolata Les horreurs de la guerre. Già combattente nella guerra del 1870, l’artista non partecipa al conflitto per raggiunti limiti d’età.

La ferocia che si dispiega nelle sue immagini sembra non avere limiti, come si può vedere nella litografia presentata qui sopra, che riprende la spaventosa carneficina che i tedeschi fecero nella cittadina lorenese di Luneville. In essa, il cadavere di un cavallo, chiaro simbolo della radicalità della strage, si interpone tra gli aguzzini in primo piano e gli abitanti fatti bersaglio delle loro pallotole.

Le violenze sui civili sono un tema trattato con profondità di intendimenti anche da Abel Pfeffermann Pann. Allo scoppio della guerra l’artista, di origine ebraica, si trovava Francia. Da qui mosse per raggiungere il fronte orientale, dove fu testimone oculare di saccheggi, stupri e massacri di inaudita ferocia perpetrati dai russi nei confronti delle popolazioni di quelle regioni, accusate di collaborazionismo con gli invasori tedeschi. Un pogrom questo che si compiva dentro la tragedia della Grande Guerra.

Ne trasse dei disegni molto intensi, che rielaborò in una serie di 24 opere litografiche. L’opera proposta, Il massacro, rappresenta l’epilogo di una tragedia che si è appena compiuta: in un paesaggio desolato giacciono i cadaveri di una donna e di due bambini, mentre si scorge sulla sinistra un soldato di spalle che si allontana dal luogo del massacro.

Un altro genere di  dramma colpiva di frequente i civili che avevano la sfortuna di dimorare non distante dal fronte. In varie circostanze, l'intera popolazione di un gran numero di  paesi (soprattutto in Francia, in Polonia e nelle Fiandre) dovette abbandonare in fretta e furia la propria abitazione per sfuggire l'esercito occupante tedesco. In tal senso, ecco un'opera, d'autore non identificato, dal titolo  "L'exode". In un ambiente dominato dalla morte e dalla devastazione, la colonna di poveri civili che fuggono l’orrore, portando con sé solo poche cose, ha qualcosa di terribile e grandioso a un tempo: pare simboleggiare l’intera umanità che cerca inutilmente di schivare la follia da essa stessa promanata. Nel bruno uniforme che governa l’immagine, spicca la macchia rossa prodotta dal fuoriuscire del sangue di un cavallo ferito mortalmente: ecco come l'uso sapiente del colore ci fa arrivare l'urlo silenzioso di un'altra vittima innocente del furore della guerra.


Carol Morganti

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